Mahsa Amini era stata arrestata dalla polizia religiosa a Teheran perché non indossava correttamente il velo.
Dopo alcuni giorni di custodia è morta. Secondo le autorità è stato un inferto, ma i testimoni parlano di abusi e violenze.
In pochi giorni la protesta si è allargata a tutto l’Iran. A essere presi di mira sono la polizia religiosa e il regime integralista islamico.
Da diversi giorni l’Iran è scosso da profonde proteste che hanno causato già almeno 26 vittime. Tutto è cominciato con la morte di Mahsa Amini, una 22enne originaria del Kurdistan iraniano, dopo che era stata fermata dalla polizia religiosa a Teheran perché non indossava il velo in modo corretto. Le autorità dell’Iran hanno sminuito l’episodio, parlando di morte naturale, ma diverse prove e testimonianze fanno pensare che si tratti di un omicidio di Stato.
La gente è scesa in piazza in ricordo della ragazza ma in breve tempo la mobilitazione ha raggiunto una dimensione nazionale, trasformandosi in una denuncia collettiva dell’integralismo religioso del regime iraniano ma anche delle difficili condizioni economiche del paese.
La morte di Mahsa Amini
Mahsa Amini era una 22enne del Kurdistan iraniano. Si trovava a Teheran assieme alla famiglia per visitare alcuni parenti, quando è stata fermata dalla polizia religiosa perché non indossava l’hijab, il velo islamico, secondo le radicali norme del paese. Alcuni testimoni hanno detto che la donna sarebbe stata picchiata dagli agenti all’interno del loro van. Poi l’avrebbero portata via per una sessione di “rieducazione”.
Mahsa Amini è morta tre giorni dopo, il 16 settembre. Secondo le autorità iraniane avrebbe avuto un infarto, ma i familiari contestano questa versione dal momento che la donna non aveva mai sofferto di problemi di salute. Una foto dall’ospedale, dove è stata trasportata a seguito del fermo di polizia, la mostra con diverse bende intorno al volto, come se effettivamente avesse subito dei colpi. Alcune immagini che circolano online la mostrano in effetti con diversi lividi.
Mahsa Amini, 22, is in a coma after being tortured by Iranian authorities.
This would be unacceptable no matter what, but the fact that she was arrested for improper wearing of the hijab makes it even more horrifying.
Dall’ospedale hanno fatto sapere che Mahsa Amini era arrivata già in stato di coma cerebrale. I familiari hanno denunciato di non aver mai potuto vedere l’autopsia della donna, mentre avrebbero subito pressioni istituzionali perché il funerale si svolgesse in maniera informale e privata, di notte, per evitare tensioni. Intanto, a una settimana dal decesso, un medico membro del consiglio della Società di Neurochirurgia dell’Iranha fatto sapere che la donna era stata operata al cervello all’età di 8 anni e che la sua morte potrebbe essere correlata a questo. Il fatto che questo dettaglio sia stato rivelato dopo così tanti giorni è stato giudicato da più parti sospetto e poco credibile.
Le proteste del popolo iraniano
Il ministro dell’Interno ha aperto un’inchiesta sull’accaduto e il presidente dell’Iran, Ebrahim Raisi, ha fatto le sue condoglianze alla famiglia. Ma la morte della donna non è passata inosservata e ha portato in piazza sempre più persone negli ultimi giorni, inizialmente in una richiesta più localizzata di verità sull’accaduto, poi in una denuncia nazionale del radicalismo religioso del regime sciiita e delle difficili condizioni economiche in cui versa il paese.
Wow, I’m speechless.
An old lady, with head uncovered, walks through the city of Rasht in northern #Iran chanting “death to Khamenei.”pic.twitter.com/WfNow9ZR8Z
Le proteste più forti ci sono state nella regione del Kurdistan iraniano, terra di Mahsa Amini. Secondo il Kurdistan human rights group le forze di sicurezza avrebbero ucciso decine di manifestanti nella regione, i feriti sarebbero più di 700 e gli arresti nell’ordine delle centinaia. Diversi esercizi commerciali della regione hanno tenuto le serrande abbassate in segno di protesta per la morte di Mahsa Amini. E con il passare delle ore la protesta si è allargata a decine di altre città del paese, coinvolgendo anche la capitale Teheran e alcune sue università.
In piazza negli ultimi giorni si sono viste soprattutto donne, che in molti casi hanno simbolicamente tolto i loro veli gettandoli in terra o dandoli alle fiamme. Alcune si sono poi fatte tagliare i capelli in piazza, un gesto non conforme con la legge religiosa del paese. Nei video che circolano su internet si sentono poi cori come “morte al dittatore” contro Ruhollah Khomeini e Ali Khamenei, l’ex e l’attuale Guida suprema dell’Iran. Manifesti e simboli di questi ultimi sono stati distrutti in diverse città.
Unprecedented scenes in Iran: woman sits on top of utility box and cuts her hair in main square in Kerman to protest death of Mahsa Amini after her arrest by the morality police. People clap their hands and chant “Death to the dictator.” #مهسا_امینیpic.twitter.com/2oyuKV80Ac
Le forze di sicurezza hanno risposto con gas lacrimogeni, cannoni ad acqua e cariche, il bilancio ufficiale governativo per ora è di 26 morti complessivi tra cui due agenti, ma i numeri dellle associazioni non governative sono molto più alti. Questo non ha fermato la forza dei moti sociali in corso. La richiesta delle manifestanti riguarda l’abolizione della polizia religiosa, che peraltro ha assunto un ruolo ancora più radicale dopo che ad agosto il presidente Raisi ha firmato una legge più restrittiva sull’abbigliamento femminile.
Nelle scorse settimane altre donne, come l’artista Sepideh Rashno, avevano subito violenze e torture da parte degli agenti proprio come sarebbe successo nel caso di Mahsa Amini. Anche il Partito della Fiducia Nazionale, partito politico riformista dell’Iran, ha chiesto che venga sciolta la polizia religiosa e critiche al suo operato sono arrivate persino da autorità religiose locali. Nel frattempo il governo ha messo in atto dei blackout di internet per rendere più difficile l’organizzazione delle proteste tra i manifestanti.
La difficile condizione delle donne in Iran
“È frustrante per le donne non avere diritti umani minimi e non essere libere di fare ciò che si vuole, c’è una grande discriminazione per le donne in Iran che ha un impatto devastante su di loro nella carriera, nell’istruzione e persino nella famiglia”, racconta Sadira, una ragazza iraniana 32enne che ora vive in Europa per lavoro. In Iran le donne occupano solo il 5 per cento dei seggi parlamentari, una donna su cinque spende le sue giornate in lavori domestici familiari non retribuiti, le donne arrivano a guadagnare solo il 18 per cento di quanto guadagna un uomo e il 17 per cento delle donne tra 15 e 49 anni dichiara di aver subito violenza nell’ultimo anno. Non è un caso che il paese si trovi al 144esimo posto nel Global gender gap index del World economic forum.
“Al di là di tutti questi problemi economici e sociali per le donne in Iran, penso che non sia più tollerabile non avere nemmeno la libertà nel vestirsi“, continua Sadira. La sua famiglia, che vive in Iran, non è scesa in piazza ma sostiene ugualmente le sollevazioni. “Per ora non hanno partecipato alle proteste ma pensano che stia succedendo qualcosa di diverso rispetto alle manifestazioni del passato, hanno la sensazione che stavolta potrebbero davvero verificarsi dei cambiamenti. Io non so come andrà a finire, ma un risultato intanto è stato raggiunto: essere ascoltati dal mondo intero“.
Il segretario di Stato americano Antony Blinkenha intimato all’Iran di porre fine alla persecuzione delle donne, la ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock ha parlato di “un attacco brutale” alle donne e prese di posizione contro il governo iraniano sono arrivate un po’ da tutto il mondo. Per ora il regime prosegue per la sua strada: nelle scorse ore il presidente iraniano Raisi si è rifiutato di rilasciare un’intervista alla Cnn perché la giornalista Christiane Amanpour non indossava il velo,
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