Nella regione del Sahel, sconvolta da conflitti inter comunitari e dai gruppi jihadisti, 29 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria.
Come la migrazione migliora l’economia e la sicurezza alimentare nel mondo
Uno studio rivela come i classici stereotipi ostentati nei confronti dei migranti e dei flussi migratori non siano supportati dai fatti. E smonta i luoghi comuni uno ad uno.
“Ci prendono il lavoro”, “fanno aumentare la criminalità locale”, “assorbono risorse economiche destinate ai locali”. Sono solo alcuni dei luoghi comuni usati dalla retorica contro i migrati in tutto il mondo. Non solo all’interno dei nostri confini. Retorica che non ha fatto altro che alimentare le politiche restrittive sui flussi migratori, e accrescere la paura del diverso e di chi proviene da un Paese lontano.
Il recente rapporto Global food policy report pubblicato a giugno di quest’anno dall’International food policy research institute (Ifpri), nel capitolo intitolato Migration: tightening borders and threats to food security (letteralmente: “Migrazione: rafforzamento delle frontiere e minacce alla sicurezza alimentare”), smonta questi luoghi comuni con i fatti e l’evidenza scientifica.
Tutti i benefici portati dai migranti
Nel capitolo, firmato dai due ricercatori Alan de Brauw e Kate Ambler, viene infatti sottolineato come “la migrazione volontaria” sia in grado di “migliorare la sicurezza alimentare sia per i migranti che per le famiglie lasciate indietro, aumentando i redditi e riducendo la pressione sulle risorse”. Poter migrare è spesso l’unica soluzione per le famiglie più povere e quelle che vivono nelle aree rurali. Chi parte infatti permette alla famiglia rimasta in patria di aver più cibo a disposizione. Inoltre le rimesse – ovvero i soldi spediti a casa dai migranti – aiutano la famiglia, anche a recuperare il reddito perso dall’uscita del membro dal gruppo familiare stesso.
“In Guatemala e in El Salvador, ad esempio, l’arresto della crescita tra i bambini al di sotto dei cinque anni sembra essere più basso tra le famiglie di migranti (la maggior parte delle quali ricevono rimesse), rispetto alle famiglie che non le ricevono”. Mentre in Tagikistan, continuano i ricercatori, “è stato dimostrato che le famiglie di migranti consumano in media più calorie medie delle famiglie che non ricevono le rimesse”.
I migranti e la crescita economica
Non solo benefici per le comunità d’origine, ma soprattutto per i Paesi e le comunità ospitanti. Lo stesso dipartimento della Sanità e dei servizi umani degli Stati Uniti, ha stimato nel 2017 che i migranti abbiano generato per l’economia statunitense un beneficio economico di 63 miliardi di dollari in 10 anni. Mentre anche i rifugiati costretti ad attraversare i confini e ad essere ospitati nei campi profughi possono dare una spinta positiva all’economia. La ricerca infatti evidenzia come un campo in Tanzania che ospitava profughi del Burundi e del Ruanda, abbia rilevato un aumento del benessere nelle immediate vicinanze. Mentre si dimostra come in Kenya, chi vive a meno di dieci chilometri da un campo di accoglienza possa consumare il 25 per cento in più rispetto a chi vive in aree più lontane. Ciò accade perché le attività imprenditoriali vengono stimolate e gli stessi profughi sono in grado di portare conoscenze e abilità all’interno e all’esterno del campo.
Quali soluzioni?
Gli stessi ricercatori ammettono che le soluzioni non sono certo immediate e che “abbiamo bisogno di ulteriori ricerche per stabilire come la politica possa supportare la migrazione e creare risultati migliori”. Ma che esistono già delle iniziative che sembrano aver portato a buoni frutti, come il supporto ad una migrazione stagionale, dei costi finanziari minori per la gestione delle rimesse e l’utilizzo della tecnologia per migliorare i servizi durante le crisi alimentari o i conflitti.
In uno scenario internazionale dove i cosiddetti “migranti involontari” sono raddoppiati dal 2007 al 2016, toccando quota 64 milioni, è chiaro che i crescenti conflitti e gli effetti sempre più tangibili dei cambiamenti climatici non faranno altro che esacerbare la situazione e che la chiusura dei confini o l’innalzamento di muri nulla potrà contro chi cerca solamente la possibilità di poter lavorare o magari sopravvivere.
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