Dal 1869, quando fu aperto il Canale di Suez – canale artificiale che collega mar Mediterraneo e mar Rosso – moltissime specie tropicali iniziarono il loro spostamento verso le acque mediterranee. Con trasferimenti più o meno autonomi, favoriti dalle numerose imbarcazioni che solcano giornalmente il canale (più di 17mila navi all’anno), queste specie sono riuscite, e continuano tuttora, ad attraversare queste acque intrappolate nelle zavorre o attaccate agli scafi delle navi. Vengono definite specie alloctone, o aliene, poiché a causa dell’azione dell’uomo (sia volontaria che involontaria) si stabilizzano in un ambiente diverso da quello originario. Le specie aliene unite al riscaldamento delle acque marine, causato dai cambiamenti climatici, stanno rendendo il mar Mediterraneo sempre più tropicale.
Le minacce delle specie aliene
Più di 900 specie alloctone sono registrate nel Mediterraneo e nel mar Nero, 700 di queste sono concentrate solo nel bacino orientale del Mediterraneo, secondo quanto riporta il rapporto del 2021 realizzato dalla Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo (Gfcm) dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao).
“I cambiamenti climatici e le attività umane hanno avuto un grosso impatto sul Mediterraneo. Stiamo assistendo ad una rapida ed estrema alterazione degli ecosistemi marini che ha impattato significativamente sul sostentamento delle comunità locali”, ha affermato Stefano Lelli, esperto di pesca del Gfcm per l’area orientale del Mediterraneo.
Le specie alloctone rappresentano una seria minaccia per le specie e gli ecosistemi autoctoni, poiché una volta insediate possono eliminare le specie indigene e rimodellare l’ecosistema, diventando invasive. Inoltre, creano diversi problemi anche per l’uomo sia dal punto di vista economico, con danni alla pesca e al turismo, sia per la salute, poiché molte di esse sono velenose o tossiche, ad esempio, il pesce palla o alcune specie di meduse.
— General Fisheries Commission for the Mediterranean (@UN_FAO_GFCM) June 2, 2022
La migrazione dal mar Rosso al Mediterraneo
Con il termine lessepsiana si indica la migrazione incrociata di specie marine, sia animali che vegetali, dal mar Rosso al mar Mediterraneo. Questo nome trae origine da Ferdinand de Lesseps, diplomatico francese a cui fu dato l’incarico della costruzione del Canale (il progetto del canale fu realizzato da Luigi Negrelli, ingegnere italiano). La migrazione lessepsiana incominciò una volta aperto il Canale, così pesci, crostacei, molluschi, altri animali e piante marine hanno iniziato i loro trasferimenti tra due ecosistemi naturalmente separati.
La migrazione dal mar Rosso al mar Mediterraneo è molto più frequente rispetto a quella nel senso opposto, probabilmente a causa dalla poca ricchezza di specie nel bacino orientale del Mediterraneo, che ha consentito l’insediamento delle specie tropicali in nicchie ecologiche lasciate libere. Negli ultimi anni questa tendenza è stata catalizzata dall’incremento delle temperature dell’acqua, fattore che in passato poteva ostacolare l’insediamento delle specie alloctone che necessitavano acque più calde.
Alcuni esempi di specie alloctone nel Mediterraneo
Il granchio blu nuotatore (Portunus segnis) ha origini indo-pacifiche e le sue prime segnalazioni nel Mediterraneo sono avvenute pochi anni dopo l’apertura del Canale di Suez. È un crostaceo molto prolifico che si riproduce quattro volte l’anno con le femmine depongono circa 100mila uova. Come per altre specie invasive, la sua proliferazione è stata favorita dall’aumento della temperatura dell’acqua (la sua temperatura ideale per riprodursi si aggira intorno ai 30°C). Favorita dall’aumento delle temperature anche la comparsa del pesce coniglio scuro e marezzato (Siganus luridus e rivulatus). Questi pesci divorano la vegetazione marina, distruggendo l’habitat dei pesci nativi, nelle zone della Grecia e della Turchia hanno distrutto circa il 65 per cento della vegetazione autoctona.
Il pesce scorpione (Pterois miles) – per citare un esempio di pesce che può essere pericoloso anche per l’uomo –, è un pesce molto aggressivo con lunghe spine velenose sul dorso. Attualmente è ben radicato nelle aree orientali del Mediterraneo ma si sta espandendo facendo registrare alcuni individui anche in Sicilia. Si nutre principalmente di grandi quantità di piccoli pesci e crostacei autoctoni, infatti, secondo una recente analisi portata avanti dal Wwf il 95 per cento del contenuto del suo stomaco era composto da specie autoctone. “Negli ultimi decenni, l’esplosione del numero di specie aliene nel bacino del Mediterraneo sta avendo conseguenze catastrofiche per la biodiversità nativa, e l’interazione con i nuovi arrivati sta completamente sconvolgendo la stabilità degli ecosistemi”, è quanto riportato dagli autori dell’analisi.
Da minaccia a opportunità
“Il Mediterraneo sta cambiando, l’unica soluzione è adattarsi”, sono le parole di Jamila Ben Souissi ricercatrice e membro della Commissione internazionale per l’esplorazione scientifica del Mediterraneo (Ciesm), riguardo al fatto che con i cambiamenti climatici in atto sarà impossibile arrestare la diffusione, e la proliferazione, di questi invasori nel Mediterraneo. Tuttavia, questa situazione da un lato critica dall’altro può rivelarsi vantaggiosa, sia per l’uomo che per le specie autoctone e l’ambiente.
Un esempio arriva dalla Turchia: i pescatori hanno stimato che l’80 per cento dei pesci pescati sono specie invasive; quindi, hanno creato un nuovo mercato rivolto al consumo di queste specie. Il pesce scorpione, i pesci coniglio, il pesce scoiattolo, i ricci di mare e molte altre possono essere catturati in grande quantità e avere un potenziale sul mercato incredibile. Oppure in Tunisia dove due specie di granchio blu, inizialmente dannose sono diventate una fonte redditizia. Con le loro chele affilate rovinano le reti da pesca e si nutrono di altre specie di pesci catturate. Ora invece, grazie al supporto della Fao e del Governo tunisino – che ha aiutato i pescatori ad entrare nel mercato – sono diventati un’ottima fonte di guadagno (questo granchio blu è il quinto più popolare sul mercato mondiale)
Questa strategia, associata alla creazione di aree protette, in cui la pesca è controllata, potrebbe favorire il mantenimento e la conservazione degli ecosistemi marini autoctoni gravemente minacciati. In una situazione fortemente compromessa, a quanto pare, l’unica soluzione rimane l’adattamento, che se fatto in maniera intelligente potrebbe portare molteplici benefici.
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