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La meraviglia è un farmaco naturale. Il nuovo libro di Daniel Lumera è un ritorno all’integrità
Nel libro “Come se tutto fosse un miracolo”, Daniel Lumera ci mostra il sentiero verso la riscoperta dei valori, per liberarci dal mito di una società performativa, che crea dipendenza e disconnessione.
Il procedere vorticoso verso traguardi materiali e ricchezze illusorie allontana l’essere umano dal significato autentico dell’esistenza, disperdendo i valori essenziali e intaccando l’integrità. Biologo naturalista, scrittore, nonché riferimento internazionale nell’ambito delle scienze del benessere e della meditazione, Daniel Lumera descrive la strada, percorribile da tutti, per il ritrovato benessere. Dopo averci fornito spunti preziosi su come meditare in modo proficuo e a cosa serve, Lumera ci ha accompagnato per mano nei propositi di alcuni lavori autoriali, divenuti best seller, per usare un’espressione cara al mondo dell’editoria. Da Biologia della gentilezza (2020) a La lezione della farfalla (2021), realizzati in collaborazione con la scienziata Immaculata De Vivo. Tra gli scritti più recenti va ricordato Meditazione a strappo (2022) e 28 respiri per cambiare vita (2023). Adesso, torna per parlarci di tradizione che incontra la scienza moderna, e di quel sentiero antico che rende integri ai giorni nostri. Lo abbiamo intervistato in occasione dell’uscita del suo nuovo libro, Come se tutto fosse un miracolo, edito da Mondadori.
Il tuo libro è un ponte tra la scienza moderna e le tradizioni antiche: dov’è il punto di rottura? Perché è necessario ripristinare una continuità?
Abbiamo conosciuto, da parte della scienza, una corrente che si è contrapposta a una religiosità divenuta, nel Medioevo, superstizione. C’è stata una deriva della scienza meccanicistica e riduzionista, che, per controbilanciare tale tendenza, ha ricondotto l’uomo a una macchina biologica. Successivamente, nei decenni, abbiamo riconosciuto l’umano come un essere multidimensionale, dove anche la sfera spirituale ed esistenziale, come quella emozionale e psichica, rientrano in un “tutto” interconnesso e interdipendente. Ciò si è verificato prima con la psicologia, e quindi con la presa di coscienza che anche il mondo invisibile, mentale ed emozionale espleta un’incidenza sulla nostra salute biologica. E poi con l’epigenetica, tenendo conto delle interazioni tra il nostro stile di vita e i nostri geni. Negli ultimi anni, tra l’altro, è stato dimostrato come la dimensione spirituale, relativa al significato e al proposito della nostra esistenza, abbia un impatto enorme anche sul fenomeno del bornout, che è decisamente esploso (basti pensare che oltre il 40 percento degli infermieri italiani ne è a rischio). Si tratta di una condizione dovuta non tanto alle situazioni di stress, quanto alla disconnessione dalla propria vocazione. Io nasco come biologo naturalista e, allo stesso tempo, come mistico, e ho realizzato che, ultimamente, non c’è tanto bisogno di procedere per contrasti, quanto di fornire una visione unitaria dell’esistenza, dove la scienza ha un cuore e la spiritualità ha un cervello”.
Viviamo in un periodo in cui stiamo cercando di umanizzare la tecnologia, senza aver prima trovato l’umano nell’uomo.
Perché, in qualche modo, tendiamo sempre alla perdita dei valori e dell’integrità?
Siamo immersi in un contesto sociale potentemente disgregante. Ci vengono proposti stili di vita, valori e desideri che appartengono a esigenze di mercato e non alla nostra unicità e vocazione. I valori sono determinati dalle tendenze, sono i valori del momento. Volendo raccontare un’esperienza personale, ho viaggiato in India e assistito alle celebrazioni di Shiva. In quell’occasione ho pensato che, in Occidente, le persone vengono mosse dal successo, dagli obbiettivi, dalla performance, mentre lì la maggior parte delle persone si muove per devozione, per il valore del dono al sacro, del dono di sé, nonostante la compresenza di tutte quelle cose – successo, performance. Nella nostra società, dunque, c’è una perdita enorme dei valori profondi. Si parla di integrità perché siamo potentemente disgregati. Viviamo in un periodo in cui stiamo cercando di umanizzare la tecnologia, senza aver prima trovato l’umano nell’uomo.
In merito alla contrapposizione tra l’umanizzazione della tecnologia e la necessità di recuperare l’umanità, cosa potremmo aggiungere?
Questo è un mondo altamente tecnologico. Abbiamo creduto, per tanto tempo, che la tecnologia fosse la soluzione a ogni nostro problema. Alla base di quella tecnologia c’era una coscienza fratturata che si sentiva superiore alla natura, e noi abbiamo creduto a un antropocentrismo spinto, considerando l’uomo come l’essere più evoluto e più intelligente del Pianeta. In realtà, disponiamo di un cervello più “specializzato”, che, tutto sommato, sta portando allo sviluppo di cose che non hanno valore. La tecnologia va retta dalla consapevolezza. Tutto sta accelerando in modo brutale, su tutti i piani. Bisogna collegare il cervello al cuore. Bisogna rallentare e sapersi fermare. Ritornare all’essenziale e alla semplicità. Questo libro parla esattamente di questo: di quel cammino che inizia non quando si parte, ma quando ci si ferma pur continuando a viaggiare”.
Anche tenendo conto della tua esperienza diretta, come si fa a riconoscere la scintilla del cambiamento verso uno stile di vita differente?
Il cambiamento avviene per vari motivi. Il primo, che è quello più diffuso, seppur non riguardi me in prima persona, è la crisi, il dolore. Tutto fuori crolla e si fa incerto. Necessariamente, occorre recarsi nel mondo interiore, perché è l’ambiente in cui poter trovare nuove certezze e la capacità di rinascere. In altri casi, come è stato anche per me, tale cambiamento accade per un’esperienza profondissima di grandissimo amore interiore. A me è accaduto nel corso dei miei 19 anni, durante un’esperienza meditativa. È stata una rivoluzione pazzesca della mia vita.
Cosa puoi anticipare sul sentiero dei Patra, come cammino verso l’integrità?
Il titolo del libro (Come tutto fosse un miracolo, ndr) è potentemente emblematico, si tratta di una frase di un monaco tibetano, che io ascoltai senza, inizialmente, comprenderne il significato: guarda come se tutto fosse un miracolo. Egli si riferiva a un particolare stato di meraviglia, che è sperimentabile da chiunque e che rappresenta un elisir di giovinezza, non solo mentale, ma anche fisica. La scienza definisce questo stato di meraviglia con il termine di vastità percepita. Questa si definisce, in buona sostanza, come la capacità di cogliere l’immensità da cui siamo circondati, e di sentirsi interconnessi con il miracolo della vita. Lo stupore che ne deriva attiva, nel cervello, i centri dell’attenzione che sono preposti alla gestione degli eventi inattesi. La rivista Forbes ha parlato di “drift syndrome”, dell’incapacità di meravigliarsi e di stupirsi di fronte alle piccole e grandi cose della vita. Ci stiamo anestetizzando del tutto, divenendo sempre più incapaci di goderci quello che ci circonda, e perdendo per strada la meraviglia. Il sentiero dei Patra, descritto nel libro, si compone di sei passaggi, sei carismi che ci aiutano a ri-sperimentare quell’integrità che genera quel tipo di meraviglia. Nel libro si parla anche di ciò che accade nel nostro corpo durante un momento di meraviglia. Non solo la meraviglia ha un ricaduta sull’umore, sugli stati di depressione e sulla sensazione di solitudine, ma anche sul sistema nervoso, che si acquieta. Si ha il rilascio di ossitocina e anche la frequenza cardiaca cambia, rallentando. Il respiro diventa più profondo e ha un’incidenza sullo stress. Come dice la scienza, la meraviglia è un farmaco naturale. Vedere tutto come se fosse un miracolo ci permette non solo di avere la mente fresca, ma anche rendere la nostra macchina biologica molto più funzionante. E il cammino dei Patra è quel cammino creato millenni fa, che ci porta a essere integri nella parola, nei sospesi, nel dono, nel vuoto, nella pace e nella meraviglia, per riacquistare una dimensione di integrità, partendo dalle cose più semplici.
La meraviglia è un farmaco naturale.
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