Come siamo passati dal “blocco navale” al record di migranti a Lampedusa

Fila di barche in attesa di sbarcare a Lampedusa, oltre cinquemila migranti in un giorno, hotspot al collasso. È il tracollo della politica migratoria italiana?

  • Il 12 settembre a Lampedusa sono sbarcate 110 barche con oltre 5mila migranti.
  • Sull’isola, che conta 6mila residenti, c’è tensione e disperazione con scontri con le forze dell’ordine.
  • Dalle promesse di blocco navale all’abbandono dell’Europa: come siamo arrivati a questa situazione.

Quella di martedì 12 settembre è stata la giornata dei record a Lampedusa: l’isola siciliana sta affrontando un’ondata di arrivi di migranti senza precedenti, anche a causa delle condizioni meteorologiche favorevoli e del mare calmo. Nell’arco di 24 ore, nella piccola isola, al centro del Mediterraneo, si sono registrati 110 approdi, per un totale di 5.112 persone sbarcate.

E nella notte il flusso non è calato, con altri 23 arrivi per un totale di mille persone fino all’alba. E la nave militare Diciotti in mare con altre 800 persone a bordo. Ci sono stati anche momenti di forte tensione tra migranti e forze dell’ordine. I video pubblicati da molti utenti sui social network mostrano una situazione irreale a Lampedusa, con decine e decine di migranti, giunti con diverse imbarcazioni, tutti ammassati, e file di barchini in mare in attesa del proprio turno per sbarcare. E purtroppo c’è anche anche una vittima, piccolissima: un neonato di 5 mesi, caduto in mare per il rovesciamento di uno di questi barchini, e recuperato ormai morto. Un tragedia di cui, fino a poco tempo fa, si sarebbe parlato per giorni, ma che oggi, evidentemente, è percepito come un fatto quasi normale.

A Lampedusa più migranti che residenti 

Il sindaco di Lampedusa, Filippo Mannino, ha dichiarato che la situazione è “insostenibile” e ha richiesto urgenti interventi da parte del governo. Il prefetto di Agrigento ha affermato che i numeri superano quelli delle precedenti ondate e ha descritto la situazione come veramente drammatica. Il fatto che gli sbarchi avvengano principalmente con piccole imbarcazioni sta portando le autorità a ipotizzare la presenza di cosiddette “navi madre” che portano i migranti fino a poche decine di miglia da Lampedusa prima di lasciarli su imbarcazioni più piccole.

In precedenza, Lampedusa aveva stabilito un record alla fine di agosto con 65 approdi in 24 ore e 2.172 migranti arrivati nello stesso giorno. I dati attuali si avvicinano a questo punto a quelli del 2016 e del 2017, considerati gli anni del vero e proprio boom del flusso migratorio verso l’Italia. Lunedì mattina all’alba c’erano già oltre duemila ospiti nell’hotspot di Contrada Imbriacola, che ne può ospitare in deroga fino a 1.200: con gli oltre 5mila arrivi di ieri, su un’isola di 6.300 abitanti al momento vi sono oltre 7mila migranti.

Ma l’Italia non doveva lavorare contro le partenze? 

Ma come: l’Italia non stava lavorando per fermare le partenze all’origine? Non voleva rendere più difficili gli arrivi ostacolando il lavoro delle navi delle organizzazioni non governative, considerate un pull factor, e soprattutto degli scafisti? La risposta è sì, ma evidentemente non sta funzionando. In campagna elettorale, la coalizione di destra, poi risultata vincitrice, aveva cavalcato l’idea del “blocco navale”, che però nel diritto internazionale, in particolare secondo lo statuto delle Nazioni Unite, è una azione militare illegale, se non nei casi di legittima difesa.

Allora il concetto era stato depotenziato a metafora: “Lo faremo attraverso gli accordi, come quelli con la Libia e la Tunisia, incentivando la loro capacità di rafforzare il controllo delle proprie coste ed evitare le partenze” aveva assicurato il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi. Vediamoli allora, questi accordi.

L’accordo con la Libia 

Gli accordi con la Libia esistono dal 2017, e non sono imputabili certo al centrodestra, visto che furono siglati dal ministro dell’Interno Marco Minniti sotto il governo Gentiloni: consistono in un memorandum con cui l’Italia si impegna a fornire motovedette e addestramento alla Guardia costiera libica. Peccato che negli anni la situazione politica in Libia si sia talmente deteriorata e, di conseguenza, quella dei diritti umani, che spesso la Guardia costiera locale coincide con milizie private senza scrupoli, pronte a sparare sui barchini (e a volte anche su navi private e delle ong) e a riportare i migranti nei terribili centri di detenzione dove si perpetra ogni tipo di crimine sulla persona.

L’accordo con la Tunisia

Gli accordi con la Tunisia sono stati invece siglati solamente lo scorso 17 luglio, proprio dal governo di Giorgia Meloni, a seguito della crisi economica che ha colpito Tunisi e del fatto che il porto di Sfax, il più grande del Paese, ha ormai soppiantato le coste libiche come principale punto di partenze. Il presidente tunisino Kaïs Saïed (anche lui sotto osservazione dal punto di vista del mancato rispetto dei diritti umani) si è impegnato nel memorandum a impedire le partenze di queste barche, ma evidentemente non riesce o non vuole rispettare l’impegno: la maggior parte dei barchini giunti ieri a Lampedusa viene da Sfax, dove sono segnalate al momento scene di file in partenza analoghe a quelle viste in arrivo a Lampedusa. Secondo Frontex, sono ottomila le persone partite dal principale porto tunisino in questi giorni.

Mark Rutte, Ursula Von der Leyen, Saied e Giorgia e Meloni alla firma del Memorandum d'Intesa con la Tunisia
Mark Rutte, Ursula Von der Leyen, Saied e Giorgia e Meloni alla firma del Memorandum d’Intesa con la Tunisia © Palazzo Chigi

Il primo tentativo di porre un freno agli arrivi via mare, in realtà, il governo guidato da Giorgia Meloni l’aveva fatto all’indomani della tragedia di Cutro, quando un barcone partito dalla Turchia si era capovolto a poche centinaia di metri dalla costa calabrese lo scorso 26 febbraio, provocando almeno 180 morti: il decreto varato in seguito a quell’episodio portò a un restringimento della protezione speciale, a nuove regole di condotta per le navi delle organizzazioni non governative, ora passibili di multa e sequestro se indugiano troppo in mare in cerca di nuovi naufragi dopo aver compiuto un primo salvataggio, e alla famosa dichiarazione della premier: “Daremo la caccia agli scafisti per tutto il globo terracqueo”. Doveva essere un deterrente alle partenze: almeno per il momento neanche questo lo è stato.

Porti apertissimi

I dati aggiornatissimi del Viminale indicano che all’11 settembre, vigilia della giornata da record, erano già sbarcati in Italia 116.028 migranti, quasi il doppio del 2022 (alla stessa data, 63.498), quasi il triplo del 2021 (ovvero 41.106). E il principale Paese di partenza verso l’Italia è proprio la Tunisia, mentre fino all’anno scorso era la Libia.

“È innegabile l’aumento degli sbarchi, siamo al più 103 per cento rispetto all’anno scorso, a causa dell’aperture di molte crisi: tutta l’area del Sahel provoca partenze oltre ai paesi tradizionalmente interessati. Ma i numeri vanno letti: sono preoccupanti ma la dinamica vede un picco a maggio e poi un calo, come in Tunisia e Libia” aveva detto il sottosegretario di Stato Alfredo Mantovano lo scorso 28 agosto, aggiungendo che “il lavoro in corso da parte del governo italiano incomincia a ottenere i primi risultati e contiamo di incrementarli con un dialogo ancora più stretto con i paesi di partenza, come la Tunisia di cui riconosciamo gli sforzi: per 50 persone che partono almeno altrettante vengono trattenute”. I dati del Viminale però dicono tutt’altro: è proprio a luglio e agosto in fatti che si è vericato il boom di arrivi.

Francia e Germania chiudono, ma all’Italia 

Se l’Italia voleva chiudere i porti, il risultato per ora è che Francia e Germania hanno chiuso la porta all’Italia. Proprio in queste ore la Germania ha deciso di ritirarsi dagli accordi di ricollocamento stabiliti dal meccanismo di solidarietà volontaria approvato dall’Unione europea. La Francia ha annunciato che rafforzerà i controlli al confine tra Ventimiglia (lato italiano) e Mentone (lato transalpino), dal momento che nelle ultime settimane “è stato registrato un aumento dei flussi del 100 per cento”, come ha spiegato il ministro dell’Interno Gerald Darmanin.

In pratica, sia la Francia che la Germania accusano l’Italia di eludere il regolamento di Dublino, che prevede la presa in carico dei migranti da parte del primo paese di approdo (un regolamento che sta per essere modificato, ma che per il momento è ancora in vigore) permettendo a chi sbarca in Italia (o a chi arriva dalla rotta balcanica) di proseguire il viaggio e uscire dai confini nazionali senza essere registrato. L’unica risposta, pare, per allentare la pressioni sui centri di accoglienza italiani. Quello che è anche vero è che la risposta europea al problema degli arrivi, finora, è stata pressoché nulla: lo stesso meccanismo di solidarietà volontaria nel 2023 ha portato al ricollocamento di  2.808 persone, poco più della metà di quelli arrivati solo ieri.

Un nuovo decreto Sicurezza? 

La prossima mossa del governo italiano, a questo punto, potrebbe essere un nuovo decreto Sicurezza, sulla scorta di quelli varati nel 2018 dall’allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che punti fondamentalmente su due cose: velocizzare le norme per il rimpatrio di soggetti pericolosi e violenti, rafforzare e aumentare i Centri di permanenza per i rimpatri, prevedendone almeno uno per ogni Regione: un punto, quest’ultimo, peraltro già previsto con la dichiarazione dello stato di emergenza migratoria, in vigore da aprile 2023.

Ma a parte il fatto che proprio ai decreti sicurezza di allora si deve lo smantellamento del sistema italiano di accoglienza, i cosiddetti Sprar, e dunque parte della situazione attuale, si tratta di due interventi che prevedono la stipula di difficili accordi con i paesi di origine, un po’ come quello in vigore con la Tunisia, per buona parte niente affatto sicuri e governati da regimi dittatoriali se non quando, addirittura, senza un vero governo effettivo.

Un esempio su tutti: all’indomani della tragedia che ha sconvolto la Libia, a causa del tifone che ha causato migliaia di vittime e dispersi e che probabilmente a breve farà aumentare le partenze verso l’Italia, il governo italiano ha emesso non una, bensì due note, facendo sapere di aver espresso le proprie condoglianze e il proprio sostegno tanto al primo ministro Abdul Dabaiba, che controlla una parte del Paese, quanto al maresciallo Khalifa Haftar, che ne controlla un’altra.

Chi dei due sarà interpellato, il giorno in cui si dovrà discutere di rimpatri?

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