La Micronesia non vuole l’acqua di Fukushima nel Pacifico

Il presidente della Micronesia si è detto preoccupato per i rischi di contaminazione nel caso il Giappone sversi l’acqua di Fukushima nell’oceano.

  • La decisione del Giappone di scaricare l’acqua usata per raffreddare i reattori della centrale nucleare di Fukushima Daiichi nell’oceano Pacifico è stata criticata dal governo della Micronesia.
  • Secondo il presidente di quest’ultima, si tratta di riserve idriche contaminate che potrebbero inquinare gravemente l’oceano provocando danni agli esseri viventi che lo abitano.
  • Il Giappone vuole sversare l’acqua utilizzata dopo il disastro nella centrale del 2011 che fu causato da un terremoto.

David Panuelo, presidente degli Stati Federati di Micronesia, è intervenuto nello scorso mese di settembre all’assemblea generale delle Nazioni Unite a Washington per protestare contro la decisione del Giappone di rilasciare nell’oceano le acque di Fukushima. Il rappresentante della nazione oceanica che si trova nel Pacifico, a nord della Papua Nuova Guinea, ha contestato la scelta del governo di Tokyo perché afferma che il liquido è contaminato e pericoloso. L’acqua che il Giappone vorrebbe riversare nell’oceano, e che quindi potrebbe arrivare fino alle spiagge della Micronesia, è infatti quella utilizzata per raffreddare i reattori nucleari della centrale di Fukushima che fu teatro di un grave incidente nel 2011.


I danni del liquido di raffreddamento

Panuelo ha affermato che gli abitanti della Micronesia, nazione insulare composta da quattro isole principali e altre 600 di diversa grandezza, sono molto preoccupati per la decisione del Giappone di rilasciare nell’oceano il liquido utilizzato per il raffreddamento dei reattori. “Gli impatti di questa decisione sono di natura internazionale e intergenerazionale. In qualità di capo di stato della Micronesia, non posso permettere la distruzione delle nostre risorse oceaniche che supportano il sostentamento della nostra gente. Non possiamo chiudere gli occhi di fronte alle inimmaginabili minacce di contaminazione nucleare, inquinamento marino e eventuale distruzione”, ha dichiarato nel suo discorso.

Il Giappone ha affermato a luglio che la commissione nazionale per il nucleare ha approvato un piano per sversare nell’oceano Pacifico l’acqua utilizzata per raffreddare i reattori all’indomani del disastro di Fukushima del marzo 2011. La centrale appartiene all’azienda Tokyo power electric company (Tepco) che ha conservato l’acqua, nella quantità di 1,3 milioni di tonnellate, in delle enormi cisterne vicino al luogo del disastro. Le autorità di regolamentazione locali hanno ritenuto sicuro lo sversamento del liquido denominato Alps (Advanced liquid processing system), che contiene ancora tracce di trizio, un elemento radioattivo.

Secondo il ministero di Economia, Commercio e Industria giapponese, l’acqua Alps è stata trattata ed è stata purificata ripetutamente, a un livello in cui i materiali radioattivi contaminati, ad eccezione del trizio, soddisfano gli standard normativi per lo scarico nell’ambiente. L’Agenzia internazionale per l’energia atomica ha già iniziato i lavori per le verifiche volte ad accertare la caratterizzazione radiologica dell’acqua trattata da scaricare, nonché gli aspetti relativi alla sicurezza del processo di scarico e la valutazione dell’impatto ambientale radiologico relativo alla tutela delle persone e dell’ambiente. Nonostante ciò, dopo aver incassato le proteste dei pescatori giapponesi, ora il primo ministro Fumio Kishida deve fare i conti con il grido d’allarme della nazione nel Pacifico.

Le preoccupazioni della Micronesia

A proposito della dichiarazione di Panuelo, Yukiko Okano, responsabile dell’ufficio stampa del ministero degli Esteri nipponico, ha affermato che il Giappone avrebbe fatto del suo meglio “per ottenere comprensione dalla comunità internazionale sulla sicurezza delle nostre attività a Fukushima”. Cina, Taiwan e Corea del Sud hanno già espresso preoccupazione per il rilascio del fluido e il discorso alle Nazioni Unite di Panuelo ha avuto il merito di risollevare la questione.

L’apprensione della Micronesia e degli altri stati del Pacifico è legittima; negli ultimi anni le isole oceaniche hanno già dovuto far fronte alle difficoltà portate dai cambiamenti climatici. Si prevede che circa il 70 per cento delle specie di pesci della barriera corallina locale sarà estinto entro la fine del secolo a causa del riscaldamento globale. Inoltre, la dimensione media dei pesci diminuirà del 20 per cento entro il 2050 e molti pescatori stanno già iniziando a notare dei cambiamenti. La presenza di scorie nucleari nell’oceano sarebbe l’ennesima brutta notizia per gli abitanti delle isole.

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