Nella regione del Sahel, sconvolta da conflitti inter comunitari e dai gruppi jihadisti, 29 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria.
Come un semplice martello diventa magico a Kawangware
Ed ecco che, magicamente, un arnese del falegname nasconde superpoteri. E un matatu spicca il volo sul traffico di Kawangware. L’avventura di Carnival! Nairobi continua…
La mente frulla mentre il sole picchia. Penso ai report da consegnare, al lavoro arretrato, mentre i miei piedi sprofondano in questo prato bagnato e davanti a me circa trenta ragazzi sono stesi su questo lungo cartellone che si riempie di disegni e colori.
Guardo gli artisti di Cherimus venuti da lontano ragionare con i ragazzi di Kawangware su quel che vogliono diventare da grandi, mentre i sogni prendono forma, e si costruiscono case, e si disegnano macchine.
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Un ragazzo copia il fiore che ho disegnato io ma lo fa più grande, più colorato: “I like how you mixed the colours, but my flower is more beautiful!”.
Un altro ragazzo disegna con grandissima precisione un negozio di ferramenta, ci mette dentro tutto, e lo chiude con una cornice.
Un altro ancora disegna un bel cortile con dentro la sua macchina, la sua casa, ci mette accanto una cucina all’aperto, ride quando gli dico di invitarmi a pranzo e mi disegno fuori dal suo cancello chiedendo di entrare, “Disègnati dentro allora!”, mi dice, ed io disegno anche lui che mi accoglie, e ridiamo di nuovo insieme.
Mi isolo dal contesto per un attimo e tutto mi sembra assurdo e bello, tanto assurdo quanto bello.
I miei tre compagni di Cherimus stanno mettendo un’attenzione gentile e una cura particolare in questa storia stramba, catapultati in un mondo altro si siedono per terra e ragionano matite in mano con dei ragazzi così distanti dalla loro vita di tutti i giorni.
E i ragazzi si siedono con loro, con altre matite in mano, e li seguono in discorsi così lontani dalla loro vita di tutti i giorni.
Mi chiedo cosa pensino i ragazzi di noi, mi piacerebbe entrare nelle loro teste, capire il loro atteggiamento sempre cortese, sapere cosa si aspettano, se si aspettano qualcosa.
Penso non sia scontato che un gruppo di ragazzi come questo che mi sta davanti decida di fermarsi con noi per l’intera mattina e si lasci trasportare dalle richieste di tre sconosciuti. Eppure restano, ci seguono, saltano in piedi quando Matteo chiede loro di inventarsi un matatu, un autobus, con tanto di casse e autista, oppure quando Derek chiede di disegnare un grande martello e provare ad immaginare con lui che questo martello sia magico – quali poteri potrebbe avere un martello magico?
Mi chiedo quanto sia parte della loro vita questo mondo astratto, loro che ogni giorno devono pensare a sfide molto concrete, troppo concrete, così concrete che io non riesco nemmeno ad immaginarle.
E noi stiamo loro davanti, chiedendo di pensare ad un futuro più bello, un sogno più grande, promettendo loro che insieme gli daremo forma.
Sento una delle educatrici di strada che ci accompagna dire ad un ragazzo: “Va bene, vuoi disegnare un martello, allora disegnalo grande, quasi come se potessi indossarlo tutto. Poi prova a pensare a che materiale potresti usare per renderlo reale, e immaginati mentre cammini per strada vestito da martello… e te ne vai in giro a scontrare tutti… dico bene, Chiara? Può davvero succedere una cosa del genere?”.
Sì che può succedere.
Ma siamo forse troppo ambiziosi?
Portiamo l’astratto e il sogno in un ambiente che a ben pensarci di astratto e di sogno non ha proprio nulla. C’è un ragazzino steso sull’erba accanto a me che sniffa la sua droga noncurante di noialtri, altri ragazzi si allontanano per cercare di recuperare qualcosa da mangiare e poi tornano, un bimbo si lamenta perché ha fame, tutto sembra così lontano e incredibilmente astratto per me, sì, come si può pensare ad un martello magico dentro ad un campo del genere?
Poi il ragazzo del martello sorride, dice: “Allora, il mio è un martello boomerang. Lo lancio e lui torna indietro. Così posso raggiungere quelli che mi fanno del male e loro non se ne accorgono nemmeno. Sì, è anche invisibile il mio martello, lo lancio, colpisce chi deve colpire, e poi torna. Anzi, sapete che vi dico? Entra pure nelle borse della gente, e mi porta indietro dei bei soldi, così posso andare a mangiare!”.
Allora scoppiamo tutti a ridere, lui ride con noi, e a questo punto io mi chiedo: che male c’è ad insinuare in questi ragazzi il pensiero che al mondo ci sia da qualche parte un po’ di magia? Che male c’è ad immaginarci insieme un mondo un po’ diverso, che non li maltratti, e che abbia cura di loro?
In fondo i miei tre amici di Cherimus si siedono nel fango e ragionano insieme mostrando un’attenzione che questi ragazzi non sono soliti provare, quindi eccolo già davanti a me un pezzo di mondo un po’ diverso da quello che esiste qui intorno. Nessuno ha costretto i miei amici di Cherimus a venire fin quaggiù a creare con questi ragazzi un carnevale mai visto, nessuno li ha costretti a realizzare insieme a questi ragazzi qui – e non ad altri – un progetto così astratto, e assurdo, e ambizioso, ma anche molto bello, come Carnival! Nairobi. Eppure sono qui. E si divertono e vogliono esserci, e vogliono che questi ragazzi siano i protagonisti almeno di questa storia.
A questo punto sapete che vi dico? Spero durante la festa del 14 aprile di vedere nel cielo un invisibile martello volante, che colpisca chi non crede ad un cambiamento possibile, e chi non crede che nel mondo da qualche parte ci sia ancora della magia, e che possa esserci magia soprattutto in un campo come questo di Kawangware.
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