A Milano c’è chi tenta da mesi di prendere un appuntamento in questura per chiedere asilo politico
Gli immigrati si mettono in fila per giorni accampandosi sul prato
Da gennaio ad oggi la procedura messa in atto dalle forze dell’ordine ha causato diversi feriti
Negli ultimi mesi, fuori dalla sede distaccata dell’ufficio stranieri di via Cagni, a Milano, centinaia di persone, bambini compresi, hanno affrontato temperature gelide, tensioni e cariche della polizia solo per poter accedere in questura per farsi dare un appuntamento per avviare la procedura di richiesta d’asilo politico. Folle di persone esauste e indignate, costrette a tornare ripetutamente, in quel parco transennato con coperte, cartoni su cui sedersi e scorte di cibo, circondati da camionette e cordoni di poliziotti in tenuta antisommossa.
Dal momento che un sistema di prenotazione non esiste e Milano è la città con la percentuale di stranieri tra le più alte d’Italia, mettersi in fila un giorno a settimana (il lunedì) è l’unica via per poter accedere a un diritto assoluto garantito dall’articolo 10 della Costituzione.
“Lo ripetiamo ormai da mesi: il problema è che non esiste una procedura chiara, non esiste una logica definita“, ci racconta Niccolò Palla dell’associazione Mutuo Soccorso, che insieme ad altre associazioni come Naga Odv, sta monitorando e denunciando i fatti di via Cagni da dicembre scorso. “Queste persone non sanno cosa devono fare, dove devono mettersi e come poter prendere questo fatidico appuntamento. Non poter accedere alla richiesta di asilo politico comporta l’alto rischio di essere fermati per strada ed essere portati in un centro di permanenza per i rimpatri (cpr). L’appuntamento per avviare la procedura di richiesta di protezione internazionale garantisce a queste persone solo il diritto all’inespellibilità. In altre parole hanno il diritto di risiedere regolarmente sul territorio italiano in attesa della risposta alla loro istanza”.
Il drammatico copione della questura di via Cagni a Milano
Fuori dalla caserma Annarumma di via Cagni si contano quasi un migliaio di persone. C’è chi, autonomamente inizia ad accamparsi sul prato di fronte alla questura già dal venerdì. Si mette in coda per definire un ordine di arrivo che il più delle volte non viene rispettato dai funzionari dell’ufficio immigrazione.
A mezzanotte passata, la polizia inizia a scegliere le persone che potranno entrare nell’ufficio la mattina successiva. Parliamo di 100, 120 stranieri ammessi quando l’ufficio apriva una volta alla settimana e di 240 ora che apre ogni quindici giorni. Le donne e i bambini vengono fatti passare prima, ma non tutti. Poi si passa alla provenienza geografica: tra i posti disponibili, un terzo è destinato ai sudamericani, un terzo ai nordafricani e un terzo a tutti gli altri paesi.
Nei vari gruppi, il criterio di selezione appare arbitrario e casuale. La confusione è enorme e l’esasperazione anche di più. La maggior parte di loro sta provando ad entrare in quell’ufficio da mesi, tentando la sorte e mettendo a rischio la propria incolumità, perché la selezione dei pochi che riusciranno ad entrare in questura avviene tra cariche della polizia, manganellate, urla, lacrimogeni, corse, feriti, persone travolte e malori.
Dall’inizio dell’anno questo copione è avvenuto una volta alla settimana, nella notte tra la domenica e il lunedì. Ora accade ogni quindici giorni, nella notte tra il lunedì e il martedì. La differenza sostanziale tra tutte queste notti sta solo nel numero di feriti e di contusi. La scena non cambia.
La “nuova” procedura di accesso alla questura
“Come ci si poteva aspettare, dopo quindici giorni di chiusura dell’ufficio, la notte tra il 20 e il 21 marzo, le persone erano molte più del solito e probabilmente è stata anche la più drammatica”, continua Niccolò Palla. “Ho assistito a un livello di violenza che ho visto solo al confine con la Polonia e la Bielorussia e a Calais. I feriti e i contusi, dalle manganellate e dalle cariche sono state almeno una decina. Di fronte ad una folla di persone esasperate, l’extrema ratio è quella di menare colpi obbligando questa gente ad inginocchiarsi per cercare di mantenere il controllo”.
“La notte tra il 5 e il 6 marzo, la polizia si è limitata a spargere la voce tra i presenti dicendo di non tornare la domenica successiva”, spiega Iacopo Imberti, volontario di Naga Odv. “Questa nuova regola sembra nascere dall’urgenza di nascondere ancora di più all’opinione pubblica quello che succede. È per lo stesso motivo che l’assurda selezione per l’accesso all’ufficio avviene tra la mezzanotte e le due del mattino e non alla luce del sole. Diversamente non si spiega. A inverno quasi finito, l’unica consolazione è che ora le persone selezionate non aspettano più tutta la notte in strada, ma sotto ad un tendone nel cortile interno della questura. Sì, perché anche le donne, i bambini e le altre categorie fragili aspettavano l’apertura dell’ufficio alle sette della mattina sedute sull’asfalto, in qualsiasi condizione climatica, sentendosi anche fortunati perché erano stati finalmente scelti.
Su via Cagni si era acceso il faro grazie alla massiccia presenza di giornalisti. Purtroppo però, appena calata l’attenzione mediatica la situazione è precipitata”.
La comunicazione ufficiale del cambio di procedura, stringatissima, è apparsa qualche giorno dopo su una pagina secondaria del sito della questura. La notte tra il 12 e il 13 marzo di fatto le persone che non ne erano a conoscenza sono state allontanate dalla polizia. Sulla porta della questura un avviso in cui si indicavano le nuove disposizioni.
Cosa prevede la legge per richiedere asilo politico
Quando una persona straniera entra in Italia, legalmente o meno, ha il diritto di fare richiesta di protezione internazionale. L’articolo 26, comma 2 bis del decreto legislativo 25 del 2008 ne stabilisce i tempi: l’accesso alla domanda di protezione internazionale deve avvenire entro tre giorni lavorativi dalla manifestazione di volontà di richiederlo. I giorni diventano sei se la volontà viene manifestata all’ufficio di polizia di frontiera.
Nello stesso comma si legge che “i termini sono prorogati di dieci giorni lavorativi in presenza di un elevato numero di domande in conseguenza di arrivi consistenti e ravvicinati di richiedenti”.
In un’ordinanza di gennaio 2023, il tribunale di Bologna, ha dato torto alla questura e alla prefettura di Parma, definendo illegittima la prassi di ritardare o impedire la formalizzazione dell’istanza di protezione internazionale. Aveva seguito lo stesso orientamento anche l’ordinanza del tribunale di Roma ottenuta dall’associazione A buon diritto, nella quale si legge che “l’amministrazione ha l’obbligo di predisporre un’organizzazione adeguata che consenta di rispettare i termini di legge per la verbalizzazione della domanda di protezione internazionale e rispettare i diritti fondamentali dei richiedenti asilo garantendo loro un facile accesso alla procedura”.
L’articolo 10, comma 3 della Costituzione stabilisce che “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”.
Le forme di protezione internazionale sono due: lo status di rifugiato e quello di protezione sussidiaria. Lo status di rifugiato viene riconosciuto a chi, nel proprio paese di origine, è stato perseguitato, o ha il timore fondato di esserlo, per motivi politici, religiosi, di razza, nazionalità o appartenenza ad un determinato gruppo sociale. La protezione sussidiaria è invece riconosciuta alle persone che dimostrano il rischio effettivo di subire un grave danno al ritorno nel proprio paese.
Essere imprenditrice straniera a Milano
“È indegno, siamo trattati peggio degli animali“. Carmen è peruviana, vive a Milano da otto anni ed è un’imprenditrice. Suo figlio è un ingegnere civile di 30 anni e l’ha raggiunta in Italia da poco. “A febbraio, la prima volta che mio figlio ha tentato di prendere l’appuntamento si è messo in coda dal venerdì e ha dormito sul prato. Era il numero 19. Lunedì, all’una del mattino, quando la polizia ha iniziato a scegliere, abbiamo fatto presente che era stata fatta una fila. La risposta è stata che a decidere erano solo loro. Dopo di che, si sono diretti in fondo e hanno aperto le transenne per fare entrare gli ultimi arrivati. La gente, accampata lì da giorni ha iniziato a protestare. Le manganellate sono state la risposta. Le ha prese anche mio figlio, ripetutamente, sulla schiena. Con la paura addosso, è tornato anche le tre settimane successive, senza mai essere ammesso. Io pago le tasse in Italia e sono sempre stata grata a questo paese. Mai avrei immaginato di vedere questo”.
La paura e il silenzio di Ali
Ali è egiziano e sono ormai quattro mesi che cerca di prendere l’appuntamento. È il 13 febbraio e all’una circa del mattino durante una carica della polizia, il suo amico viene colpito in testa da uno scudo. Sviene, provano a metterlo in piedi ma barcolla. Lo portano via in ambulanza. “Non so più cosa fare” Racconta Ali con la disperata rassegnazione di chi può stare a solo a guardare, zitto perché è meno rischioso. “Una volta abbiamo dormito qui per quattro giorni, inutilmente. Quando prima il medico mi ha chiesto cosa era successo al mio amico non ho raccontato nulla. Ho paura”.
Per Vladi è la seconda volta in via Cagni, è albanese, ha 54 anni e fa il buttafuori in una discoteca, pagato in nero. “Questa situazione l’ho vissuta in Albania, ma allora si facevano ore di fila per avere qualcosa da mangiare, non per entrare in un ufficio pubblico. Il mio paese è messo male, ma anche il vostro”.
Bambini che sognano in grande, mentre dormono su un marciapiede
Il 13 febbraio, per Sonia, di origini peruviane, è il quarto tentativo. Ha con sé i tre figli, il più piccolo ha nove mesi, la più grande nove anni.
È lei a spiegare l’attuale situazione politica del suo paese e i motivi per i quali sono dovuti scappare. Il suo linguaggio è preciso, puntuale e carismatico. “È appassionata di politica da sempre”. Commenta la mamma. “Da piccola diceva di voler diventare la presidente del Perù”.
Sonia e i suoi bambini quella notte finalmente passeranno le transenne. Il giorno dopo, con un messaggio ci farà sapere che è stata dura stare fuori al freddo, soprattutto per i bambini. Ma è felice, ha il suo appuntamento.
▶️ Impressionanti code per il diritto d'asilo
🔹Ogni settimana centinaia di migranti si accalcano di notte davanti alla questura di via Cagni, a Milano, nella speranza di poter fare richiesta d'asilo. Lunghe code che spesso sfociano in problemi di ordine pubblico ma solo alcuni pic.twitter.com/V91puHfhFW
— Ambrosino Raffaele Salvatore (@Ambrosino6) March 9, 2023
La storia di Lili
Lili Ramos è giovane, ha un viso aperto e un coraggio da leonessa. Viene da un piccolo villaggio dell’Amazzonia peruviana dove per fare la spesa bisogna camminare per due ore. Ha scelto di andarsene per riprendersi da una convivenza fatta di percosse e maltrattamenti. “Sono caduta in depressione e ho tentato il suicidio. I medici mi hanno aiutata, ma fuori dall’ospedale ho continuato a curarmi da sola, cercando di dare un senso diverso ai fatti della vita”. A Milano fa le pulizie nelle case, anche se deve indossare un collare rigido per un’ernia cervicale, dopo che un furgone, aprendo la portiera, l’ha sbattuta a terra mentre passava in bici. “Mi pagano per quattro ore, ma ne lavoro almeno cinque. Mi rendo conto di essere lenta e non posso farmi pagare di più solo perché faccio fatica. Solo che mi si addormentano le braccia, iniziano le vertigini, la nausea e devo fermarmi”.
Questore e Prefetto non fanno nulla per i rifugiati, ma inaugurano un ambulatorio veterinario in via Cagni https://t.co/cWkuFhfd1S
“Per il danno alla bicicletta mi hanno dato un assegno da 132 euro” Aggiunge Lili. “Non sono mai riuscita ad incassarlo perché per aprire un conto corrente serve la richiesta di permesso di soggiorno.”
In via Cagni Lili ha provato ad essere ammessa per due settimane di fila, la terza l’ha saltata: “Avevo la febbre, non ero in grado di stare fuori tutta la notte. Sono tornata domenica, quella in cui però non hanno aperto a nessuno. Non sapevo della novità”. Aveva i requisiti per formalizzare la richiesta di protezione speciale, che nel frattempo però è stata modificata e ristretta dal decreto flussi approvato dal governo dopo la strage dei migranti di Cutro. È arrivata in Italia da sola, contro il volere della mamma, a cui ora però riesce a spedire qualche soldo. Mentre parliamo riceve una sua telefonata, lei risponde con voce dolce e rassicurante, anche se è passata l’una di notte, fa molto freddo e il collo le fa male. “Lei non sa niente dei miei problemi, le dico sempre che sto bene. Sono io ad aver insistito tanto perché mi lasciasse partire”.
I dati sulle richieste di protezione internazionale
Secondo i dati Eurostat, ripresi dal Consiglio italiano per i rifugiati, nel 2022 l’Italia ha ricevuto circa 77.195 richieste di protezione internazionale, la Germania ne ha ricevute quasi il triplo (217.735) e la Francia quasi il doppio (137.500) e la Spagna il 50percento in più (116.140).
Il prefetto di Milano, Renato Saccone ha recentemente dichiarato che “Oggi Milano registra i dati più alti d’Italia nell’accesso di richiedenti asilo, con numeri quasi raddoppiati – esclusi i profughi dal conflitto in Ucraina – in un anno, dalle 3.882 domande di protezione internazionale presentate nel 2021 alle 6.890 del 2022”.
Le azioni legali per tutelare i richiedenti asilo politico
Gli strumenti legali per assistere gli stranieri che vogliono formalizzare la richiesta di asilo non sono molti. La Corte di Cassazione, con sentenza del 17 settembre 2020 afferma che il cittadino straniero deve essere considerato richiedente protezione internazionale dal momento in cui manifesta la volontà di chiedere protezione. “Da fine gennaio ad oggi il team di volontari avvocati di Naga ha spedito via pec alla questura circa 400 manifestazioni di volontà con delega delle persone che si sono presentate in via Cagni senza essere ammesse ”, aggiunge Imberti. “I ricorsi presentati finora sono una ventina. Con altre associazioni abbiamo poi organizzato un presidio in piazza San Babila per chiedere all’ Alto commissariato delle nazioni unite per i rifugiati (Unhcr) una presa di posizione pubblica di fronte alle gravi violazioni perpetrate sul territorio di Milano. Purtroppo la risposta è stata negativa, prospettando però la possibilità di svolgere un’attività di monitoraggio in loco”.
#Milano , silenzio di @UNHCRItalia sul diritto di asilo ostacolato in via Cagni
Rendere il sistema complesso e inaccessibile è una strategia
“Questa situazione non esiste da oggi e non è accaduta improvvisamente”, commenta Luis Lageder, presidente di Associazione nazionale oltre le frontiere (Anolf) Lombardia. “Va anche detto che esiste un costante inasprimento delle condizioni di accesso a diritti fondamentali che non è determinato solo dalle leggi. Per rendere il sistema più complesso e inaccessibile, basta non adeguare il personale, non formarlo, limitare il tempo dedicato ad alcune richieste precise, ridurre i giorni e gli orari di apertura degli uffici. Questo è il nodo vero”.
“Se prendiamo in considerazione il decreto emersioni, a distanza di tre anni, la questura di Milano, ha concluso l’esame solo del 50 percento delle domande presentate. La situazione in via Cagni è gestita con la logica della polizia, dell’ordine pubblico e questa scelta dice molto. Viaggio continuamente per la Lombardia e puntualmente e osservo la situazione fuori dalle questure. Non sono schierati i reparti della celere ma le transenne sono dappertutto e disegnano percorsi sempre più complicati. In sostanza, con le dovute proporzioni, il problema è affrontato allo stesso modo. Meno macroscopico perché i numeri sono inferiori, ma non meno drammatico per il singolo individuo che lo vive”.
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