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Il microbioma può influenzare l’aggressività nel cane
L’aggressività nei cani può essere influenzata dalla composizione del microbioma intestinale dice una recente ricerca. Ma i pareri non sono concordi.
L’aggressività nei cani può essere influenzata dall’alimentazione? E dalle modificazioni del microbioma intestinale? È una domanda che ci si pone da anni per tentare di decifrare i comportamenti del miglior amico dell’essere umano, le sue paure e le sue idiosincrasie. Sull’argomento ora è un valido aiuto lo studio di Kirchoff e collaboratori ha che ha esaminato campioni fecali provenienti da una piccola popolazione di razza pitbull salvati da una condizione di sfruttamento per i combattimenti clandestini. La ricerca si era proposta di rilevare l’eventuale correlazione tra composizione del microbioma intestinale e l’aggressività di questi soggetti cercando di scoprire, inoltre, se fosse possibile prevederne i comportamenti.
Ma cosa si intende per esattamente per microbioma? In questo caso parliamo della totalità del patrimonio genetico espresso dal microbiota, che a sua volta definisce la popolazione dei microorganismi (batteri, virus, miceti, protozoi) che vivono nel nostro corpo. E sono questi microorganismi che rappresentano un vero e proprio “ecosistema” in equilibrio dinamico che influenza direttamente il nostro stato di salute.
Aggressività nel cane e microbioma intestinale
Il cane domestico (Canis familiaris) convive con l’uomo da oltre 14mila anni ed è tra gli animali da compagnia più diffusi. Negli ultimi anni la specie è stata studiata per la sua capacità di formare legami strettissimi sia con l’uomo che con gli altri animali. L’aggressività, però, di alcuni soggetti rimane un problema ancora non completamente affrontato e, soprattutto, capito dagli studiosi.
Le interazioni aggressive, in particolar modo quelle che implicano morsi e lacerazioni, possono portare a danni fisici notevoli, senza contare i traumi psicologici e la possibile trasmissione di malattie. Inoltre, il comportamento aggressivo rappresenta un rischio per lo stesso cane aggressore e può condurre all’abbandono in strutture dove difficilmente si arriva a un recupero del soggetto e ciò, a volte, porta all’eutanasia del quattro zampe ritenuto ingestibile.
Negli ultimi anni sono emerse diverse ricerche che tendono a dimostrare come il microbioma intestinale dei cani aggressivi possa interagire con la fisiologia dei soggetti e influenzarne addirittura il comportamento. Queste interazioni includono aspetti della fisiologia correlati agli atteggiamenti aggressivi dei mammiferi. Qualche esempio? Alcuni studi hanno evidenziato che specifici ceppi di batteri (che rientrano tra i probiotici) possono migliorare la salute del cane preso in esame, modulando gli stati d’ansia e i livelli degli ormoni connessi allo stress come i glucocorticoidi. Al contrario i batteri intestinali possono produrre sostanze neuroattive, come i precursori dei neurotrasmettitori monoamminici, che agiscono sull’asse intestino-cervello, con un potenziale impatto sul comportamento e gli stati d’ansia.
La ricerca di Kirchoff sull’aggressività dei cani
La popolazione di pitbull esaminata nello studio di Kirchoff era rappresentata da 31 cani, di cui 21 con comportamento aggressivo tra conspecifici e dieci con comportamento normale. Dai risultati è emerso che gli animali con comportamenti aggressivi evidenziavano una composizione del microbiota intestinale diversa rispetto a quella dei soggetti con un atteggiamento normale.
I batteri intestinali dominanti nei 31 cani erano rappresentati da Firmicutes, Fusobacteria, Bacteroidetes e Proteobacteria. In particolare, però, Proteobacteria e Fusobacteria costituivano quelli maggiormente presenti negli animali non aggressivi, mentre il Firmicutes era più abbondante in quelli aggressivi.
Questa diversa composizione del microbioma intestinale correlata a un comportamento aggressivo potrebbe portare a procedure di diagnosi che possano prevedere l’aggressività al fine di intervenire in maniera preventiva. Le osservazioni sono rilevanti proprio perché indicano che gli animali con atteggiamenti di questo tipo hanno condizioni intestinali fisiologiche in grado di influenzare il microbioma. E il tutto può rappresentare il primo passo verso studi volti a prevedere l’aggressività animale in base alla sua analisi e alle sue correlazioni.
Il parere dell’educatore cinofilo
Ma è solo colpa del microbioma? Magari fosse così semplice…Il comportamento di un cane è influenzato da tantissimi fattori diversi. E, in ordine cronologico, ma non di importanza, in primis troviamo quello derivato dal corredo genetico di selezione che nel tempo ogni razza ha subito, dalle esperienze che la madre ha fatto durante la gravidanza e dalla relazione che ha potuto instaurare con il suo cucciolo, dall’ambiente in cui vive, dal tipo di esperienze che ha potuto vivere e dalle competenze acquisite.
“In ambito sistemico è evidente come sia particolarmente rilevante il sistema familiare in cui l’animale vive, soprattutto per i movimenti interiori ed emozionali che il cane può percepire. Un esempio abbastanza tipico è che se il proprietario è continuamente in lotta con i vicini di casa, l’informazione che arriva al cane è che sono individui da tenere lontano e, nel caso di un avvicinamento non autorizzato di queste persone, il cane potrebbe reagire pur di proteggere la sua famiglia. Tante volte mettiamo delle maschere per mostrare agli altri che va sempre tutto bene. Ma il cane sa guardare oltre la maschera e niente lo fermerà dal fare ciò che riconosce utile e importante per la sua famiglia”, spiega Valentina Armani, educatrice cinofila.
Le teorie della facilitazione sistemica spiegano che il corpo fisico non è mai scollegato da quello emozionale per cui possiamo osservare che in base allo stato emozionale del soggetto, soprattutto in un tempo prolungato, varierà anche il suo microbioma. “Possiamo quindi intervenire su più fronti, possiamo prendere in considerazione solo l’alimentazione, o esaminare soltanto l’aspetto emozionale, o ancora integrare le due parti per un supporto che prenda in esame l’animale in tutti i suoi aspetti. Ma se ciò che prendiamo in esame è l’aggressività non sceglierei solo e unicamente la via dell’alimentazione per risolvere il problema”, dice Armani.
Una reazione aggressiva è, quindi, una risposta a una situazione che ha causato grande rabbia e questa può avere diverse cause, lo stato di salute (per esempio un grande dolore), un problema ambientale (strettamente legato al luogo in cui vive il soggetto o ai fattori esterni) e alle sue relazioni, dalle più intime a quelle con delle persone sconosciute.
“Ci sono cani con comportamenti aggressivi che hanno una dieta perfettamente equilibrata e altri che non hanno mai mostrato aggressività con un’alimentazione non curata e sbilanciata. Ogni volta in cui sono stata chiamata per un cane che ha avuto comportamenti aggressivi, la via che ha portato alla risoluzione è stata quella in cui tutta la famiglia era collaborativa e disponibile a mettersi in gioco, per riconoscere cosa stava chiedendo al suo quattro zampe e, soprattutto, perché lo stava chiedendo. Nel momento in cui i cani si sentono compresi e supportati adeguatamente non hanno più bisogno di utilizzare l’aggressività, a meno che non ce ne sia strettamente necessità. E per quelli che vivono in canile e non hanno ancora una famiglia diventa fondamentale il ruolo dei volontari che se ne occupano, osserva Valentina Armani.
Un progetto per formare educatori di cani aggressivi
Un corso per diventare educatore cinofilo e acquisire il metodo per accompagnare i cani in un percorso di recupero comportamentale utile a trovare più facilmente una famiglia di adozione, lo promuove a gennaio la fondazione Cave Canem, con base a Roma e attività in tutta Italia. Il corso è pensato in formula weekend, con lezioni 2 volte al mese il sabato e la domenica fino a maggio, a partire dal 14 gennaio. Il settore dell’educazione cinofila richiede sempre di più professionisti competenti e preparati per fronteggiare le considerevoli esigenze provenienti tanto dalle strutture di canile rifugio quanto dalle famiglie che hanno accolto cani nella loro vita.
Il corso si prefigge di formare educatori cinofili proprio grazie a un training intensivo da svolgere sul campo, con cani che presentano un ventaglio significativo di stereotipie e alterazioni comportamentali di rilievo, affiancati da docenti di comprovata esperienza che forniranno ai partecipanti strumenti funzionali. Il tutto aprirà le prospettive lavorative come educatori cinofili presso canili rifugio, per offrire supporto a cani già parte di nuclei familiari, per diventare consulenti tecnici delle forze di polizia o delle istituzioni o svolgere al meglio la propria attività di volontariato. E, completando con successo il corso e superando con esito positivo l’esame finale, si acquisirà la qualifica di educatore cinofilo specializzato nel recupero comportamentale di soggetti costretti a vivere in un contesto di canile. Insomma un modo per diventare un professionista aiutando gli animali a trovare un nuovo percorso di vita dopo maltrattamenti e vessazioni subiti dall’uomo.
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