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Massimo Mercati, Aboca. Il successo delle imprese sarà sempre più legato al loro impatto sociale e ambientale
L’amministratore delegato di Aboca, Massimo Mercati, ha un’idea ben precisa di cosa significhi fare impresa. Ce lo racconta in attesa del festival A seminar la buona pianta, che sarà a Milano dal 28 al 30 settembre.
Ha collaborato Chiara Boracchi
Qualsiasi azienda per forza di cose deve fare profitti, ma la sua missione non si ferma qui. Altrettanto importante è che influisca positivamente sull’ambiente, sulla società e sul territorio in cui opera. Tanto più perché le aspettative del pubblico, su questi temi, sono sempre più alte. Parola di Massimo Mercati, amministratore delegato di Aboca, leader nell’innovazione di prodotti terapeutici a base di complessi molecolari naturali.
L’abbiamo raggiunto alla vigilia di A seminar la buona pianta, il festival ideato e prodotto da Aboca che animerà Milano dal 28 al 30 settembre. L’ecologia sarà come sempre il filo conduttore di una serie di eventi molto eterogenei: attività di condivisione (come la lettura collettiva dell’enciclica Laudato Si’ di Papa Francesco), passeggiate guidate all’Orto Botanico di Brera e alla Darsena, proiezioni cinematografiche, convegni e attività per famiglie.
-3 all’appuntamento con #labuonapianta! Vi aspettiamo a Milano per far crescere #insieme la consapevolezza condivisa di quanto sia importante il rapporto tra uomo e #natura, e quanto sia necessario l’impegno di tutti per il bene comune. https://t.co/GnhEwIYpw0 pic.twitter.com/hLxjxhKswL
— Aboca (@AbocaIT) 25 settembre 2018
Prende il via il 28 settembre a Milano il festival A seminar la buona pianta. Questa è la settima edizione: quali sono gli insegnamenti (e anche le soddisfazioni) più grandi che avete raccolto in questi anni? Come si è evoluto il vostro rapporto con il territorio?
A seminar la buona pianta ormai costituisce una realtà importante e, come sempre nel caso degli eventi culturali di Aboca, ha una doppia valenza. Da un lato quella di comunicare i valori in cui crediamo; e pensiamo che da questo punto di vista i riscontri ottenuti in questi anni siano stati significativi. Ma è anche un’iniziativa di ricerca, che continua a coinvolgere nuovi temi e nuovi attori. Per me il risultato più importante sta nel fatto che da A seminar la buona pianta siano nati tanti altri progetti: il disco e il tour Botanica dei Deproducers in collaborazione con il professor Stefano Mancuso; lo spettacolo Non ci sono più le quattro stagioni di Luca Mercalli e la Banda Osiris. Quest’anno ci sarà lo spettacolo Acquadueo e pubblicheremo “Sull’acqua”, il nuovo libro di Michele Serra.
Con il territorio altresì noi lavoriamo molto. Milano è diventata la patria di A seminar la buona pianta, creando tante relazioni, a partire da quella con l’Orto Botanico di Brera o con la Fondazione Feltrinelli dove si svolgeranno gli incontri. Quest’anno il convegno di punta si terrà venerdì 28 settembre alle 16 a Palazzo Mezzanotte, sede della Borsa Italiana, dove parleremo di impresa responsabile. È proprio il luogo elettivo in cui porsi domande su concetti che hanno fortissimi punti di contatto con la visione di deep ecology che noi portiamo avanti.
Proprio nel suo intervento a Palazzo Mezzanotte lei parlerà di impresa come di sistema vivente. Cosa intende con questa espressione?
Come ci insegna il nostro percorso di ricerca sul rapporto uomo-natura, l’impresa è una rete sociale strutturalmente collegata all’ambiente e alla società in cui si sviluppa. Questa è una caratteristica di base dei sistemi viventi, che sono sistemi a rete interconnessi. Da qui derivano dei principi sulle finalità stesse dell’impresa. Il concetto di valore va inserito in una visione sistemica, dove valore non è solo la massimizzazione del profitto ma è l’equilibrio crescita-decrescita. Da qui, tutta una serie di metodiche per la gestione della complessità del sistema e della rete.
Non riusciremo a esaurire una tematica così ampia, ma ci auguriamo di dare degli spunti di riflessione alla comunità finanziaria e alle persone che parteciperanno all’incontro.
Può citare alcune scelte concrete con cui Aboca mette in pratica questa filosofia?
Aboca innanzitutto nasce come impresa agricola e ha nel suo dna la necessità di una forte integrazione col territorio e con l’ambiente, per una semplice ragione: se non facessimo così, saremmo destinati a chiudere. I temi dei cambiamenti climatici, dell’inquinamento e così via sono alla radice del nostro fare impresa. Lavoriamo molto sulla comunicazione ai dipendenti e facciamo una vera e propria formazione a tutti i livelli per condividere il fatto che la finalità dell’impresa non sia soltanto quella di generare profitto, ma molto di più. A partire da qui le scelte concrete sono tantissime: agricoltura biologica, certificazione per la biodiversità, formazione sui temi dell’integrazione, corsi sul rispetto delle donne.
Siamo inoltre convinti del fatto che l’impresa non debba solo fare business, ma anche comunicare le proprie idee. Il cuore di Aboca è il percorso di ricerca per trovare in natura delle risposte ai nostri problemi di salute, nel rispetto dell’uomo e dell’ambiente. Questo concetto è già dentro di noi, quindi con questi incontri non facciamo altro che estrarre questa visione (per riprendere un termine legato alla nostra attività), riconoscerla e comunicarla.
Lei ha già accennato al fatto che la sostenibilità deve guidare fin dall’inizio la vita di un’impresa, non deve essere quindi una compensazione per le esternalità negative che produce. In altri termini, non c’è da un lato il profitto e dall’altro lato la sostenibilità come “prezzo da pagare” per riparare i danni. Quali sono secondo lei gli esempi, anche internazionali, che dimostrano che questa visione può essere messa in pratica?
Oggi questo concetto, in cui abbiamo sempre creduto e che abbiamo sempre attuato, è diventato la base di un fenomeno globale, quello delle benefit corporation e B corp. Il primo esempio fu Patagonia.
In Italia, com’era successo negli Stati Uniti, la legge ha istituito le società benefit, cioè società per azioni che inseriscono all’interno dello statuto i fini sociali che devono perseguire e si impegnano a dimostrare il loro impatto sull’ambiente, la società, i lavoratori e gli altri stakeholder, sulla base di una reportistica standard e certificata da terzi.
Non si può più pensare di ragionare in termini di sostenibilità come compensazione: questa logica è vecchia e va superata. Secondo la nostra Costituzione e le fondamenta del diritto, l’impresa è un soggetto a cui viene riconosciuta personalità giuridica in quanto ha una funzione economico-sociale. Questa funzione economico-sociale non si può ridurre alla mera creazione di profitto per gli azionisti, né alla compensazione delle esternalità: l’impresa deve al tempo stesso fare profitto e produrre benefici per la società e l’ambiente. Inizia a essere evidente il fatto che questo sia oggi possibile e, anzi, sia la condizione per il successo delle imprese del futuro.
Forse Aboca con i suoi numeri può dimostrare che trovare un equilibrio tra questi elementi è possibile. Anzi, è possibile proprio invertire la prospettiva: non si va a vendere per creare valore, ma prima si crea valore e poi si vende. Questo viene riconosciuto dalle persone, che iniziano a giudicare le aziende sulla base di un rapporto reale di fiducia. Fiducia significa, a nostro avviso, prima dare e poi ricevere.
Questo modo di fare impresa è legato anche alla collaborazione con Fritjof Capra e il Centre for Center for Ecoliteracy di Berkeley?
Fritjof Capra è un grande amico ed è un punto di riferimento per noi a livello concettuale, proprio perché è stato lui a enucleare per primo questo accoppiamento strutturale uomo-ambiente, impresa-società, che è alla base della cosiddetta ecologia profonda (deep ecology). Capra ci ha anche fornito le chiavi – che poi abbiamo sviluppato e integrato – della logica di applicazione concreta di questa visione nella gestione dell’azienda. Sicuramente il concetto di crescita qualitativa, da lui sviluppato, è fondamentale. Attorno a lui, tante altre persone in questi anni hanno contribuito ad arricchire questo pensiero.
Per noi questo approccio non è una novità, ma oggi possiamo iniziare a condividerlo con gli altri e avviare una discussione. Questo perché non siamo noi a cambiare il mercato: è il mercato che sta cambiando. Se non impariamo realmente cosa significa sostenibilità e continuiamo a pensare che possa esserci una crescita illimitata in un pianeta a risorse finite, ci estingueremo.
Lei prima ha parlato di numeri, cioè di misurazione dei risultati dei progetti. Qual è il metodo adottato da Aboca?
Aboca si è trasformata in società benefit il 24 agosto, cambiando il suo statuto. A questo punto ci assoggetteremo a una certificazione esterna dell’impatto: abbiamo scelto il business impact assessment, adottato dall’organizzazione internazionale delle B Corp. Abbiamo già fatto lo stesso percorso per la società delle farmacie comunali di Firenze, che fa parte del nostro gruppo ed è stata trasformata in società benefit ad aprile; ora quindi presenteremo il primo rendiconto. Questo è uno degli standard di misurazione più impegnativi perché affronta in maniera dettagliata tutti gli aspetti del possibile impatto e in più consente la certificazione privata come B corp.
Aboca oggi è presente in 14 paesi e quindi vive in prima persona una sfida: quella di esportare il proprio modello senza snaturarsi. Come la affrontate?
Le sfide sono molteplici: da una parte l’internazionalizzazione, dall’altra la crescita. Aboca negli ultimi 5 anni ha quasi raddoppiato il fatturato e la forza lavoro, che oggi è compresa tra le 1.300 e le 1.400 persone. Stiamo affrontando un salto, da azienda familiare ad azienda manageriale. Il nostro fatturato dovrebbe chiudere quest’anno intorno ai 215 milioni di euro, ed è quindi di dimensioni ridotte rispetto al mercato in cui operiamo, ma già richiede modalità di organizzazione diverse.
In questo percorso di espansione, internazionalizzazione e investimenti, che stiamo impostando da circa un anno, ho un motto: cambiare per non cambiare. In altri termini, dobbiamo adattarci al nuovo contesto, ma restando fedeli ai nostri valori.
A me sembra che questo concetto funzioni molto bene se torniamo all’inizio di questa conversazione, se cioè siamo in grado di identificare le finalità dell’impresa e, al loro interno, decodificare dei valori che guidino le azioni di tutti i giorni. Valori non specificamente inerenti al business di questo preciso momento, che magari domani sarà già cambiato, ma che siano alla base della guida dell’azienda e delle attività di ciascuno.
Per questo, durante la festa per i quarant’anni di Aboca, abbiamo scelto di lavorare proprio sul tema dell’impresa come sistema vivente, coinvolgendo oltre 500 collaboratori. Cambiare per non cambiare, infatti, è un qualcosa che si può fare soltanto se c’è una forte identità d’azienda e se tutti condividono dei valori reali, che si possano decodificare in comportamenti oggettivi e misurabili.
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