Con Mixcycling il carbonio vegetale entra nel ciclo dell’economia circolare

La startup Mixcycling calcola il carbonio vegetale intrappolato nelle fibre: così, con materiali biocompositi, si riduce la CO2 di origine fossile.

  • Mixcycling è una startup che nasce come spin-off dell’azienda vicentina di tappi Labrenta e fa parte del network di LifeGate Way.
  • Mixcycling aiuta le aziende a sostituire polimeri di derivazione fossile con fibre naturali recuperate da scarti di lavorazione industriale, allo scopo di creare materiali bio-compositi performanti e sostenibili.
  • La startup oggi è in grado di calcolare attraverso dei test la quantità di CO2 intrappolata nelle fibre vegetali e utilizzarla nella creazione dei biocomposti forniti ai propri clienti.

È la principale responsabile dell’inquinamento atmosferico, nonché dei cambiamenti climatici in atto. Ma l’anidride carbonica, anche nota con il simbolo CO2, un gas inerte, inodore e incolore, è naturalmente presente in atmosfera, sebbene in concentrazioni limitate, in particolar modo nelle fibre vegetali: il suo vero problema deriva infatti dalle alte concentrazioni delle emissioni causate dall’uomo attraverso i combustibili fossili, data la limitata capacità di assorbimento di CO2 da parte dell’atmosfera.

Da qui nasce l’idea di Mixcycling, spin-off dell’azienda vicentina di tappi Labrenta: sostituire per quanto possibile nei materiali prodotti la CO2 di origine fossile con CO2 già presente in natura, intrappolata nelle fibre vegetali utilizzate per la creazione di biocompositi, così da sconvolgere il meno possibile il ciclo del carbonio.

CO2 fossile versus CO2 biogenica

Basti pensare, a tal proposito, che nel 2021 le emissioni globali di CO2 hanno toccato la quota record di 36,3 miliardi di tonnellate, a fronte di un consumo di CO2 biogenica che oggi è pari a circa un decimo: l’obiettivo dell’Unione europea per il 2030, contenuto nella Strategia per il ciclo del carbonio, è far sì che almeno il 20 per cento del carbonio presente in prodotti chimici e plastica provenga da fonti non fossili e sostenibili entro il 2030. Esattamente ciò per cui Mixcycling si adopera già.

Attraverso un processo brevettato, Mixcycling infatti non fa che prolungare il ciclo del carbonio sequestrando CO2 biogenica, in modo da ridurre la quantità di carbonio fossile contenuto nelle plastiche tradizionali. Il processo di Mixcycling “congela” la biomassa all’interno delle materie prime organiche e previene l’ossidazione che produce CO2 dal verificarsi. Per esempio, l’utilizzo di un 22 per cento di fibra contiene l’equivalente di 2,19 grammi di CO2 vegetale. Ma più in generale, Mixcycling è in grado di creare biocompositi contenenti fino al 40 per cento di fibra. Proprio in virtù di questo grande potenziale, Mixcycling fa parte del network di LifeGate Way, la controllata del gruppo che ha creato una rete di startup sostenibili con focus sull’open innovation.

Nel solco delle 4R

Ridurre, riutilizzare, riciclare, recuperare. Sono le 4R, il mantra di tutti gli stakeholder dell’economia circolare. E di un ciclo dei rifiuti virtuoso, in cui il passaggio finale in termovalorizzatore – di cui troppo spesso in Italia si parla a sproposito come della soluzione al problema – non è in realtà che l’opzione meno valida. Proprio da questo mantra nasce l’idea di Mixcycling. 

Il sughero è uno dei tessuti più utilizzati per la creazione di biocomposti
Il sughero è uno dei materiali più utilizzati per la creazione di biocomposti © Apcor

Dal 2020 la startup si è messa a disposizione dei propri partner per proporre loro da una parte un cambio, dall’altro un cambiamento. Il cambio dei materiali utilizzati innanzitutto, per sostituire per quanto possibile polimeri di derivazione fossile con fibre naturali, recuperate da scarti di lavorazione industriale, così da creare materiali bio-compositi performanti e sostenibili; un cambiamento culturale, inoltre, oltre che di posizionamento e targeting del partner, che Mixcycling accompagna passo dopo passo.

Quella CO2 intrappolata nelle fibre vegetali

Sotto il primo punto di vista, il lavoro di Mixcycling è tanto fondamentale quanto innovativo: la startup italiana oggi è infatti in grado di calcolare attraverso dei test la quantità di CO2 intrappolata nelle fibre vegetali (legno, sughero, canapa, insomma pressoché qualsiasi scarto vegetale) e utilizzarla nella creazione dei biocomposti forniti ai propri clienti. Il punto fondamentale è che quella presente all’interno delle fibre vegetali è, come spiegato, la cosiddetta CO2 biogenica, ossia di origine biologica, che si contrappone alla CO2 prodotta dall’uso dei combustibili fossili. Il suo vantaggio è che, anche nel caso non auspicabile di fine in vita del prodotto in termovalorizzatore, la CO2 biogenica ritorna in atmosfera come parte naturale del ciclo del carbonio, che determina la quantità di CO2 naturalmente presente in atmosfera fin dall’epoca preindustriale. Per esempio Mixy, un vasetto realizzato in Mixcycling Lignum per Livingcap, contiene l’equivalente di 11,5 grammi di CO2 sotto forma di carbonio vegetale.

“Vogliamo sottolineare che non stiamo parlando di compensazione delle emissioni – spiega Sofia Lanfranconi, communication and sustainability specialist di Mixcycling – ma della conseguenza della nostra mission, la riduzione di risorse vergini a monte. Si tratta pur sempre di una soluzione di passaggio, perché le condizioni attuali per fare una vera e propria economia circolare sono inefficienti. Ma, dove non è possibile il riciclo, si può puntare sulla nobilitazione degli scarti”.

Mixy
Mixy, il vasetto ricaricabile di Livingcap fatto con gli scarti di legno © Mixcycling/Livingcap

I materiali di Mixcycling

La gamma di materiali prodotti da Mixcycling è molto ampia, così da garantire la soluzione più adatta a ogni richiesta del cliente di turno:

  • 100 per cento vergini, in cui le fibre organiche vengono miscelate con polimeri vergini per esigenze tecnico-meccaniche, ad esempio per garantire l’idoneità al contatto alimentare, validi per tutti gli utilizzi.
  • 100 per cento riciclato, valido per materiale da industria, giardino e packaging.
  • 100 per cento biobased: biocompositi che mantengono le stesse proprietà chimiche di un polimero fossile (packaging, elementi di arredo, industria).
  • 100 per cento biodegradabili (tutti gli utilizzi).
  • 100 per cento biodegradabili e compostabili: materiali il cui processo di decomposizione dura meno di tre mesi (per packaging usa e getta e monouso, agricoltura, giardino).

Un cambiamento in ogni senso 

Un grande passo contro l’inquinamento, che presuppone (e allo stesso tempo stimola) un cambiamento nell’azienda che decida di affidarsi a Mixcycling. Sostituire materie prime derivate dal fossile con materie prime biocomposite, in grado di inquinare meno e di entrare a pieno titolo nel ciclo dell’economia circolare, è senza dubbio un processo invasivo, che richiede tempo e costi per l’azienda che decide di compiere questo passo: occorre dunque che l’interesse a un cambiamento culturale coinvolga anche il cliente, il target di riferimento, che dovrà in qualche modo sposare la nuova causa, fidelizzarsi. Qual è il modo migliore perché ciò avvenga? Da un lato, investire nel material design: qualunque fosse inizialmente, dopo l’incontro con Mixcycling il prodotto finale sarà necessariamente un’altra cosa, anche in termini estetici e tattili. E avrà un valore diverso, certamente superiore.

Dall’altro, necessario sarà comunicare al meglio il cambiamento, sia per evitare di scadere nella pratica del greenwashing, sia per accompagnare il riposizionamento dell’azienda sul mercato. Mixcycling lavora in tal senso anche nel customer care, accompagnando il cliente già nella scelta del materiale, fino alla promozione della mission. “Il biodegradabile per esempio va bene per i materiali usa e getta, perché ha poca resistenza, mentre nell’automotive la ricerca si sta concentrando sull’uso di materiali bio-based sulla scocca e sulle pelli, mentre in questo caso il biodegradabile non sarebbe adatto perché troppo sensibile al sole, al contatto con la pelle, a un utilizzo frequente” spiega la dottoressa Lanfranconi. Dal packaging ai pet toys, passando proprio per l’automotive e a selle per moto e biciclette, fino all’arredamento di interni e alla cosmesi, gli ambiti di utilizzo di prodotti biocompositi sono infatti potenzialmente illimitati.

Pet Toys
Pet toys © Mixcycling

Come calcolare i benefici ambientali dei biocompositi di Mixcycling

Essenziale a questo proposito è lavorare su trasparenza e tracciabilità, grazie alla tecnologia che riesce a calcolare esattamente la quantità di CO2 biogenica utilizzata in sostituzione di quella di origine fossile. Ciò si somma alla comunicazione del proprio impatto ambientale attraverso il life cycle assessment, l’analisi dei potenziali impatti sull’ambiente e sulla salute umana di  consumi di risorse ed emissioni.

Diversi studi, a partire dal rapporto La plastica in Italia del  think tank italiano sul climate change Ecco fino al Life cycle inventory analysis elaborato dalla società di consulenza Franklin Associates (Eastern Research Group), hanno evidenziato che l’utilizzo di materiali bio-compositi al posto della plastica vergine riduce le emissioni di C02 fossile da un minimo del 55 a un massimo dell’80 per cento.

Il tutto sperando che l’attuale instabilità geopolitica ed economica si risolva in fretta, e si torni a poter investire su ricerca e innovazione. “Siamo nati a febbraio 2020 – conclude Sofia Lanfranconi – e i primi mesi sono stato necessariamente esplorativi, di analisi del mercato: l’interesse per la sostenibilità è molto aumentato negli ultimi due anni anche per via del contesto internazionale, manca però in molti casi la consapevolezza di come si sviluppa il cambiamento e di ciò che esso comporta. Oggi i mercati fanno i conti con una eccessiva variabilità nelle forniture, nei prezzi, nelle materie prime: le aziende si preoccupano di evadere gli ordini, ma è bene che presto si torni a parlare di ricerca”.

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