È il primo caso nella storia. Australia e Tuvalu hanno raggiunto un accordo per garantire asilo climatico a chi dovrà fuggire dall’arcipelago.
Migranti climatici sono anche gli italiani che si spostano dalle città alle aree interne
I migranti climatici ci sono anche in Italia e si spostano dalle città alle aree interne: nella metromontagna. La politica deve occuparsi anche di loro, preventivamente.
Quando si sente parlare di migranti climatici il pensiero va subito a grandi masse di persone che si spostano da un continente all’altro, in cerca di condizioni migliori di vita. Succede ai migranti che dall’Africa tentano di raggiungere l’Europa o a quelli che attraversano il Messico per arrivare negli Stati Uniti. La realtà è che migrazioni climatiche avvengono in ogni parte del mondo, pure in Italia, dove esiste un movimento migratorio interno, da città o paesi verso aree interne e montagne. È questo l’oggetto di ricerca su cui ha indagato il progetto Miclimi (Migrazioni climatiche e mobilità interna nella metromontagna padana) che si è posto l’obiettivo di analizzare la mobilità residenziale temporanea o definitiva dalle città metropolitane, in particolare di Torino e Milano, verso le aree interne e montane nel nordovest italiano, come strategia di adattamento ai cambiamenti climatici.
Migranti climatici verso aree interne e di montagna: la metromontagna
Il clima rimane una concausa, insieme a ragioni culturali, sociali ed economiche, e come tale, quindi, va indagato in un insieme di fattori, ma sempre più spesso, soprattutto negli ultimi anni, i cambiamenti climatici hanno acquisito significato tra gli elementi determinanti lo spostamento dei cittadini. Uno scenario non ancora indagato abbastanza. In questo quadro, gli effetti del clima hanno un diverso impatto a seconda delle vulnerabilità dei luoghi e delle persone. Parte da questo assunto il progetto Miclimi, proposto da Euclipa.it e finanziato dalla Fondazione Cariplo, che ha coinvolto numerosi ricercatori dell’Università degli studi di Milano e dell’Università di Torino, la Società meteorologica italiana, la città metropolitana di Torino, l’Arpa Lombardia e l’Arpa Piemonte e molte altre realtà.
Cos’è la metromontagna?
I ricercatori hanno studiato il fenomeno dei migranti climatici interni, con particolare riferimento alla metromontagna padana del nordovest, ovvero al territorio interconnesso ai poli di Milano e di Torino che comprende il tessuto urbano e di pianura delle città lombarde e piemontesi.
Così, una percentuale compresa tra il 2 e il 3 per cento dei residenti dei comuni di Milano e di Torino decide di spostare la loro residenza altrove. Una porzione apparentemente esigua, ma in linea, se non superiore, a quella di altre grandi città del nord e centro Italia. Il 73 per cento di chi si cancella dai registri anagrafici di Milano finisce per rimanere in pianura, il 20 per cento in collina; per Torino sono rispettivamente il 57 e il 33 per cento circa.
I casi di Milano e Torino
Mentre i flussi provenienti da Milano e direzionati verso i comuni “alti” (per Istat è da considerarsi comune montano se sopra i 700 metri di altitudine) sembrano orientarsi verso località più sviluppate a livello economico perché note località turistiche o comunque ancora decisamente abitate – come Brembate e Centro Valle Intelvi – i flussi residenziali provenienti da Torino e diretti in montagna, fatta eccezione per Sestriere, Oulx e Bardonecchia, famose località sciistiche, sembrano propendere anche per valli secondarie e più disabitate, indirizzandosi anche verso comuni piccoli e poco o per nulla turistici.
Questi risultati riferiti alla comparazione tra le due grandi città del nord-ovest non sorprendono: se da un lato sia la città di Torino che quella di Milano si trovano infatti ai piedi del territorio alpino italiano, la città di Torino, diversamente da Milano, è geograficamente circondata dalla collina e decisamente più prossima alla montagna, oltre che ben integrata, a livello infrastrutturale e amministrativo, alle zone collinari e montane limitrofe. Al contrario, il territorio della città metropolitana di Milano è situato nella sua totalità nella pianura padana, e comprende 133 comuni, tutti in pianura: non è presente, fa notare la ricerca, in questo caso, alcun livello di integrazione amministrativa e funzionale con le aree montane alpine, nonostante un elevato livello di connessione viaria e ferroviaria, oltre ovviamente ai flussi commerciali e lavorativi.
Ma molti si sono spostati senza cambiare indirizzo di residenza
Il progetto di ricerca Miclimi ha ipotizzato anche l’aspetto culturale che guida i due flussi migratori sotto indagine. La posizione geografica della città di Torino e la configurazione amministrativa della stessa città metropolitana, rendono i cittadini di Torino più vicini e integrati alle montagne limitrofe. Molte di queste località sono facilmente raggiungibili dal centro città e con esse storicamente i torinesi intrattengono relazioni consolidate, in termini di possesso di seconde case, legami di parentela, turismo residenziale durante diversi periodi dell’anno, frequentazione nei week-end. Al contrario, nel caso milanese non si rileva questo aspetto culturale e di assidua frequentazione di una montagna vicina, a partire dall’assenza di un canale di integrazione tra la città di Milano e il territorio montano limitrofo ma anche per una diversa frequentazione della montagna che storicamente caratterizza gli abitanti del capoluogo lombardo. Altre località, spesso anche distanti, sembrano allora più attrattive per i milanesi, quali quelle situate in Valle d’Aosta o nelle Dolomiti.
“Per approfondire l’analisi sarebbe necessario estendere la rilevazione sui flussi migratori lungo un arco temporale decisamente più esteso”, spiega Andrea Membretti, ricercatore e autore dello studio. “Va ricordato come spesso una frequentazione anche molto assidua della montagna, che può assumere i tratti della residenzialità, definitiva o intermittente, non coincida con un trasferimento ufficiale di residenza. Infatti, per molteplici ragioni è in crescita, specie dopo la pandemia, il numero di quanti vivono di fatto in comuni montani senza essere iscritti alle relative anagrafi: su questo fenomeno, al momento ancora ben difficile da quantificare, sarebbero necessarie future indagini e specifici approfondimenti, anche tramite casi di studio”.
Impatto su zone già vulnerabili
In Italia, dopo decenni di abbandono e spopolamento delle aree montane delle Alpi e degli Appennini – territori oggi ancora più esposti a molteplici rischi – è stato documentato negli ultimi 15-20 anni un flusso crescente verso le aree interne, in particolare quelle alpino-appenniniche, sia da parte di cittadini italiani (i cosiddetti “nuovi montanari” o “neo rurali”, come evidenziato dalle ricerche dell’associazione Dislivelli e dell’associazione Riabitare l’Italia) ma anche da parte di migranti internazionali, soggetti spinti da diversi fattori, tra i quali quelli ambientali e climatici iniziano a rivestire un ruolo non irrilevante.
“Questi spostamenti di residenza sono oggi infatti un fenomeno decisamente meno considerato dai media e dalla politica rispetto all’arrivo di persone dall’estero, su cui si focalizza il dibattito da decenni, per ragioni strumentali anzitutto a determinate narrazioni politiche di matrice securitaria”, continuano i ricercatori di Miclimi. Questo nonostante, come non perde occasione di sottolineare lo Iom (International organization for migration), la maggior parte dei flussi di migranti a livello globale siano tuttora interni ai vari paesi, o tra paesi limitrofi, o ancora si tratti di spostamenti interni a macro-regioni nei vari continenti e non di tipo trans-continentale.
Questo “vuoto” di attenzione da parte della politica ha un suo impatto, perché al contempo sono proprio questi territori montuosi a rappresentare le aree più fragili dal punto di vista ecosistemico, di fronte ai cambiamenti climatici in atto e futuri, come dimostrato dalla serie di eventi calamitosi che si sono verificati in diverse località alpine in questi anni. I nuovi abitanti di queste aree, quindi, possono essere considerati un motore fondamentale di trasformazione di località in crisi ma anche un fattore di impatto non indifferente, soprattutto alla luce di nuove abitudini che i nuovi arrivati possono rappresentare.
Se l’Italia vuole evitare di trattare il fenomeno dei migranti italiani e della mobilità interna come un’emergenza in futuro, è necessario che adotti politiche migratorie anche su questo fronte. Ricerche come Miclimi servono appunto per sapere dove indirizzare gli sforzi al meglio.
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