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Teneri bulloni, i robot di Massimo Sirelli maestro dell’arte con riciclo
Massimo Sirelli, artista di riferimento per l’upcycling e il riuso creativo, si racconta in concomitanza con la mostra al museo Marca di Catanzaro lo vede protagonista fino al 30 agosto.
Massimo Sirelli è il punto di riferimento in Italia per l’arte applicata al concetto di upcycling, quella speciale forma di creatività attraverso la quale materiali di scarto vengono trasformati in oggetti di valore esponenziale.
La sua ricerca artistica, che affonda le radici nel mondo del writing, ha finito per scontrarsi nel corso degli anni col suo eterno spirito fanciullesco. Hanno così preso forma i suoi incredibili robot: creature assemblate con oggetti provenienti dai mercati, dagli scaffali, dalle strade di tutto il mondo, ognuno dotato di una sua personalissima identità e una storia da raccontare.
Sirelli è talmente affezionato a queste sue creature fantastiche, da aver ideato la prima casa al mondo per adozioni di robot da compagnia al mondo. Un progetto nato dalla voglia di sperimentare una forma di creatività consapevole che mette in primo piano l’aspetto emozionale della materia attraverso la cultura del riuso applicata al design.
Teneri bulloni rappresenta la consacrazione finale di questo ambizioso progetto, in mostra a partire dal 7 giugno e fino al 30 agosto al museo Marca di Catanzaro, sotto l’egida del direttore artistico Rocco Guglielmo. Massimo Sirelli racconta in questa intervista il mondo di questi simpaticissimi robot.
Come nasce l’idea di realizzare questi robot?
L’idea nasce dalla mia passione per i giocattoli e gli oggetti più strani a cui ero affezionato da piccolo. Ho messo tutto insieme, aggiungendo passione e divertimento.
Raccontaci del tuo passato da street artist e delle fonti di ispirazione che alimentano la tua arte?
Più che di street artist, il mio è un passato da vero e proprio writer. Negli anni Novanta scrivevo il mio nome ovunque fosse possibile: treni, muri, tetti e tunnel. Chiaramente questa lunga parentesi della mia vita è stata un palestra creativa non indifferente, che ha influenzato prima il mio lavoro in pubblicità e poi ogni mia opera artistica successiva.
Il progetto della casa per adozioni porta avanti due istanze in parallelo. Da un lato sviluppa un’idea creativa per riciclare e dare nuova vita a materiali di scarto, dall’altro conferisce un’anima a questi robot, rendendoli quasi umani. Come hai mantenuto in equilibrio questi due temi portanti?
È difficile spiegare quello che si riesce a fare in maniera inconsapevole. Io lavoro a questi robot con amore e divertimento, e quando fai una cosa che ti piace curi ogni dettaglio fino all’estremo: questo fa sì che loro abbiano anima. Il lavoro di riuso è sicuramente nobile, ma penso che lo sia ancor di più il riciclo di storia e di vita. Grazie a questi robot rivivono storie e persone.
Hai usato molta letteratura fantastica e fumetto di fantascienza. Possiamo dire che i robot vivono in un mondo fiabesco?
Sì, è proprio così. Quando scrivo le storie dei miei robot mi piace creare collegamenti sottili tra tante cose: musica, arte, attualità, fumetti, cartoni animati, storia antica e cultura moderna. Loro sono vivi perché parlano come noi e di quello che viviamo e conosciamo, solo che lo fanno con un linguaggio più semplice e divertente.
Quale immaginario artistico ti ha dato maggiori spunti?
Di sicuro tutta la cinematografia che si rifà alla robotica fantastica. Compaiono robot animati da sempre e sono loro che rivivono nelle mie creature.
È vero che ogni pezzo, ogni materiale usato per costruirli ha una sua storia?
Ogni pezzo ha una storia. Ogni storia è un pezzo di vita. Ad esempio, Lento Piano come testa ha una sveglia rimasta sul comodino di mia mamma per oltre 30 anni. La storia di questa sveglia viene raccontata con grande sincerità sulla scheda del robot.
Cosa deve aspettarsi chi visita la mostra?
La mostra è un progetto molto grande. Ci sono oltre sessanta sculture esposte. Da piccoli robot che stanno nel palmo di una mano fino ad animali che superano le dimensioni umane. Questa mostra è ricchissima di suggestioni, riferimenti, scrittura, pensieri e centinaia di componenti uniti insieme. Il gioco per chi osserva è anche provare a capirne la provenienza.
Il tema del riuso e del recupero è da molti anni una priorità per molti artisti. Quali percorsi si potrebbero ancora esplorare e quali sono i tuoi futuri progetti in questo senso?
Tutta la mia produzione artistica si basa sul riuso. Anche quando dipingo, solitamente uso come superfici qualunque cosa mi ispiri: lamiere, arredi urbani, poster pubblicitari o carta stampata. Nel mio futuro vedo opere di dimensione monumentale fatte per il grande pubblico e realizzate come sempre utilizzando materiale di recupero.
Com’è la situazione ambientale in Italia e nel resto del mondo vista da un artista che ha vissuto nelle grandi città?
Credo che dovremmo fermarci a riflettere sulle cose essenziali di cui realmente abbiamo bisogno. Siamo pieni di cose inutili che ci rubano tempo, soldi e attenzione. Tutte queste cose stanno distruggendo le nostre vite e il pianeta. Da tempo ho avviato un percorso per vivere con meno: poche cose belle ed essenziali. Pochi vestiti, pochi oggetti in casa e così vivo meglio. Da tre anni ormai non ho più nemmeno l’auto e uso solo la sharing mobility e i mezzi di trasporto. Forse è arrivato il momento di chiudere, o aprire, gli occhi e smetterla di essere vittime di tutti questi falsi bisogni indotti dalla macchina del consumismo. Allora dico “viva i robot” che hanno un’anima e fanno bene al cuore.
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