Polizia ed esercito si sono scontrati con i Masai nel distretto di Loliondo, in Tanzania. Il piano del governo è allontanarli dalle loro terre per logiche di turismo internazionale.
Il governo della Tanzania vorrebbe creare una riserva di caccia e safari affidata a operatori internazionali nel distretto di Loliondo.
Le comunità Masai che vivono legalmente nell’area si sono ribellate. Negli scontri con esercito e polizia ci sono state vittime.
Già in passato i gruppi indigeni avevano subito sfratti e violenze, tanto che era intervenuta la Corte di giustizia dell’Africa orientale.
La comunità masai del distretto di Loliondo, in Tanzania, è sotto attacco. Membri della polizia e dell’esercito si sono recati nell’area per installare una serie di segnali di demarcazione, parte di un progetto di creazione di un’area protetta di 1.500 km2 che potrebbe comportare lo sfratto dei popoli indigeni. L’intenzione del governo sembra essere quella di creare una riserva di caccia e safari affidata a operatori internazionali.
Già in passato le comunità masai, il cui stile di vita è fondamentale per la preservazione dell’ecosistema locale, hanno subito minacce di sfratto dalle loro terre per logiche di turismo internazionale. Ma stavolta non sono state a guardare: decine di loro si sono riuniti per protestare e sono arrivati allo scontro con militari e poliziotti, che hanno sparato proiettili ad altezza uomo, ferendo anche alcune donne. “Nel nome della conservazione della terra si vogliono mandare via le persone che hanno protetto quelle stesse terra per generazioni, lasciando entrare persone che pagano soldi per cacciare”, denuncia Fiore Longo, ricercatrice di Survival International.
Lo sfratto dei Masai
Nella giornata dell’8 giugno il popolo masai di Loliondo, nell’estremità settentrionale della Tanzania, ha ricevuto degli ospiti indesiderati sulle sue terre. Diversi funzionari di polizia e dell’esercito, accompagnati da agenti in tenuta antisommossa, si sono messi a installare una segnaletica di demarcazione di un’ampia area che al suo interno racchiude proprio i villaggi delle comunità indigene, in particolare tra Ololosokwan e Malambo.
Le intenzioni del governo sembrano essere chiare, tanto più alla luce delle esperienze degli scorsi anni e delle dichiarazioni di inizio giugno del ministro delle Risorse naturali e del Turismo, Damas Ndumbaro. Quest’ultimo ha annunciato un piano di trasformazione di alcune Game controlled areas – aree dove la protezione della fauna non passa dal divieto di insediamento – in Game reserves – aree dove è vietato vivere e in cui sono consentite forme di caccia volte, sulla carta, a preservare l’ecosistema. Tra queste c’è anche il distretto di Loliondo, dove da tempo sono legalmente insediate alcune comunità masai che ora potrebbero essere coinvolte in un processo di sfratto massivo per un progetto governativo che riguarderebbe un’area di 1.500 km2.
Tanzania govt is using paramilitary security forces to evict thousands of Maasai indigenous peoples from their ancestral lands in Ngorongoro District. Western govts & their conservation agencies have moral responsibility to end the unfolding tragedy by cutting all aid to the govt pic.twitter.com/mNWq5DsSgC
Un’iniziativa di protezione ambientale dietro cui in realtà si nasconderebbe il business del turismo internazionale, visto che la gestione dell’area finirebbe alla Otterlo Business Company, basata negli Emirati Arabi e nota per organizzare soggiorni e battute di caccia per i rappresentanti del regno e per i visitatori più abbienti. Già nel 2009 decine di famiglie masai erano state cacciate dalle loro terre a causa di un accordo tra la compagnia emiratina, poi accusata di corruzione, e il governo della Tanzania. E la Corte di giustizia dell’Africa orientale era intervenuta nel 2018 criticando queste pratiche e fermando, almeno fino a oggi, i processi di espulsione delle comunità indigene dalle loro terre.
La resistenza indigena
I Masai di diversi villaggi nelle scorse ore si sono raggruppati per protestare contro l’aggressione governativa alle loro terre. E la mobilitazione si è tradotta in uno scontro sanguinoso.
Quel che sta accadendo è solo l’ultimo di una serie di tentativi fatti precedentemente per sfrattare i Masai dalle loro terre, in Tanzania, per la caccia da trofeo e il turismo dei safari di lusso. pic.twitter.com/JxkQuG4er3
— Survival International Italia (@survivalitalia) June 10, 2022
Da una parte polizia ed esercito hanno sparato gas lacrimogeni e proiettili ad altezza uomo contro gli indigeni, colpendo anche diverse donne. Secondo Joseph Moses Oleshangay, attivista locale dei diritti umani, i feriti sono almeno 40. Dall’altra i Masai hanno lanciato pietre e frecce, che hanno causato la morte di un agente di polizia. Un bilancio che non è nuovo nella storia contemporanea dei Masai della Tanzania.
Già nel 1959, ai tempi della colonizzazione britannica, questi popoli indigeni hanno subito uno sfratto violento, quando hanno perso le loro terre nel Parco nazionale del Serengeti e sono stati trasferiti proprio nel distretto di Loliondo, da cui la Corona ha assicurato che non sarebbero stati più allontanati. Nel nuovo secolo però la loro sopravvivenza nella nuova area è stata messa a repentaglio. “Dal 2009 la Otterlo Business Company cerca di sfrattarli con il sostegno dell’esercito e della polizia della Tanzania”, sottolinea Fiore Longo, ricercatrice di Survival International. “L’episodio più violento è stato nel 2017, quando sono state bruciate alcune case dei Masai e hanno sparato a un ragazzo di 20 anni. A quel punto le comunità indigeni locali hanno deciso di rivolgersi alla Corte di giustizia dell’Africa orientale”.
Nonostante l’ingiunzione a favore dei Masai, la sentenza definitiva non è ancora arrivata ma potrebbe giungere proprio alla fine di giugno. “Penso che i fatti di questi ultimi giorni non siano un caso. Il governo si sta dando da fare per sfrattare i Masai prima che arrivi la sentenza”, chiosa Longo. Che sottolinea anche l’importanza dei popoli indigeni per queste terre, e viceversa. “Hanno un legame particolare con la terra, non possono essere trasferiti altrove perche quella è la loro terra ancestrale, fatta di luoghi sacri, di sepolture dei loro antenati, di pascoli per la loro sussistenza“, continua Longo. “Allo stesso tempo i Masai non sono cacciatori e hanno un rapporto assolutamente rispettoso con la fauna con cui si sono ritrovati a vivere, è una coesistenza che avviene in armonia e anzi ad esempio le zebre amano stare vicino alle mucche dei Masai perche questo significa stare lontani dai leoni”.
Un equilibrio che potrebbe presto rompersi, nonostante il governo continui a ripetere di non avere piani ufficiali di ricollocamento dei Masai. Le violenze degli ultimi giorni, che si inseriscono in un storico ultradecennale, sono però la prova della criticità della situazione.
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