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Migrare in casa, cosa faremo quando i migranti climatici saremo noi?
Dove sposteremo gli italiani quando saranno loro i migranti climatici? Da questa domanda nasce il libro “Migrare in casa” di Virginia Della Sala.
Se è vero i cambiamenti climatici stanno spingendo sempre più persone a spostarsi di casa e a cambiare lavoro per andare altrove, la domanda che viene spontanea è: quando saremo considerati noi i migranti climatici, dove andremo? Dove sposteremo l’Italia e gli italiani? È questa la domanda che si è posta la giornalista Virginia Della Sala nel suo libro Migrare in casa, edito da Edizioni Ambiente per la collana Verdenero. Noi di LifeGate l’abbiamo intervistata.
Che risposta ha dato alle sue domande? Dove andranno, in un futuro prossimo, gli italiani quando diventeranno i migranti climatici del domani?
In verità questa è la domanda con cui chiudo il libro, perché è una domanda che a oggi non ha una vera e propria risposta. Quello che cerco di dire attraverso questo libro è che dobbiamo prevenire in ogni modo il fenomeno dello sfollamento generale e che dobbiamo guardare agli sfollati di adesso, come quelli causati dal dissesto idrogeologico, come si guarda agli attuali migranti climatici nei paesi in via di sviluppo. Naturalmente dobbiamo fare le dovute proporzioni, parametrando i danni al nostro contesto, che però ultimamente non è così diverso dai paesi del sud del mondo: basti pensare alle alluvioni in Emilia-Romagna degli ultimi due anni.
Ecco, un punto del libro è proprio questo: le conseguenze degli eventi climatici estremi come vengono percepiti dalla popolazione italiana?
La popolazione dell’Emilia-Romagna assiste inerme alla distruzione delle proprie case e alle proprie aziende e non sa se mai potrà tornare a vivere normalmente in questi luoghi. Una delle interviste più delicate che ho fatto durante il mio lavoro è stata quella a un allevatore della Romagna, il quale ha visto distrutto l’intero lavoro di un anno e ha deciso così di spostare i suoi capannoni altrove, a qualche chilometro di distanza. Quell’allevamento si trovava lì da più di 100 anni e non era mai successa una cosa del genere. Il punto del libro è che dobbiamo cominciare a pensare anche noi italiani alla luce dei cambiamenti climatici, perché questi sono il presente e sono incontrovertibili. Il libro racconta le storie di chi è costretto a spostarsi e di chi decide di restare resistendo.
Questo lato popolazione. Come vengono visti, invece, i cambiamenti climatici lato politica?
La politica è in estremo ritardo su questo tema. A chi si domanda cosa possiamo fare di concreto, la risposta è da cercarsi nei piani di adattamento e mitigazione ai cambiamenti climatici. Sono anni che si discute di questi piani e ancora sono in costruzione, mentre il comparto delle piccole medie aziende, il motore economico dell’Italia, sta subendo ingenti danni dai quali potrebbe non riprendersi mai del tutto. Quindi, all’Italia e alla politica nazionale conviene considerare le strategie climatiche il prima possibile, invece di relegarle al piano locale. La visione di dettaglio, concentrarsi sulla soggettività della propria esperienza – il proprio isolato, casa propria, la propria pelle – non permette di comprendere il fenomeno nel suo insieme. Le cose sono cambiate, e molto. Ci vuole una visione d’insieme.
Oltre ai piani di adattamento e mitigazione all’Italia serve una legge sul consumo di suolo. Non è così?
Il problema è sempre lo stesso: la Romagna ha un territorio in buona parte soggetto a esondazione dei corsi d’acqua, eppure si è costruito anche dove non si sarebbe dovuto. Nelle Marche il 38 per cento dell’urbanizzato si trova in aree a elevata pericolosità idraulica, eppure anche qui si è edificato. In Campania oltre 51 ettari sono stati urbanizzati senza remore in aree a pericolo di frana. Con la differenza che, se fino a qualche anno fa il maltempo faceva sfiorare la linea sottile tra il rischio e il disastro, senza che questa fosse superata, ora non è più così: quel confine è stato oltrepassato da tempo. L’analisi di ciò che manca in Italia e di ciò che i governi e la politica fingono di non vedere non può che partire dal consumo di suolo, che procede oramai a un ritmo insostenibile, come ci ricorda ogni anno l’Ispra, un organo di governo che ultimamente è stato criticato dagli stessi ministri e accusato di ‘ambientalismo integralista’.
Quindi, dobbiamo rassegnarci a una politica cieca e sorda da questo punto di vista?
Avrei voluto concludere il libro con una nota positiva, ma c’è poco da essere ottimisti. Quando si parla di volontà politica, l’Italia riesce a sorprendere, producendo vere e proprie contraddizioni: emblematico il caso di una proposta di legge che, mirando a bloccare il consumo di suolo, finirebbe per incentivarlo. Questo è quanto previsto con il disegno di legge presentato nel 2023 dal senatore Maurizio Gasparri, che dovrebbe favorire la rigenerazione urbana senza ulteriore cementificazione, valorizzando edifici esistenti, specialmente quelli in stato di degrado o abbandono. Se passasse si rileverebbe un mini-condono edilizio. A questo si aggiungono le critiche del ministro Francesco Lollobrigida, insieme alle principali associazioni agricole, contro il Green Deal europeo, cioè il Piano per la riduzione delle emissioni climalteranti responsabili di eventi estremi che colpiscono duramente anche il settore produttivo di sua competenza. E non mancano altri esempi di leggi essenziali bloccate dal nostro governo: basti pensare alle polemiche che hanno accompagnato la direttiva UE sulle case green, dipinta come una patrimoniale. Per non parlare del Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec), che oltre a obiettivi minimi sulle rinnovabili, prospetta addirittura un ritorno al nucleare.
Torniamo alla domanda iniziale. Ricordo un romanzo uscito qualche anno fa in cui l’autore immagina orde di italiani spostarsi in massa verso il nord Europa, scappando da un’Italia ormai arida e dovendo affrontare ciò che oggi già molti migranti climatici stanno attraversando per poter entrare in Europa. Tu come te lo immagini il futuro degli migranti climatici italiani?
Io non mi spingo a immaginare uno scenario così estremo. Ancora. Più che altro perché l’Italia è fatta di una classe media forte che – e non è un aspetto secondario – possiede case di proprietà. Durante la stesura del libro ho parlato con una signora romagnola, la cui casa è stata devastata tre volte in un anno dalle alluvioni. Quando le ho chiesto perché non decidesse di andarsene lei mi ha risposto che quella casa l’aveva pagata 250mila euro e aveva un mutuo da sostenere. Inoltre, vendere la casa in quello stato avrebbe significato guadagnare meno di un quarto del suo valore iniziale. Insomma, molte persone preferiscono restare e ci vorrà molto tempo prima che si configuri uno scenario come quello descritto dal romanzo. Questo non significa che l’argomento sia meno grave: negli ultimi due anni il numero di sfollati interni italiani è raddoppiato. Quindi c’è un esodo in atto, solo che viene ignorato. L’Italia ha costruito negli anni passati laddove non è più possibile costruire: il nostro sistema infrastrutturale va ripensato e di esempi a cui ispirarci nel mondo ce ne sono diversi, sia nel bene che nel male. Io stessa ho raccolto le storie in giro per il mondo: nel libro racconto esempi dai Paesi Bassi, dall’Indonesia, dalle Maldive e dagli Stati Uniti, solo per citarne alcuni. Certo, qualcuno preferirà dire che la migrazione dei popoli è storia millenaria, che l’uomo si è spostato evitando glaciazioni e siccità, ha cercato spazi nuovi per coltivare e allevare. E anche in futuro succederà lo stesso. Ma quelli erano piccoli nuclei originari, spesso nomadi, che cercavano il loro posto nel mondo. L’Italia ha invece oltre 60 milioni di abitanti e già gran parte del territorio in zone a rischio. Dove potremmo mai spostarla?
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