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Cozze, gamberi e sale. Sono gli ultimi ingredienti attaccati dalle microplastiche nei mari con percentuali che superano un terzo dei campioni. L’indagine di Altroconsumo.
Che il mare sia pieno di plastica non è una novità: ogni anno ne finiscono in mare tra le cinque e le dodici tonnellate e si stima che nel 2050 il peso delle plastiche supererà quello dei pesci. Che tutto questo provochi conseguenze sulla sicurezza alimentare nemmeno. Ora, un’indagine condotta su cozze, gamberi e sale da Altroconsumo insieme ad altre quattro associazioni di consumatori in Austria, Belgio, Danimarca e Spagna, rivela che più di due terzi dei campioni analizzati sono contaminati dalle microplastiche.
Nello specifico il laboratorio indipendente coinvolto nello studio ha analizzato in tutto 102 campioni: 38 di sale marino, 35 di cozze e 29 di gamberi. Sul totale dei prodotti 30 era di provenienza italiana. Dai risultati delle analisi è emerso che nel 40 per cento delle cozze che si nutrono filtrando l’acqua c’è una presenza massiccia di microplastiche, mentre nel 31 per cento dei casi sono state rilevate delle tracce.
Per i gamberi le percentuali sono rispettivamente del 34,5 e del 31 per cento (meglio mangiarli dunque togliendo l’intestino), per il sale del 39 e del 29 per cento, compresi alcuni campioni del prestigioso fleur de sel che, raccolto a mano dalla superficie dell’acqua, viene contaminato da microplastiche galleggianti.
Le tabelle riportate nell’inchiesta rivelano anche il nome dei produttori e dei punti vendita dei campioni analizzati, ma Altroconsumo specifica: “L’indicazione è per completa trasparenza, non per consigliare o sconsigliare le aziende: il problema delle microplastiche non dipende da come sono condotti gli allevamenti né dalle zone di pesca. Molluschi derivanti da una stessa zona possono o non possono essere contaminati da microplastiche. Solo le analisi riescono a stabilirlo”. Le microplastiche, presenti dall’Antartide al Mediterraneo, non sono distribuite infatti omogeneamente nei mari. Inoltre, galleggiano e si spostano con le correnti.
La plastica in mare non è rappresentata dunque solo dai macrorifiuti di plastica come sacchetti, imballaggi, bottiglie, deliberatamente o accidentalmente rilasciati in mare da imbarcazioni, impianti, industrie o trasportati dai fiumi e dal vento, ma anche dalle micro e nanoparticelle in cui i rifiuti di plastica si disintegrano (capaci di resistere centinaia di anni) e da quelle rilasciate nell’ambiente (derivanti ad esempio da cosmetici e detergenti, dal lavaggio di indumenti sintetici, dall’abrasione degli pneumatici o dall’utilizzo delle vernici per la segnaletica stradale). Molluschi e crostacei si cibano di queste sostenze e lo facciamo anche noi quando consumiamo questi prodotti.
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Quali sono le conseguenze sulla salute? Come spiega Altroconsumo, anche se non c’è dubbio che la plastica è entrata ormai nella catena alimentare, gli esperti per ora sono cauti. L’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha stilato un parere in cui afferma che il rischio sembra improbabile, ma sono necessari approfondimenti, in particolare sulle elevate concentrazioni di agenti inquinanti quali i policlorobifenili (Pcb) e gli idrocarburi policiclici aromatici (Ipa), che possono accumularsi nelle microplastiche. Potrebbero anche esserci residui di composti utilizzati negli imballaggi, come il bisfenolo A (Bpa).
Per combattere l’inquinamento delle acque sono diversi i provvedimenti presi a livello globale e di singolo Paese. La Commissione europea, ad esempio, ha proposto nuove norme per 10 prodotti di plastica monouso, dal divieto di commercializzazione per i prodotti usa-e-getta fino a campagne di sensibilizzazione dei consumatori. Anche LifeGate è sensibile a questo tema: lo scorso 8 giugno, in occasione della Giornata mondiale degli oceani, ha lanciato il progetto PlasticLess, un impegno concreto per ripulire i nostri mari dalla plastica.
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