Quando il terremoto in Marocco ha fatto tremare la terra, Icham Tazi e la sua famiglia stavano finendo di cenare. Un gesto quotidiano ripetuto migliaia di volte, che però non dimenticherà mai più. Alle prime scosse del terremoto di magnitudo 6,8 che nella notte tra venerdì e sabato scorso ha colpito la provincia di Al-Haouz, a sudovest di Marrakech, Icham e i suoi genitori si sono affrettati ad uscire dalla Città vecchia, per non farvi più ritorno. Come loro, altre centinaia di persone, spaventate dalla probabilità di nuove scosse, hanno dormito nei parchi e nelle piazze della medina i cui edifici sono patrimonio mondiale dell’Unesco.
“Abbiamo paura di poter restare intrappolati tra le macerie in caso di nuove scosse. Gli edifici della città vecchia hanno centinaia di anni, non resisterebbero” – Icham Tazi, abitante di Marrakech
Icham, 25 anni, dopo aver messo in pausa il film che stava guardando con i suoi genitori avvolti dalle coperte in piazza Jamaa el Fna, ai margini della Medina. Oltre a Marrakech, le scosse si sono sentite nella capitale Rabat, ma anche a Casablanca ed a Essaouira.
È dalle zone rurali del paese che stanno lentamente arrivando i feriti estratti dalle macerie e portati all’ospedale Mohammed VI di Marrakech. Il bagliore delle luci delle ambulanze illumina i volti dei feriti e delle famiglie che hanno deciso di accamparsi nel piazzale dell’ospedale più grande della città.
“In pochi secondi è stato il caos. Le mura hanno iniziato ad oscillare, la terra ha emesso un boato ed io non ho capito più nulla” – Rachida Kettani, abitante di Marrakech
La donna, 45 anni, si trova fuori dell’ospedale mentre aspetta che i medici la informino sullo stato di suo marito, lievemente ferito dalla caduta di un masso da un edificio della Medina di Marrakech.
Situazione critica nella provincia di Al-Haouz, a sud di Marrakech
Il Re Mohammed VI ha decretato il lutto nazionale a seguito del sisma più mortifero che il Marocco abbia vissuto almeno dal 2004, quando le scosse nella regione settentrionale del Rif causarono più di seicento morti. Il Paese conosce le conseguenze dei terremoti da molto vicino: nel 1960 un terremoto di magnitudo 5,8 rase al suolo Agadir, nel sud del paese. Le vittime furono 15mila, un terzo della popolazione della città.
La provincia di Al-Haouz si trova in prossimità lungo la linea di faglia tra la placca africana e quella eurasiatica. Si muovono di circa 4-6 millimetri all’anno, rendendo i terremoti nella zona e poco frequenti e difficilmente prevedibili secondo il centro nazionale per la ricerca scientifica e tecnica di Rabat. Il ministero degli Interni stima che i morti siano più di 2.000, almeno altrettanti i feriti, di cui più di 1.400 molto gravi.
Il dramma a seguito del terremoto in Marocco ha suscitato uno slancio di solidarietà internazionale. Anche l’Algeria che ha relazioni diplomatiche con il Marocco molto tese, ha riaperto lo spazio aereo chiuso dal 2021 per permettere agli aerei di trasportare aiuti umanitari alla popolazione colpita.
“Stiamo lavorando senza sosta da venerdì notte. Nelle prime ore abbiamo vissuto il panico, ho avuto l’impressione che il mondo stesse per finire. Ma non abbiamo potuto lasciarci andare. I nostri concittadini avevano bisogno di noi” – Paramedico
La Croce Rossa Internazionale ha sollecitato in un comunicato l’importanza di apportare aiuti al Marocco, parlando di aiuti necessari “per i mesi e gli anni a venire”. L’Oms ha dichiarato che più di 300mila civili a Marrakech e nei dintorni sono stati colpiti dal terremoto.
“Non sappiamo quando potremo tornare nelle nostre case. Abbiamo paura delle scosse di assestamento. Abbiamo paura che venga giù tutto”, racconta Icham Tazi mentre, attorno a lui, gli abitanti della Medina di Marrakech si sono ormai addormentati. “È durato secondi, ma a me sono sembrati secoli”.
Le aree più colpite dal terremoto in Marocco
Le aree rurali ai piedi del massiccio dell’Alto Atlante sono state le più colpite dalla violenza delle scosse. Interi villaggi, che già soffrivano per la mancanza di infrastrutture, sono stati rasi al suolo. Le oscillazioni non hanno lasciato scampo né alle mura di pietra e argilla delle vecchie abitazioni dell’entroterra, né agli abitanti che ne sono rimasti intrappolati.
Il villaggio di Tafeghaghte, nella provincia di Al-Haouz, a poche decine di chilometri dall’epicentro nella cittadina di Ighil, è uno dei centri abitati che ha subito le conseguenze più gravi. In questa zona le autorità hanno registrato almeno 1.300 vittime.
Nonostante i soccorsi e l’esercito siano accorsi nelle ore immediatamente successive alle prime scosse, il bilancio dei morti continua a salire.
“Ho estratto io stessa mia figlia di un anno e mezzo dalle macerie. Non so come sia possibile, ma non ha neanche un graffio. Mio padre, però, non ce l’ha fatta. Una trave gli è caduta dritta sullo stomaco. Non c’è stato niente da fare” – Asmaa Amrani, residente a Tafeghaghte
Mentre parla, Asmaa sta camminando tra le macerie della sua casa crollata.Il terremoto non ha soltanto sbriciolato la sua abitazione: anche i suoi animali, la sua principale fonte di reddito, sono stati sopresi dalle scosse, morti soffocati dalla polvere liberata dai crolli. “Non ho letteralmente più niente, non so cosa fare se non aspettare che arrivino degli aiuti”, dice scrollando le spalle.
“La scossa è stata così forte da disarcionarmi dal letto. Ho visto il pavimento deformarsi” – Ahmed Ali, abitante di Tafeghaghte
Il muratore di 35 anni fa scivolare la mano sulla crepa che ha spaccato in due il muro portante della sua abitazione. “Nonostante non sia crollata, non posso più abitarci. I muri sono ricoperti di crepe”, continua il muratore che ha trascorso le ultime notti nelle tende di fortuna che gli abitanti di Tafeghaghte hanno eretto per ripararsi dal freddo. Le autorità locali hanno invitato gli abitanti a non rientrare nelle loro case, ormai danneggiate e a rischio crollo anche in assenza di scosse di assestamento.
L’economia di questo e dei villaggi devastati dal terremoto dipende dall’agricoltura e dal turismo, che saranno gravemente impattati. “Dipendo dagli aiuti dei miei familiari. Insieme alle mie mucche, anche il mio trattore è stato schiacciato e gravemente danneggiato dalle macerie”, sospira Ali, che ha perso sei familiari ,uno dei quali è stato estratto dalle macerie due giorni dopo la prima scossa.
La solidarietà nei confronti degli sfollati colpiti dal terremoto in Marocco si è già organizzata, con le famiglie delle vittime che hanno organizzato delle collette, mentre le ong stanno effettuando i primi sopralluoghi per preparare l’arrivo degli aiuti umanitari. Il Re ha dato il via libera all’arrivo di 86 soccorritori dalla vicina Spagna e all’invio di aiuti umanitari dal Qatar e dagli Emirati Arabi Uniti. Le strade che permettono di avere accesso ai villaggi più remoti sono state liberate e sono battute tutto il giorno dai familiari delle vittime che, da altre zone del paese, si stanno muovendo per portare aiuti in questi villaggi difficilmente raggiungibili.
Nel cimitero di Tafeghaghte i loculi vuoti prima del terremoto in Marocco non sono più sufficienti ad ospitare le salme che continuano a crescere ora dopo ora. Fin dall’alba un gruppo di uomini con pale e zappe ha iniziato a scavare nuove fosse. Le tombe non potranno essere adornate dalle lapidi incise con i nomi e le date di morte delle vittime. Al loro posto, gli abitanti hanno posto le pietre delle case collassate.
“Stiamo facendo tutto da soli. L’esercito ci ha dato una mano nelle prime ore, ma sappiamo benissimo che dobbiamo cavarcela da soli. Dovremo ricostruire le nostre case una ad una, ci vorranno mesi, forse anni prima che la nostra vita torni alla normalità”, spiega Ahmed prima di appararsi in un angolo. Le lacrime gli rigano il volto. Il terremoto gli ha portato via tutta la famiglia, sua moglie e sua figlia. “Ho scavato fino allo sfinimento, non c’è stato niente da fare”, racconta mostrando i palmi delle mani sporchi di terra.
“Qui non abbiamo aspettato nessuno per iniziare le ricerche. Fin da subito abbiamo capito che dovevamo e che dovremo rimboccarci la maniche” – Ahmed
Accanto a lui Rabeb, 16 anni, sta aiutando la sua famiglia a raccattare gli ultimi averi, delle coperte, un frullatore e dei vestiti, prima di caricarli in macchina. “Stavo visitando i miei nonni qui a Tafeghaghte, non avrei nemmeno dovuto esserci. Sono spaventata, ancora sotto choc. Mi sembra di vivere un incubo, una situazione irreale. Non voglio mostrare ai miei nonni il mio dolore, quindi quando voglio piangere mi isolo un po’ e mi sfogo. Qui non abbiamo tempo per disperarci. Dobbiamo essere duri, non c’è altra strada”.
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