Il 20 giugno è la Giornata mondiale del rifugiato. Quest’anno forse la vivremo diversamente: l’editoriale della direttrice della comunicazione Avsi.
Migranti climatici, rischiamo 143 milioni di profughi interni nel 2050
La Banca mondiale ha calcolato il numero di migranti climatici che si sposteranno all’interno dei loro stati: 86 milioni solo nell’Africa subsahariana.
Un rapporto pubblicato il 19 marzo dalla Banca mondiale ha lanciato un nuovo allarme sulle conseguenze sociali dei cambiamenti climatici. Entro il 2050, infatti, potrebbe arrivare a quota 143 milioni il numero di persone costrette ad abbandonare le proprie case per colpa dei fenomeni meteorologici estremi o dalle condizioni ambientali diventate invivibili.
In Africa, Asia e America Latina le aree che presenteranno il numero più alto di migranti climatici
Il documento, intitolato “Groundswell – Preparing for internal climate migration”, indica l’Africa subsahariana, l’Asia meridionale e l’America Latina come le tre macro-aree più a rischio, e si concentra unicamente sulle “migrazioni interne”, ovvero sulle persone che lasceranno le loro case ma non la loro nazione. “I cambiamenti climatici – ha spiegato John Roome, direttore della divisione ambientale presso l’organismo internazionale – incidono già oggi sulle migrazioni di esseri umani e il fenomeno potrebbe intensificarsi in futuro. Tuttavia, se riuscissimo a limitare le emissioni di gas a effetto serra e incoraggiare uno sviluppo sostenibile, potremmo immaginare di limitare il numero di migranti climatici a 40 milioni nelle tre regioni. E la differenza sarebbe enorme”.
Leggi anche: Cosa sono i cambiamenti climatici
La Banca mondiale ha studiato i casi di Etiopia, Bangladesh e Messico
Il rapporto della World Bank, che è stato curato da un gruppo di ricercatori universitari, considera i paesi in via di sviluppo come quelli più a rischio. In particolare, vengono citati i casi di Etiopia, Bangladesh e Messico: le proiezioni sul numero di migranti climatici sono state calcolate grazie ad un modello ad hoc, costruito incrociando indicatori come la crescita della temperatura media, l’evoluzione delle precipitazioni, la risalita del livello dei mari, nonché dati demografici e socio-economici.
Su tale base sono stati individuati tre possibili scenari: quello peggiore prevede 86 milioni di migranti in Africa subsahariana, 40 milioni nell’Asia meridionale e 17 milioni in America Latina. Ad esempio, in una nazione come l’Etiopia, la cui economia si basa soprattutto sull’agricoltura e nel quale si prevede una crescita demografica fortissima nei prossimi decenni, il calo della resa della terra rappresenterà la principale causa di emigrazione.
“Ma le migrazioni climatiche potrebbero rappresentare una strategia di adattamento”
Il Bangladesh, invece, dovrà fare i conti con episodi sempre più frequenti di inondazioni delle proprie zone costiere, nonché con importanti difficoltà di approvvigionamento idrico. Mentre il Messico vedrà incrementare fortemente il fenomeno dell’urbanizzazione causato dalla fuga della popolazione dalle aree rurali.
Roome non vede tuttavia solo nero: a suo avviso, le migrazioni potrebbero rappresentare “anche una buona strategia di adattamento, a condizione che i poteri pubblici sappiano accompagnare la transizione e preparare le aree di accoglienza dei profughi”. Il che significa innanzitutto creare nuove opportunità economiche e di lavoro sul territorio.
La ong Oxfam: “22 milioni di rifugiati climatici all’anno già tra il 2008 e il 2016”
Va ricordato però che i dati indicati dal rapporto della Banca mondiale non possono che essere parziali. Non solo perché, come detto, si riferiscono solo alle migrazioni interne, ma anche perché escludono quelle che prevedono uno spostamento di quattordici chilometri. Il che può sembrare poco, ma elimina di fatto dal conteggio tutte le popolazioni che vivono nei piccoli stati insulari, nonostante proprio questi figurino tra quelli che saranno più colpiti dagli sconvolgimenti del clima.
Basti pensare, in questo senso, che un altro rapporto pubblicato nel novembre del 2017 dalla ong Oxfam aveva indicato in 22 milioni all’anno il numero di persone che, tra il 2008 e il 2016, si sono già viste costrette in tutto il mondo ad abbandonare le loro terre a causa delle mutate condizioni climatiche, tenendo conto sia delle migrazioni interne che di quelle transfrontaliere. Senza dimenticare che anche le nazioni ricche saranno a termine coinvolte, soprattutto nella seconda parte del secolo: basti pensare alle zone costiere italiane che rischiano di ritrovarsi sommerse a causa della risalita del livello dei mari.
In questo senso, uno studio internazionale pubblicato dalla rivista scientifica Climate ha precisato che i danni per le inondazioni in Europa potrebbero arrivare a costare 17 miliardi di euro all’anno, qualora le temperature medie dovessero salire di 3 gradi centigradi, alla fine del secolo, rispetto alla media pre-industriale. Mentre il numero di cittadini che subiranno le conseguenze delle piene potrebbe raggiungere le 780mila unità (in crescita del 123 per cento rispetto ad oggi). Il problema, dunque, non riguarda solo il sud del mondo.
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