Mediterraneo, undici migranti muoiono in mare al largo della Tunisia

Undici persone sono morte in un naufragio al largo delle coste della Tunisia. 12 invece i dispersi. Una ricerca denuncia il “razzismo” delle istituzioni.

  • Un naufragio al largo della Tunisia provoca 11 morti e 12 dispersi.
  • Nel 2022 sono oltre 1.000 le vittime nel mar Mediterraneo.
  • Di recente, sei persone tra cui due bambini sono morti di stenti su un’imbarcazione proveniente dalla Siria.

La guardia costiera della Tunisia ha soccorso 37 migranti a bordo di un’imbarcazione diretta in Italia. La barca tunisina, partita dalla regione di Sfax, è affondata a circa 60 chilometri al largo della città portuale di Chebba. Per ora il bilancio delle vittime è di 11 persone, mentre 12 sono ancora disperse.

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Un salvataggio nel Mediterraneo a opera di Moas © Chris McGrath/Getty Images

Oltre 1.000 i morti nel Mediterraneo

La costa intorno a Sfax è diventata un importante punto di partenza per le persone che cercano di attraversare il Mediterraneo, nella speranza di raggiungere l’Europa. L’isola italiana di Lampedusa si trova tra la costa orientale della Tunisia e la Sicilia ed è quindi diventata una destinazione gettonata per coloro che tentano di raggiungere l’Europa dal Nordafrica.

Tra gennaio e agosto di quest’anno, ci sono stati 52mila gli ingressi definiti “irregolari” attraverso la rotta del Mediterraneo centrale secondo l’agenzia di frontiera europea Frontex. Oltre 1.000 di questi sono morti, secondo i dati del progetto Missing migrant dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), di cui 960 annegati. Dal 2014, il progetto ha contato 17mila tra morti e dispersi.

E le tragedie non si fermano qui: di recente, sei persone, tra cui due bambini piccoli, sono morti di stenti a bordo del barcone proveniente dalla Siria con cui tentavano di raggiungere l’Italia. Alarm Phone ha lanciato l’allerta per un’altra imbarcazione con 250 persone a bordo, partita dal Libano e alla deriva in zona Sar maltese, su cui sarebbe morta una neonata di tre mesi.

La Tunisia non è un paese sicuro

Nel frattempo, una ricerca condotta da tre università – l’università tunisina di Sousse, dalla Ca’ Foscari di Venezia e dalla Paul Valery di Montpellier – sulle conseguenze dell’esternalizzazione delle frontiere europee in Tunisia mette in discussione lo status della Tunisia come “paese sicuro” che, si trova scritto nella ricerca, “impedisce a circa 9.000 rifugiati e richiedenti asilo di lasciare il Paese”.

Lo studio mette in luce il carattere politico di alcune leggi solo apparentemente neutrali del diritto internazionale: da una parte le categorizzazioni di “migranti economici”, “rifugiati”, “vulnerabilità”, “paese sicuro”, dall’altro le legislazioni in materia di accesso ai visti e fruibilità dei passaporti.

Questi, sostiene la ricerca, “sono strumentali alla difesa delle frontiere degli stati europei”, con conseguenze gravissime per le persone che desiderano raggiungerli. In tal senso, il sistema dei visti e delle frontiere europee è descritto come “un sistema fondato sul razzismo istituzionale, nonché mosso da logiche di sfruttamento delle persone il cui movimento viene reso illegale per scopi politici”.

Il tema ha una certa urgenza, poiché si parla della vita delle persone. Inutile dire che un blocco navale, così come proposto in passato e durante l’attuale campagna elettorale in Italia, non è la risposta a questo tipo di emergenza.

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