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Design e materiali a protezione del respiro. Quando le mascherine diventano accessori
La qualità dell’aria è un problema per un numero sempre crescente di città nel mondo. Così le mascherine di protezione e i materiali che le compongono, divengono temi di design.
Negli ultimi anni la ricerca su materiali filtranti da indossare a protezione del respiro umano ha subito una forte accelerazione, offrendo soluzioni sempre più performative. Ma da sola l’efficacia dei materiali non sarebbe sufficiente ad avere una buona protezione. È importante il design della maschera, per garantire una buona risposta a due fattori chiave: la perfetta aderenza al viso, e la piena accettazione da parte di chi la dovrebbe indossare.
Il peggioramento della qualità dell’aria ha richiesto nuovi materiali di protezione
Non sorprendono le ragioni per le quali la ricerca nel campo dei materiali filtranti sia in costante evoluzione. Gli air quality index, gli indici di qualità dell’aria, mappano in tempo reale la quantità e concentrazione di inquinanti nelle principali città del mondo attualmente monitorate. Delhi e Pechino, per citare solo due delle metropoli dove la qualità dell’aria è stata per anni costantemente sotto la soglia di sicurezza, arrivano quotidianamente a concentrazioni del solo pm2,5, superiori a 100 microgrammi al metro cubo (dove il valore accettabile fissato dall’Organizzazione mondiale della sanità è di 10 microgrammi al metro cubo, μg) e non raramente registrano valori che vanno oltre i 300-400 μg al metro cubo. Il pm2,5, tanto più dannoso in quanto capace di raggiungere le aree più profonde del nostro apparato respiratorio, non è purtroppo l’unico fra gli inquinanti che si tenta di schermare con i materiali-filtro e l’Oms stima siano 4,2 milioni le morti premature oggi riconducibili a una elevata esposizione outdoor a agenti inquinanti di varia natura.
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Mascherine per proteggere e filtrare
Alla base delle mascherine antinquinamento c’è una medesima tecnologia, che funziona con il principio delle micro-griglie sovrapposte, per fermare, catturandole, le particelle nocive che altrimenti introdurremmo nel nostro corpo con l’inspirazione. Una tecnologia relativamente semplice, nata più di cento anni fa con l’ingresso della chimica nelle tattiche di guerra – vale a dire secoli dopo l’inizio dell’inquinamento urbano – come soluzione più efficiente del pezzo di pane bagnato da tenere in bocca coprendo il naso con un fazzoletto, utilizzato dai soldati come protezione antigas. I primi materiali filtranti sono stati i fogli di cellulosa stratificata, con un potere assorbente cinque volte maggiore del tessuto di cotone tradizionale, che avrebbero aperto la strada ai prodotti usa e getta. Il più noto fra questi materiali, il Cellucotton, venne applicato dagli americani alla prime maschere antigas.
Dall’uso militare delle mascherine a quello sanitario
Oggi il tema della protezione non è più militare: riguarda l’inquinamento atmosferico delle grandi concentrazioni urbane e la crescente aggressività delle epidemie virali, come sta accadendo con il coronavirus, capaci di mutare ed evolvere con grande velocità.
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Per proteggere selettivamente il nostro respiro dagli aggressori esterni vengono utilizzati diversi tipi di materiali, tutti basati sulla logica delle filtrazioni sovrapposte: poliuretani microporosi (che debbono alla struttura microscopica la capacità di catturare polveri e allergeni); fibre polimeriche (dal tessuto non tessuto da sovrapporre a strati – quattro per un filtraggio efficiente – alle nanofibre); o fibre naturali (che in prospettiva rappresentano la soluzione ideale per ridurre gli impatti degli smaltimenti). Ciascuna di queste soluzioni può prevedere poi l’aggiunta di strati di fibre d’argento (antibatterico e igienizzante) o di polveri di carbone attivo (assorbente, anche degli odori), per potenziare l’efficacia della protezione. In alcuni casi ai materiali autofiltranti vengono associate valvole di espirazione, per migliorare il confort soprattutto in caso di uso prolungato, riducendo umidità e calore all’interno della mascherina.
Materiali diversi per filtraggi diversi
Ai diversi materiali corrispondono dispositivi dedicati a filtraggi diversi, dato che ci sono gradi diversi di aggressività e pericolosità degli inquinanti da bloccare: dai semplici pollini stagionali ai temuti particolati, aerodispersioni di dimensioni micrometriche, capaci di depositarsi nelle aree profonde del nostro sistema respiratorio.
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In base al potere filtrante dei materiali che le compongono, le mascherine vengono classificate secondo precisi standard di valutazione, stabilite dalle norme europee per questo tipo di dispositivi, e che implicano una piena aderenza al viso. L’ffp europeo, il filtering facepiece, stabilisce che la maschera filtrante debba essere semifacciale (lascia fuori gli occhi, aderisce bene a naso e mento) e definisce tre classi di protezione.
La prima, l’ffp1 con filtro facciale di primo livello, certifica mascherine con un grado di filtrazione corrispondente al 78 per cento di particelle fino a 0,6 micron di dimensioni.
L’ffp2 certifica una filtrazione fino al 95 per cento e ffp3 certifica una filtrazione fino al 99 per cento. Gli standard americani corrispondenti sono N95 e N99. Scegliere mascherine conformi agli standard certificati è fondamentale per essere certi di ridurre significativamente l’assunzione di particelle aero disperse invisibili, come pm10 e pm2.5 che hanno diametri medi rispettivamente inferiori o uguali a 2,5 micron, e fino a 10 micron.
Le mascherine durante il coronavirus
L’attuale pandemia di coronavirus ha portato in primissimo piano il design e i materiali performativi delle mascherine anti-inquinamento, così come le aziende che vi hanno investito. In queste ultime settimane l’intero mondo del design e dell’innovazione sì è impegnato, mettendo in campo creatività e intelligenze nuove per dare un supporto concreto alle urgenze di protezione e di cura, soprattutto degli operatori sanitari.Uno dei contributi più recenti è quello dello studio inglese Foster + Partners, che ha progettato e messo a disposizione come risorsa open source, un prototipo funzionante di visiera per la protezione individuale, realizzabile con taglio laser.
Mascherine anti-inquinamento e design
Lo abbiamo chiesto a Tommaso Puccioni, co-fondatore con Stefano Bossi di Banale, la società italiana di “accessori per chi viaggia” e produttrice di mascherine antinquinamento di alta qualità, che in pochi anni hanno conquistato mercati lontani come Cina, Corea del sud e Singapore.
“Alla base di un buon prodotto c’è innanzitutto una perfetta vestibilità, perchè se la maschera non aderisce bene al viso la protezione è molto ridotta; e, naturalmente, dei filtri efficienti. Su questo fronte abbiamo scelto di non limitarci a personalizzare un filtro esistente: abbiamo cercato un partner tecnologico di alto livello che potesse affiancarci nello sviluppo di un nostro prodotto, disegnato ad hoc – ha spiegato Puccioni –. Nella sola Europa sono una ventina le aziende che producono materiali filtranti, normalmente utilizzati per tecnologie domestiche o industriali. Noi abbiamo puntato ad individuare un partner italiano che fosse disposto a fare un investimento di ricerca sul nostro prodotto. E lo abbiamo trovato nella Bls, azienda del milanese specializzata in dispositivi di protezione individuale in ambito industriale. Oggi i nostri modelli Mask e Active competono bene sul mercato premium asiatico grazie al connubio fra tecnologia e design italiano, su cui abbiamo puntato fin dall’inizio: una filtrazione efficace e la migliore vestibilità, ma anche estetica delle mascherine. L’esperienza d’uso è fondamentale in questo settore. E il design serve a garantire un’esperienza d’uso di qualità anche dal punto di vista estetico.”
Come arrivare dai filtranti a un prodotto veramente efficace?
Dati recenti dimostrano che il mercato globale delle mascherine filtranti aveva già superato nel 2018 i due miliardi e mezzo di dollari. Ma se è vero che la qualità dell’aria in peggioramento ha ampliato l’uso di questi dispositivi di protezione, e che in alcune città vengono imposti in particolari momenti di disastro meteorologico da smog, farli accettare non è scontato.
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Funzione e estetica, tecnologia e atteggiamenti culturali, vanno di pari passo nella protezione del respiro dall’inquinamento. I giapponesi e gli asiatici in generale, a esempio, sono abituati a indossare le mascherine chirurgiche per prevenire reazioni allergiche o la diffusione di malattie come raffreddore e influenza, ma il vero cambio di passo è avvenuto con le mascherine di nuova generazione, proposte come accessori urbani di design.
Prima ancora dell’efficienza tecnica la vera possibilità per questi scudi protettivi, i “facewear” come li ha chiamati qualcuno, di divenire una buona consuetudine, dipende dalla capacità del design di farne oggetti consumer, belli e apprezzabili. Oggi iniziano a essere disponibili mascherine ultraperformative di design, ben fatte ed efficaci, come nel caso dei prodotti dell’italiana Banale, a un costo relativamente contenuto, che varia a seconda che si tratti di prodotti monouso, o lavabili, duraturi e con filtri di ricambio.
Soluzioni del design da tutto il mondo
Pitta
La giapponese Pitta è una maschera che protegge dal 99 per cento dei pollini, che in Giappone sono il principale motivo di acquisto di una maschera di protezione del respiro. È basata sull’uso di un materiale innovativo, proprietario dell’azienda: un poliuretano microporoso con una struttura 3D a microscopici fori aperti, che intrappola le particelle di polline e si adatta perfettamente alla forma del viso, garantendo una filtrazione ad alte prestazioni. Il materiale stesso, declinato in colori eleganti e di tendenza, è la maschera: monostrato e con una perfetta aderenza, ottenuta semplicemente premendo con la mano sulla zona da fare aderire. La maschera inoltre può essere lavata a mano, permettendo il riuso.
Lekko
C’è anche chi, come la polacca Lekko, propone una sciarpa di protezione dallo smog. Provvista di quattro piccoli fori in corrispondenza delle due valvole di espirazione della maschera-filtro sottostante, la sciarpa è costituita da un tessuto di cotone imbottito all’esterno e tessuto micro-mesh, e dotata all’interno di un sistema di filtro intercambiabile a tre strati in nanofibre, e uno al carbone attivo. Le due valvole di espirazione, in materiale plastico, infine, sono riutilizzabili quando si sostituiscono i filtri alla mascherina interna.
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Freka
Freka, il marchio britannico-coreano molto noto in tutto il mercato asiatico (esporta in Giappone, Singapore, Hong Kong, Taiwan, Cina e Australia) nasce esplicitamente come progetto di facewear per alta protezione da inquinamento: propone una maschera disegnata per aderire perfettamente alle anse delle guance e del naso grazie a una cornice polimerica, e riutilizzabile grazie ai filtri sostituibili. Il costo di queste maschere tuttavia è piuttosto elevato (attorno a 190 euro).
Totobobo
Totobobo, di Singapore, ha sviluppato invece una maschera in elastomero anallergico trasparente, riadattabile al viso semplicemente scaldandola con un comune asciugacapelli. Allo scudo monomateriale della mascherina sono applicati due filtri in corrispondenza del naso, attivi anche per virus, e che nel caso di lunga esposizione all’inquinamento variano di colore, indicando che è il momento di sostituirli. https://youtu.be/QE6gCdGOT58
Vogmask
La californiana Vogmask di San Francisco (ma esiste anche una Vogmask Singapore) propone all’opposto una maschera di design multimateriale, pensata per il riuso. Gli strati interno ed esterno sono in cotone organico o microfibra, con aggiunta di filtro in carbone attivo derivato da gusci di cocco. Il filtro antiparticolato in microfibra tuttavia, è cucito nella parte centrale degli strati di filtranti e non è sostituibile. Ha stringhe di fissaggio in spandex, nasello in alluminio e, sui lati, due valvole per l’espirazione in Abs con tappo in silicone, che regolano l’umidità e favoriscono l’uscita della CO2. È lavabile a mano ed è fatta per durare, ma rappresenta un tema non indifferente il suo smaltimento, avendo componenti multimateriale non separabili.
Mascherine e filtri naturali
Esistono anche alternative interessanti di filtri in lana, come i filtri Helix della neozelandese Lanaco, che produce sistemi di filtraggio naturali, o il filtro neozelandese Texus, utilizzato per la maschera in lana merinos dell’americana O2safe air mask su disegno dell’olandese Marcel Wanders.
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Per la nuova generazione di maschere antinquinamento di qualità la strada dell’efficienza ambientale è ancora lunga da percorrere. Le aziende tuttavia, probabilmente ci stanno ragionando. Soprattutto ora, che la diffusione rapidissima e globale del coronavirus, se da un lato ha aumentato i consumi incontrollati delle mascherine usa e getta, dall’altro ha anche reso tutti noi più consapevoli e, nel bene e nel male, sta portando un numero sempre maggiore di persone a desiderare di avere una maschera protettiva da tenere sempre a portata di mano, come accessorio personale di qualità.
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