Luci e ombre sul “ritorno” dei metalupi

Cosa c’è dietro alla nascita di tre cuccioli di metalupi, una specie di lupo del Nordamerica estinta oltre diecimila anni fa?

“Per la prima volta nella storia dell’umanità, Colossal ha ripristinato con successo una specie estinta attraverso la scienza della de-estinzione. Dopo oltre diecimila anni di assenza, il nostro team è orgoglioso di restituire al “lupo terribile” il posto che gli spetta nell’ecosistema”. Con queste parole di trionfo, la compagnia statunitense di biotecnologia e ingegneria genetica Colossal Laboratories&Biosciences ha presentato al mondo il successo della nascita di tre metalupi, o enocioni, (dire wolf in inglese), ovvero grossi canidi vissuti in Nordamerica tra 125mila e diecimila anni fa, estinti probabilmente anche a causa dell’arrivo di un predatore ancora più spietato, l’essere umano.

I tre metalupi “de-estinti”, due nati a ottobre 2024 e una a gennaio 2025, sono in buona salute. I maschi, Romulus e Remus, prendono il nome dai due mitici gemelli allevati dalla lupa capitolina. La femmina invece, chiamata Khaleesi, è un chiaro riferimento alla regina Daenerys Targaryen della serie di romanzi fantasy di George R.R. Martin, A Song of Ice and Fire, glorificata dall’adattamento televisivo Game of Thrones. Ed è superfluo sottolineare che il nome non sia stato scelto a caso. È stata sempre la Colossal, infatti, a dichiarare che un aspetto importante dell’operazione di de-estinzione è stata proprio la notorietà del metalupo, dovuta alla serie di grande successo in cui gli appartenenti alla Casata Stark posseggono alcuni esemplari di questo mitico animale.

Non solo. I metalupi sono diventati protagonisti iconici anche di giochi di ruolo molto noti, come Magic o Dungeons and Dragons. Una ricetta con ingredienti sufficienti per incuriosire l’opinione pubblica, creare eco mediatica, far appassionare una buona parte di fanbase e permettere così alla Colossal di affermare che “Il successo della nascita di tre metalupi è una pietra miliare rivoluzionaria del progresso scientifico, che illustra un altro balzo in avanti nelle tecnologie di de-estinzione”.

Un risultato apparentemente straordinario, insomma, che il 7 aprile scorso ha occupato un posto d’onore nella stampa internazionale, meritando, tra gli altri, un lungo articolo sul New York Times e la copertina celebrativa del Time. Se fosse tutto vero, sarebbero i primi metalupi a camminare sul nostro pianeta da oltre diecimila anni, e la loro nascita la prima de-estinzione di successo ottenuta tramite ingegneria genetica.

A conti fatti, però, c’è poco da festeggiare. Sembra tutto più una grande operazione mediatica. Quelli nati sono, de facto, poco più di lupi grigi geneticamente modificati per assomigliare agli antichi metalupi. Cerchiamo di capire come.

Metalupo
Aenocyon dirus © National Park Service US

Chi era l’enocione

L’enocione, Aenocyon dirus, vissuto in Nordamerica fino a circa 13mila anni fa, era un carnivoro più grande di un lupo moderno, con denti adatti a rompere le ossa dei grandi erbivori. Aveva una testa leggermente più larga, una pelliccia chiara e folta e una mascella più forte del lupo che tutti conosciamo. La sua dieta comprendeva almeno il settanta per cento di carne proveniente soprattutto da cavalli e bisonti e viveva nelle sterminate praterie americane insieme a felini, orsi giganti e grandi bradipi, specie che non sono riuscite ad adattarsi agli sconvolgimenti della fine del Pleistocene. Ma l’azienda americana Colossal, che ha come obiettivo dichiarato quello di creare tecnologie innovative per il ripristino delle specie e il ripopolamento degli ecosistemi, non l’ha davvero riportato in vita, come invece vorrebbe farci credere.

La macchina del tempo dei metalupi

Cos’è successo allora? I ricercatori hanno estratto Dna di enocione da due frammenti ossei antichi: un dente, risalente a circa 13mila anni fa, e un osso dell’orecchio interno, datato a circa 72mila anni fa, entrambi rinvenuti in Nordamerica. Sono riusciti così a ricostruire sinteticamente la migliore sequenza genetica di metalupo ad oggi disponibile, ancora frammentaria e forse lontana da quella originale, che ha permesso di capire meglio la relazione di parentela tra questi animali e i lupi grigi (Canis lupus) moderni, i loro parenti vivi più prossimi. L’analisi ha anche rivelato che i metalupi hanno un’ascendenza ibrida. Sarebbero emersi infatti tra i 3,5 e i 2,5 milioni di anni fa come conseguenza dell’ibridazione tra un antico canide e un membro appartenente a famiglie simili ai lupi, tra cui sciacalli e cani selvatici africani.

embrioni metalupo
L’azienda ha lavorato sul Dna del metalupo apportando venti mutazioni © Colossal

Studiando e confrontando le differenze genetiche, i ricercatori hanno poi selezionato 14 geni che ritengono responsabili principali delle differenze tra le specie, quantomeno per i tratti fenotipici caratteristici, come dimensioni, muscolatura, aspetto, colore e lunghezza del pelo. Poi, lavorando all’interno di una cellula di lupo grigio moderno, gli scienziati hanno alterato in laboratorio questi geni, apportando in totale venti mutazioni su tutto il genoma. Con alcune accortezze. Hanno preso di mira Corin, per esempio, una serina proteasi espressa nei follicoli piliferi che influenza il colore del mantello, per renderlo più chiaro. E, dopo tanto lavoro, hanno utilizzato gli uteri di tre madri lupo surrogate per portare a termine la gravidanza dei metalupi Romulus, Remus e Khaleesi, che oggi mostrano un manto bianco e l’aspetto di grossi lupi muscolosi. Vivono in un luogo segreto, in una riserva naturale protetta, che non potranno mai lasciare.

Sembrerebbe un protocollo rigoroso, ma di pubblicazioni scientifiche non c’è neanche l’ombra. Non è stato pubblicato nessun articolo peer reviewed su nessuna rivista scientifica. Colossal ha solamente rilasciato un lungo comunicato stampa in cui spiega i dettagli della vicenda e mette a disposizione alcune foto. Sul sito dedicato è anche disponibile un video in cui gli utenti possono seguire la crescita dei metalupi, animali simili esteticamente a quelli estinti, ma di certo non dotati dello stesso comportamento, né della stessa ecologia o capacità sociali. Per ammissione della stessa Colossal, infatti, l’obiettivo è quello di creare solo “equivalenti funzionali” di specie che sono vissute e ora non esistono più. Non nuovi metalupi, per intenderci, ma lupi che sembrano metalupi.

La de-estinzione funzionale utilizza l’approccio più sicuro ed efficace per riportare in vita i fenotipi perduti che rendono unica una specie estinta.

Beth Alison Shapiro, direttrice scientifica di Colossal Biosciences 

metalupo cucciolo
I nuovi esemplari sono in realtà lupi che sembrano metalupi © Colossal

Dai lupi rossi nuove opportunità per la conservazione

Al di là delle implicazioni etiche ed ecologiche legate alla de-estinzione, comunque, che Colossal sta portando avanti anche per i mammut, non dobbiamo dimenticarci che nel mondo è in corso la sesta estinzione di massa. E che, nonostante gli accordi globali sulla biodiversità, attualmente perdiamo specie animali a un ritmo mai visto prima. Anfibi, piante, invertebrati e non solo. Legger di metalupi de-estinti fa amaramente riflettere su quante risorse potrebbero essere dedicate da compagnie così facoltose – la Colossal ha raccolto 435 milioni e afferma di avere un valore di 10,2 miliardi di dollari – alla tutela di specie già esistenti ma meno iconiche, che avrebbero tanto bisogno di finanziamenti ma che invece lasciamo sparire nel silenzio più totale spesso anche prima di averle scoperte.

Eppure, si può trovare un aspetto positivo in tutta questa storia. La tecnologia sviluppata da Colossal, infatti, ha effettivamente applicazioni immediate per gli sforzi di conservazione. L’operazione sui metalupi è stata eseguita in parallelo a quella che ha portato alla nascita di una femmina e tre maschi di lupi rossi (Canis rufus), una specie attualmente considerata “gravemente minacciata” di estinzione. Un tempo era molto comune nel Nord America orientale, fino a quando poi il numero ha cominciato a diminuire vertiginosamente intorno agli anni Sessanta del secolo scorso. Ora ne rimangono liberi meno di venti esemplari, mentre altri 270 sono inseriti in programmi di riproduzione in cattività, con l’obiettivo finale di reintrodurli in natura. Tutti gli esemplari in vita discendono da soli 12 individui originari, e la scarsa variabilità genetica rappresenta un problema serio per la sopravvivenza a lungo termine della specie.

Proprio in questa criticità è intervenuta la biotecnologia della Colossal, che ha utilizzato una nuova tecnica di clonazione per produrre quattro lupi rossi in modo non invasivo prendendo cellule endoteliali progenitrici dal sangue. Secondo l’azienda, l’aggiunta di questi animali alla popolazione riproduttiva in cattività aumenterebbe del 25 per cento il numero di lignaggi di origine, aumentando quindi la variabilità genetica. Questa procedura potrebbe essere davvero rivoluzionaria per il futuro, per concedere alle popolazioni di animali e piante a rischio un ampiamento del pool genico e quindi un’ultima opportunità di sopravvivenza.

Non è una storia da prima pagina, certo, ma una dimostrazione efficace che il progresso e le biotecnologie possono davvero concorrere alla salvaguardia e al ripristino della biodiversità. Con buona pace della regina Khaleesi.

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