“Manca una strategia territoriale integrata, una conoscenza approfondita del settore bike e delle specificità del territorio”, spiega Fabio Toccoli, fondatore di Bike Facilities.
Mobilità a idrogeno, ora serve un piano di sviluppo
Se nel 2050 dovremo eliminare le emissioni di CO2 e nel 2016 presentare all’Europa un piano di infrastrutture per i combustibili alternativi, anche la mobilità dovrà fare la sua parte. E non potrà prescindere dall’idrogeno.
Non si può più aspettare, non si può più rimandare: come stabilito dall’Unione europea e come ribadito alla recente conferenza di Parigi sul clima, l’obiettivo per la decarbonizzazione è stato necessariamente fissato al 2050. E se buona parte dell’inquinamento atmosferico è causato dai trasporti che sono responsabili per un terzo delle emissioni nocive presenti nell’aria, è anche e soprattutto in questo settore che si deve agire subito. È vero infatti che il traguardo delle emissioni zero entro metà secolo sarà più facile da raggiungere se già entro il 2035 la maggioranza dei veicoli sarà elettrico o a idrogeno. Qui sarà necessario rispettare allora un’altra scadenza, quella imposta dalla Unione europea con la Direttiva 2014/94/UE che obbliga gli Stati membri a presentare, entro il 18 novembre 2016, un piano di realizzazione delle infrastrutture per i combustibili alternativi. Solo in questo modo i governi potranno richiedere l’accesso ai fondi e alle risorse finanziarie europee per concretizzare i contenuti proposti.
“Si tratta di una direttiva importantissima – spiega Angelo Moreno, presidente dell’Associazione Italiana dell’Idrogeno e delle Celle a combustibile (H2IT) – che ha dato avvio a una vera e propria transizione dal diesel e dalla benzina a tecnologie pulite”. Raggruppando operatori del settore, imprese, enti di ricerca, l’Associazione ha convinto il governo italiano a puntare in futuro anche sull’idrogeno (come già stanno facendo altri Paesi europei) il cui piano di sviluppo nella direttiva Ue è facoltativo se non per le auto elettriche a celle a combustibile, mentre sono obbligatori quelli per l’elettrico, per i gas naturali, per i biocombustibili e per il gpl. Di redigere la bozza del piano si sta occupando il Consorzio temporaneo dell’InIMI (Iniziativa italiana per la Mobilità a Idrogeno) con l’obiettivo di trasmetterlo entro maggio 2016 a Governo e Parlamento perché sia incluso nel Quadro Strategico Nazionale che sarà poi inviato alla Commissione europea.
Alcuni contenuti della bozza sono stati presentati in occasione della seconda edizione degli Stati Generali su Idrogeno e Celle a combustibile che si sono svolti lo scorso 15 dicembre a Napoli, seguiti dalla sesta edizione della European Fuel Cell Technology & Applications Piero Lunghi Conference. Centinaia i partecipanti italiani e internazionali provenienti dall’industria, dal mondo della ricerca e dalla pubblica amministrazione che si sono confrontati attraverso presentazioni, dibattiti e workshop su conoscenze, possibilità, esigenze di mobilità sostenibile (e non solo) con un focus appunto sull’idrogeno.
“Non c’è dubbio che questa tecnologia entrerà a far parte del nostro quotidiano, ma servirà del tempo, tempo che sarà però tanto più breve quanto più forte sarà la volontà politica di attuarlo – continua Moreno – Come ci ha chiesto il Ministero, il piano non insegue sogni, ma è concretamente realizzabile. Alcuni progetti esistono già, ma è fondamentale che ci sia un sistema Paese cosciente del fatto che investire e incentivare l’idrogeno significa dare un impulso al Pil e all’occupazione, senza dimenticare i benefici per la salute. In Italia nel 2011 ci sono state oltre 60 mila morti da inquinamento: come abbiamo visto in questi ultimi giorni gli abitanti delle maggiori città vivono in una nube tossica e le targhe alterne non bastano più, servono interventi a lungo termine”.
Che cosa prevede dunque il piano per l’idrogeno? Il business model si basa intanto soprattutto su flotte di veicoli pubblici e privati. “Prevediamo che in dieci anni potrebbero circolare 10 milioni di auto a emissioni zero, un terzo del totale, e che dal 2030 queste tecnologie potranno riguardare il consumo di massa”. La bozza calcola di poter realizzare entro il 2025 una settantina di stazioni di rifornimento per le vetture e circa 25 per gli autobus. Le fasi di costruzione saranno due: in quella iniziale (2020-2022) si punterebbe alle stazioni di rifornimento più piccole in grado di rifornire piccole flotte di veicoli e coprire le principali arterie di trasporto e i principali centri abitati; nella seconda fase si punterebbe invece alla realizzazione di stazioni di grande taglia, 500 kg/giorno per le autovetture (in grado di rifornire 886 autovetture/giorno al 2023) e 1500 kg/giorno per agli autobus (in grado di rifornire 58 autobus/giorno al 2023).
Tre invece i momenti individuati per la realizzazione degli impianti: 25 entro il 2021 in cui l’idrogeno verrebbe trasportato in loco; dai 26 a 100 impianti nel 2025 con produzione in loco di idrogeno da fonte rinnovabile; dai 100 a 1000 nel 2030 e oltre con attività di project financing. “Per quanto riguarda gli investimenti, ogni stazione costa mediamente 2 milioni di euro, quindi si parlerebbe di circa 200 milioni in 10 anni, una cifra non impossibile se si uniscono le forze di pubblico, privato ed Unione Europea”.
L’idrogeno è già realtà ed è già il futuro e per dimostrarlo alla manifestazione sono stati invitati aziende e ricercatori che hanno già sviluppato soluzioni concrete, come ad esempio Hybike, la bicicletta a idrogeno a pedalata assistita realizzata dal consorzio Atena, nei laboratori dell’Università Parthenope, che è in grado di percorrere oltre 150 chilometri con una sola carica. Non poteva mancare poi Toyota con Mirai, la berlina a idrogeno della casa automobilistica giapponese da poco sbarcata anche sul mercato europeo. Un’autonomia di 500 km con un pieno e zero emissioni: dallo scarico esce solo vapore acqueo. “Abbiamo messo a disposizione di tutti le bici e le auto così che il pubblico potesse constatare che queste cose esistono, funzionano e si vendono”- ha concluso Moreno. Ecco su cosa puntare dunque per non rischiare di perdere la partita con l’ambiente.
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