Il progetto LIFE New4Cartridges, coordinato da Eco Store, si concentra sul mercato delle cartucce d’inchiostro per dare vita a un approccio sostenibile.
Mixcycling nobilita gli scarti di produzione per dare loro nuova vita
Con l’obiettivo di produrre materiali ecologici alternativi alla plastica, Mixcycling punta sull’economia circolare. L’intervista a Gianni Tagliapietra.
Da scarti di produzione a materiali ecologici alternativi alla plastica. È l’idea su cui si basa Mixcycling, spin-off dell’azienda vicentina di tappi Labrenta nata a febbraio 2020 da un’intuizione di Gianni Tagliapietra e Amerigo Tagliapietra, e parte del network di LifeGate Way, la controllata del gruppo con l’obiettivo di creare un network di startup sostenibili con focus sull’open innovation. Attraverso brevetti specializzati, Mixcycling punta a nobilitare gli scarti provenienti da lavorazioni industriali, per dare una nuova vita a ciò che altrimenti verrebbe buttato. Una soluzione di economia circolare – o “triangolare”, come ci ha spiegato Gianni Tagliapietra – che trova applicazione in molti settori, dal packaging all’automotive, dall’arredamento di interni ai pet toys.
Fibre vegetali e materie plastiche
Il sistema innovativo e brevettato della startup si basa sulla fusione di fibre vegetali, provenienti dalla produzione agro-industriale interna o a km zero – troviamo il legno, il sughero, la crusca, la lolla di riso, le erbe, il pergamino – con bioplastiche derivanti da fonti rinnovabili o polimeri riciclati. Il tutto grazie a un processo che favorisce il legame della fibra alla materia plastica. Ma più che produrre materiali, ci spiega Tagliapietra, “possiamo dire che offriamo un servizio” a tutte quelle aziende che si rivolgono a Mixcycling per la loro transizione green. E che poi devono comunicarlo, in maniera chiara e trasparente, evitando il greenwashing, “perché il rischio di far dei passi falsi che poi possono trasformarsi in boomerang è veramente all’ordine del giorno”. Ma com’è nata l’idea di Mixcycling? Come avviene il processo di produzione? Quali sono i vantaggi da un punto di vista tecnico ambientale? L’abbiamo chiesto a Gianni Tagliapietra, Amministratore delegato e co-founder di Mixcycling.
Cosa fa Mixcycling e come è nata l’idea?
Mixcycling è una startup innovativa nata all’inizio dell’anno scorso, un mese prima che esplodesse la pandemia di coronavirus. Si tratta di uno spin-off di un’azienda industriale che produce packaging e che aveva iniziato a recuperare internamente i propri scarti di lavorazione, in particolare il legno e il sughero, con l’idea di non buttarli ma di creare qualcosa che potesse essere riutilizzato. È così che abbiamo creato i primi blend con cui fare dei tappi. Poi abbiamo deciso di portare all’interno il processo produttivo: abbiamo preso un piccolo estrusore di viti, che servono appunto per creare i blend, e grazie a questi abbiamo depositato il brevetto del nostro processo produttivo. A questo punto abbiamo iniziato a estendere gli ambiti di applicazione non solo ai tappi, ma anche alla cosmesi, dando valore all’estetica del materiale. Abbiamo riscontrato un notevole successo: il materiale piaceva molto e ci siamo detti che questo processo produttivo poteva sostituire la plastica in tutti gli ambiti in cui la troviamo oggi. E così è nata Mixcycling con l’obiettivo di nobilitare scarti di origine organica, come il legno e il sughero, ma anche le lolle di riso, la canapa, il bambù. Praticamente qualsiasi scarto vegetale può potenzialmente diventare un prodotto adatto alle nostre lavorazioni.
Come avviene il processo di produzione?
Le fibre ci arrivano sotto forma di cippato, poi vengono asciugate, deumidificate, macinate, sanificate con un processo al plasma freddo che elimina i batteri e gli odori volatili, e soprattutto attiva le fibre, rendendole più ricettive per quando vengono miscelate con la parte polimerica, che, in base all’applicazione finale che bisogna soddisfare, può essere al 100 per cento biodegradabile, 100 per cento da riciclato, 100 per cento bio-based oppure possono essere polimeri classici. Quindi noi, più che produrre materiali, possiamo dire che offriamo un servizio. Si rivolgono a noi aziende che hanno un bisogno e noi studiamo qual è l’applicazione migliore. Per esempio, adesso tutti vogliono il biodegradabile, ma poi analizzando il prodotto magari capiamo che è meglio utilizzare un prodotto al 100 per cento riciclato perché in quel contesto il materiale risponde più alle necessità e magari da un certo punto di vista è più sostenibile.
Noi non ci riteniamo dei meri produttori di materia prima ma vogliamo vendere un servizio e un concetto. Oggi non basta più che un’azienda prenda un materiale sostenibile e produca un oggetto, il lavoro più complesso è quello di comunicarlo, in maniera trasparente e pulita evitando greenwashing. C’è ancora tanta confusione e il rischio di far dei passi falsi che poi possono trasformarsi in boomerang è veramente all’ordine del giorno. Le persone a volte non sanno proprio di cosa stiamo parlando, quindi quello che non cerchiamo di fare è offrire anche questo tipo di servizio, motivo per cui, secondo noi, il materiale vale il 50 per cento e il sapere, la conoscenza e il potere comunicativo l’altro 50 per cento. Vorremmo che Mixcycling diventasse un po’ il Vibram, il Goretex dei biopolimeri.
Uno dei pilastri di Mixcycling è la misurazione oggettiva dell’impatto ambientale. Come avviene?
Fin dall’inizio abbiamo pensato che volevamo proporci con qualcosa che fosse oggettivo e secondo la nostra analisi il Life cycle assessment (Lca) è lo strumento migliore per paragonare un materiale all’altro. Attualmente abbiamo analizzato tre tipi di blend che produciamo e abbiamo visto che in alcuni casi arriviamo a più del 70 per cento di saving di Lca in confronto al polimero vergine: cominciamo a parlare di un impatto notevolmente minore. Ora stiamo lavorando a un calcolatore, che sarà un po’ il primo al mondo in questo ambito, dove andremo a dare – come puoi immaginare lavoriamo diversi tipi di fibra, diversi tipi di polimero in diverse percentuali, quindi realizziamo centinaia di migliaia di materiali – un Lca fino al cancello, per così dire, di ogni nostro materiale. Poi al cliente possiamo fornire un ulteriore servizio: se vuole l’Lca del proprio prodotto è necessario aggiungere due fasi di trasformazione, analizzare qual è il fine vita e magari supportarlo anche nell’ottenimento dell’Lca finale del prodotto, partendo però già con un dato importante relativo al materiale.
Quali sono i principali ambiti di applicazione dei materiali?
I volumi li facciamo nel mondo del packaging, però stiamo esplorando qualsiasi campo di applicazione, si va dall’arredamento agli articoli tecnici, agli articoli sulla sicurezza. Non mi sento ancora di dire quale potrebbe essere il nostro canale preferito perché siamo nati un anno fa, ma sicuramente per il momento il packaging sta andando molto bene. Stiamo approcciando anche l’automotive e il mondo dell’agricoltura.
Quali sono i vantaggi sia da un punto di vista tecnico che ambientale?
Abbiamo diversi vantaggi, da una parte quello dell’oggettiva sostenibilità, con paragoni tra materiali. Se oggi si dovesse scegliere tra un materiale biodegradabile, un materiale al 100 per cento riciclato o un materiale vergine, qualsiasi di questi tre venga scelto, se è fatto con Mixcycling, si abbassa la componente di materiale plastico. Un fattore molto importante è poi quello del material design, ovvero il materiale che parla.
Facciamo un esempio: se oggi si crea un componente con un materiale biodegradabile che però ha l’aspetto plastico, il consumatore per capire cosa contiene effettivamente deve leggere l’etichetta; se invece è un materiale dei nostri, che già alla vista comunicano naturalità, si facilita la comunicazione con l’acquirente proprio perché è il materiale stesso a parlare. Questo è un fatto che io considero molto importante – soprattutto oggi che la gente presta poca attenzione a tutto –: chi è amante della sostenibilità sceglierà sullo scaffale il prodotto che già dal primo impatto soddisfa questo requisito. Bisogna utilizzare il materiale come mezzo di comunicazione.
Come si fa a evitare il greenwashing?
Bisogna stare attenti a quello che si dice, basta scrivere una parola sbagliata e si cade nel greenwashing. Non esiste una regola, se non quella di far gestire da chi ha un po’ di conoscenza di queste cose la comunicazione più adeguata, in assenza di una legge che dica esattamente cosa devi dire. Bisogna evitare, volendo magari fare una cosa, di ottenere l’esatto contrario. È meglio comunicare qualcosa di meno eclatante però di più stabile nel tempo. Mixcycling punta molto a far ragionare la gente sul fatto che siamo in un periodo di transizione.
In questo decennio ci siamo posti come obiettivo di ridurre sempre più le componenti plastiche, soprattutto quelle di origine fossile, a favore di materiali bio-based; però è un processo che richiede del tempo, è impossibile pensare che da domani si elimini la plastica. Ciò che possiamo fare anche da domani mattina è ridurre la componente plastica in attesa che la tecnologia ci dia dei prodotti sempre migliori. Bisogna far capire alle persone che in un periodo di transizione come quello in cui ci troviamo è importante fare piccoli passi e che un cambiamento stravolgente non porta alcun beneficio.
L’obiettivo è comunque andare verso l’economia circolare?
Certamente. Noi addirittura abbiamo coniato delle terminologie ancora più vincolanti, parliamo di economia triangolare, perché in alcuni casi utilizziamo lo scarto di un nostro cliente, per creare un materiale e un packaging che ritorna allo stesso cliente.
Quali obiettivi vi siete posti nel breve e nel lungo termine?
Il nostro obiettivo primario è proprio quello di divulgare il nostro credo e far sì che più aziende possibile possano diventare nostri clienti e utilizzare i nostri servizi. Nel frattempo siamo attivi nello sviluppo di nuove formulazioni, perché abbiamo visto che in alcuni blend, con alcuni scarti, siamo riusciti ad avere una riduzione della permeabilità ai gas, in altri casi una maggiore resistenza con l’esposizione al fuoco, cosa che normalmente poteva avvenire con degli additivi chimici.
Un altro aspetto fondamentale riguarda la sostenibilità economica: cioè se sono sostenibile ma costo 4-5 volte tanto, l’adozione è dell’1 per cento e il cambiamento non avviene; se invece noi creiamo dei materiali partendo da scarti, che quindi costano molto poco, cercando di mettere sempre più fibra all’interno in modo che in alcuni casi arriviamo ad avere lo stesso prezzo delle materie prime vergini, allora sì che è sostenibile dal punto di vista economico. Cosa fondamentale per approcciare il mass market e far sì che ci sia un’incidenza di adozione importante. Tutti parlano di sostenibilità, ma poi quando si è a scaffale e si deve spendere il 10-20 per cento in più, c’è proprio una riduzione drastica.
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