Due termini correlati che esprimono concetti leggermente diversi. Abbiamo chiesto aiuto a Vidas per capire.
Realizzazione spirituale, il cuore dello yoga
Lo yoga tramandato dalla tradizione orale e dai testi classici è unanime nel considerare la realizzazione spirituale come obbiettivo della pratica
Lo yoga tramandato dalla tradizione orale e dai testi classici
è unanime nel considerare la realizzazione spirituale
individuale come obbiettivo della pratica, sia che si privilegino
fin dall’inizio le tecniche meditative (Raja-yoga), sia
che a esse si giunga attraverso il lavoro corporeo (Hatha-yoga). In
entrambi i casi la meditazione è il cuore della pratica,
essendo i due filoni menzionati sopra come due facce della medesima
medaglia.
In Occidente si tende ad assimilare lo yoga alla pratica delle
posizioni (asana, in
sanscrito) con il rischio di trasformare la disciplina in semplice
esercizio fisico. Dell’aspetto fisico della disciplina il Raja-yoga
si occupa poco, dando per scontato che l’abilità nelle
posizioni sia già stata acquisita in precedenza. Per
Patanjali, codificatore del sistema nel testo intitolato “Yoga
Sutra”, la posizione deve essere comoda e stabile, realizzata
attraverso il rilassamento. A livello mentale, essa sarà in
grado di riflettere l’infinito. Evidentemente ci si riferisce qui
alla postura meditativa e alla possibilità, attraverso la
meditazione, di risalire dal condizionamento materiale, in cui
l’esistenza ordinaria si sviluppa, alla realtà spirituale
che non ha confini. Oltre corpo, respiro e mente, la filosofia dello
yoga afferma l’esistenza in noi di una dimensione non
soggetta a nascita né a morte, infinita, completa, priva di
dualità, caratterizzata da assoluta essenza, assoluta
coscienza, assoluta beatitudine.
Nell’Hatha-yoga il discorso sulle posture è più
articolato…
Nell’Hatha-yoga il discorso sulle posture è più
articolato. Il testo più noto di questa tradizione,
“Hatha-yoga Pradipika”, menziona 84 asana, assieme a tecniche di
pranayama (per l’espansione e il controllo dell’energia vitale o
prana),
tecniche di concentrazioni e altro. Si tratta di un complesso di
azioni fisiche la cui finalità sta comunque nel promuovere
uno stato mentale adatto alla meditazione.
La chiave interpretativa per trasformare la postura dello yoga
in atto di meditazione è la conoscenza del corpo sottile,
cioè del complesso sistema energetico che attraversa
l’intero corpo umano veicolando il prana attraverso i sette centri
principali chiamati chakra (posti lungo la colonna vertebrale) e
le nadi,
canali di scorrimento del prana.
Occorre però applicare una certa gradualità
nell’apprendimento.
Se chi si ferma all’aspetto fisico dello yoga commette errore di
omissione, chi si lancia (e, peggio, lancia altri) sul sentiero
della banalizzazione delle tecniche di pranayama, induce in un
errore assai più grave: i danni causati al corpo fisico
possono essere guariti relativamente presto, ma i danni in cui
incorre il corpo sottile sono molto difficili da affrontare. Ecco
perché nella tradizione e nei
testi si afferma la necessità di un guru, un maestro
spirituale, per incamminarsi sul sentiero del pranayama. E deve
essere un maestro autentico, di una tradizione vivente.
Ma perché si medita? Si medita per raggiungere la
consapevolezza di essere uno con quella realtà trascendente
celata entro la nostra vicenda biografica, perché, come
affermano i testi, senza questa consapevolezza non può
esservi felicità. Il genere di felicità e pienezza di
cui si fa esperienza non è un egoistico ripiegamento su se
stessi, ma racchiude ogni manifestazione della vita, perché
in meditazione non si è mai soli: tutti i nostri amici,
tutti i nostri nemici sono presenti, qualità positive e
negative che incontriamo nell’esplorazione interiore, ogniqualvolta
ci poniamo in posizione seduta e immobile, gli occhi chiusi e il
respiro fluente, profondo e silenzioso.
Qualità evidenti a noi stessi o sedimentate in un
profondo che ci sfugge, rigidi schemi di pensiero che proiettiamo
all’esterno, sul volto e nel nome delle persone che incontriamo nei
giorni della vita. Se sappiamo vedere il bene e il male con
l’occhio unico della saggezza, purificando progressivamente la
mente grazie alla meditazione, allora la danza degli opposti
cederà il passo all’immobilità equanime del Buddha
che ha risvegliato se stesso alla sua vera natura.
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