Almeno 11 migranti respinti e rimessi in mare a Lesbo, altri 500 trainati nel Mediterraneo fino alla Libia: le ong del mare accusano gli Stati europei.
- Un video documenta il respingimento in mare di 11 migranti da parte delle autorità greche a Lesbo.
- Le ong del mare accusano Malta di aver trainato in Libia per 300 km una barca in panne con a bordo 500 persone.
- Nel mirino anche l’Italia, che non sarebbe intervenuta per soccorrere i naufraghi.
Gli stati membri dell’Unione europea hanno la capacità di dare protezione dignitosa a milioni di persone, ma quello che manca è la volontà di farlo. Era la conclusione a cui era giunta Amnesty International nel considerare, nel rapporto 2022 sul rispetto dei diritti umani nel mondo, le politiche migratorie del nostro Continente. Nei due mesi successivi alla pubblicazione del rapporto, e di questa sentenza, la situazione non è migliorata.
Al punto che paesi come la Grecia, Malta, e con il silenzio dell’Italia, si sono resi già nuovamente protagonisti di episodi gravissimi di migranti respinti in mare. Pratiche che avvengono purtroppo silenziosamente, in maniera probabilmente quotidiana e sistematica, ma che talvolta, per il caso o per l’interessamento di qualcuno, vengono scoperte anche dall’opinione pubblica.
I migranti respinti in mare a Lesbo
Come nel caso del video, girato da un attivista austriaco lo scorso 11 aprile sulle coste di Lesbo e pubblicato dal New York Times il 19 maggio, che mostrava le autorità greche rispedire in mare 11 persone, da poco arrivate sull’isola greca dopo essere fuggite da un centro di detenzione per migranti a Smirne, in Turchia, lo stesso luogo da cui provenivano le vittime della tragedia di Cutro dello scorso 26 febbraio. Nel video si vedono distintamente i migranti, tra cui un piccolo di circa 6 mesi, fatti salire su una imbarcazione e poi spinti nuovamente al largo, alla deriva. Medici senza Frontiere allora aveva confermato la dinamica ripresa dal video: “L’11 aprile scorso il team di Medici senza frontiere a Lesbo era stato avvisato di 103 persone arrivate sull’isola che avevano bisogno di cure mediche urgenti. Quel giorno il team di Msf ha assistito 91 persone senza riuscire a trovare le altre 12. Nello stesso giorno un video pubblicato dal New York Times mostra il respingimento di un numero simile di persone. Msf ha più volte lanciato allarmi sulle gravi conseguenze della violenza diretta e indiretta rivolta contro le persone in movimento in Grecia. A Lesbo i pazienti di Msf hanno più volte raccontato di essere state vittime di respingimenti traumatici da parte delle autorità di frontiera”.
Quei 500 migranti respinti in Libia da Malta
Ancora più grave, quantomeno per l’entità del numero di migranti respinti, quanto successo nei giorni scorsi, quando una imbarcazione con ben 500 persone a bordo, per diverse ore, sembrava essere incredibilmente sparita nel Mediterraneo. Fino a che poi non si è scoperto che la barca era stata “solamente” trainata indietro fino a Bengasi e le persone a bordo affidate ai tremendi lager libici. A denunciare quanto accaduto sono, tutte insieme, le organizzazioni non governative Alarm Phone, Sea-Watch, Mediterranea Saving Humans ed Emergency, che hanno provato a ricostruire fatti e responsabilità.
Nel pomeriggio del 23 maggio, la rete Alarm Phone è stata contattata da un gruppo di persone in pericolo, fuggite da Tobruk in Libia. Tra le circa 500 persone c’erano uomini provenienti da Siria, Egitto, Bangladesh e Pakistan, oltre a 55 bambini e 45 donne. Il motore del peschereccio a doppio ponte aveva smesso di funzionare e l’imbarcazione era alla deriva in area di competenza del centro di coordinamento di Malta. Nonostante sia i centri di soccorso di Malta che quello italiano siano stati immediatamente avvisati, nessuno ha fatto nulla: “A un certo punto della notte tra il 23 e il 24 maggio – denunciano le Ong – le persone a bordo hanno riferito ad Alarm Phone che una nave mercantile era quasi entrata in collisione con loro. Questi fatti dimostrano che Rcc Malta non ha informato le navi presenti in zona della barca alla deriva, con 500 persone in pericolo”. Per tutta la notte, assicura Alarm Phone, l’autorità responsabile della zona di ricerca e soccorso maltese, l’Rcc di Malta, ha continuato a non rispondere alle richieste di aiuto.
Alle 13:45 del giorno successivo l’aereo Seabird 2 della Sea-Watch è arrivato nell’area dell’ultima posizione nota e ha cercato la barca in difficoltà. A quel punto però l’equipaggio non è riuscito a individuare il grande peschereccio con circa 500 persone a bordo. “Come è potuto scomparire nel nulla un gruppo così numeroso a bordo di un peschereccio?” si chiedono allora le ong. Nella notte tra il 24 e il 25 maggio, anche la nave Life Support di Emegency, Ocean Viking di Sos Mèditerranèe e Humanity 1 hanno raggiunto l’area e hanno iniziato a cercare l’imbarcazione scomparsa, proseguendo per tutto il giorno successivo, ma senza risultato.
Per Emergency è stato un atto di pirateria
Alarm Phone, Emergency, Sos Méditerranée e Humanity 1 sottolineano di aver ripetutamente contattato le autorità italiane e maltesi per chiedere informazioni sulla sorte dell’imbarcazione scomparsa, senza ottenere risposta, nonostante Malta in particolare conoscesse benissimo la situazione: le 500 persone non erano state soccorse, ma al contrario, erano state trainate a rimorchio – per oltre 160 miglia nautiche, ovvero più 300 chilometri – fino al porto libico di Bengasi. Quello che, per le ong e per il diritto internazionale del mare e non solo, è “un respingimento illegale, una vera e propria deportazione, coordinata dal Centro di coordinamento maltese”. Secondo i parenti, le 500 persone sono state condotte in una prigione di Bengasi.
L’accusa di Alarm Phone, Sea-Watch, Mediterranea Saving Humans ed Emergency è grave e circostanziata: “Invece di soccorrere, e sbarcare in un luogo sicuro, le persone che hanno cercato di fuggire dalle violenze estreme che subiscono i migranti in Libia, l’autorità di uno Stato membro dell’Unione europea ha deciso di organizzare per procura un respingimento collettivo in mare, costringendo 500 persone ad attraversare oltre 300 chilometri per arrivare in una prigione libica”. Ma ce n’è anche per l’Italia: secondo le quattro ong del mare infatti essendo la sistematica omissione di assistenza in mare da parte di Malta, all’interno della zona Sar (search and rescue, ovvero ricerca e soccorso) di propria competenza, nota da tempo, le autorità italiane avrebbero dovuto mobilitare i soccorsi per proteggere 500 vite e garantire il loro sbarco in un luogo sicuro.
Alessandro Bertani, vicepresidente di Emergency, parla apertamente di “un atto di pirateria internazionale”. Si trattava infatti, spiega a LifeGate, “di un caso di natante in pericolo in acque internazionali in zona Sar maltese: un’imbarcazione l’ha agganciato e contro la volontà delle 500 persone che erano a bordo l’ha riportato in Libia. Paese che le istituzioni internazionali descrivono come non sicuro, dove i migranti sono tenuti in ostaggio e sono vittime di violenze e torture. Una realtà di violazione dei diritti umani riconosciuta come tale dall’Onu e anche da Papa Francesco. Anziché essere sbarcato in un luogo sicuro, nessun naufrago mai dovrebbe essere portato in Libia. Più in generale – conclude Alessandro Bertani – la pratica dei respingimenti va contro le convenzioni internazionali sui diritti umani ed è un atto di barbarie”.
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