Il modello di accoglienza per migranti messo in piedi nel comune calabrese di Riace dall’allora sindaco Mimmo Lucano “era encomiabile sia negli intenti che negli esiti del processo di integrazione”. Ad affermarlo non è una organizzazione non governativa o qualche politico di parte ma una sentenza del Consiglio di Stato secondo la quale che il modello Riace fosse degno di encomio “è circostanza che traspare anche dai più critici tra i monitoraggi compiuti”. Ma anche “dalla prefettura di Reggio Calabria era arrivata una relazione positiva”: per questo la decisione presa dal ministero dell’Interno nell’ottobre 2018 di chiudere quell’esperienza virtuosa era illegittima.
Il Consiglio di Stato, con questa sentenza, di fatto conferma il parere espresso dal Tribunale amministrativo regionale della Calabria del maggio 2019, che aveva accolto il ricorso di Riace e riammesso il comune nel sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar). Intanto però il municipio calabrese aveva cambiato amministrazione, passando dal centrosinistra al centrodestra. E, soprattutto, il decreto Sicurezza approvato nel frattempo aveva sensibilmente ridotto la portata dello Sprar, cancellando lo status di protezione umanitaria per i migranti. A oggi, quindi, di fatto un “modello Riace” non esiste più da tempo.
Dalla parte di chi accoglie. Il Consiglio di stato riconosce gli "innegabili meriti del sistema Riace encomiabile negli intenti e anche negli esiti del processo di integrazione" pic.twitter.com/MqmRvG4age
Il processo e l’esclusione di Riace dal sistema Sprar
Sotto la sua amministrazione, Lucano aveva trasformato il piccolo borgo di Riace, in via di spopolamento, in una sorta di Sprar diffuso di grande successo. In seguito all’apertura di un’inchiesta da parte della Procura di Locri sull’utilizzo dei fondi concessi per il progetto di accoglienza, però, il ministero dell’Interno aveva revocato il finanziamento ed escluso Riace dal sistema Sprar. Già secondo il Tar di Reggio Calabria nel comportamento del Viminale c’era stata una “manifesta contraddittorietà” tra la prosecuzione autorizzata in un primo momento e la successiva revoca: in sostanza, prima il Viminale aveva prorogato il finanziamento per un triennio non avendo rilevato alcuna criticità nella gestione dei fondi del triennio precedente; poi lo aveva revocato proprio sulla base di problemi “afferenti al precedente triennio”, senza neanche indicare un termine per mettersi in regola.
Ora, dunque, anche il Consiglio di Stato conferma la valutazione, spiegando che “prima di adottare qualunque misura demolitoria” il ministero avrebbe dovuto “avvisare l’ente locale, esporre chiaramente le carenze e le irregolarità da sanare, assegnargli un congruo termine per sanarle”: in sostanza, concedere un preavviso e la possibilità di mettersi in regola, cosa che non è invece avvenuta. Intervistato dal Manifesto, Lucano non riesce però a mostrarsi felice: “Volevano distruggere Riace e il messaggio politico-evangelico e ci sono riusciti. Queste pronunce non fanno altro che aumentare la mia amarezza”. Di fatto, quella arrivata in questi giorni è infatti solo un riconoscimento morale che difficilmente servirà a rimettere in piedi il progetto.
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