Il 2024 è stato un anno difficile per l’auto e in genere per la mobilità. Notizie per la maggior parte negative. O forse no? Questa è la nostra lista di cose buone (e meno) successe quest’anno.
La mobilità sostenibile agli occhi di un giovane attivista per il clima
Le scelte di oggi cambieranno la mobilità sostenibile per i giovani di domani. Ne parliamo con Lorenzo Tecleme, attivista di Fridays for future.
Come ci sposteremo tra cinque, dieci o vent’anni? Le evoluzioni nei trasposti che stiamo vivendo non interessano solo il qui e ora ma tracciano il percorso verso il futuro. Un futuro in cui la mobilità sostenibile sarà sempre più la norma, e non più la “nuova normalità”. La pandemia da coronavirus sta portando cambiamenti epocali nel modo in cui ci spostiamo e nella frequenza con cui lo facciamo. Se prima dell’emergenza erano solo 570mila gli italiani abilitati per lavorare in smart working, ora sono quattro milioni, con un possibile aumento fino a sette milioni nei prossimi mesi e una conseguente ulteriore diminuzione nei spostamenti giornalieri.
Nonostante questa tendenza sia forzata dall’emergenza sanitaria, l’interazione con altre dinamiche già in moto prima della pandemia potrebbe catalizzare una vera e propria rivoluzione nei trasporti. Nove italiani su dieci si dichiarano pronti a scegliere un’auto ibrida o elettrica, e nel contempo una nuova bozza di regolamento dell’Unione europea prevede che a partire dal 2026 i finanziamenti verdi siano indirizzati solo sulle auto elettriche. Intanto, si prevede che entro il 2035 – anno in cui lo stato della California negli Stati Uniti e la provincia di Québec in Canada vieteranno la vendita di auto a diesel e benzina – uno spostamento su cinque avverrà su mezzi non tradizionali, come quelli della micromobilità elettrica e che rientrano in un modello di sharing economy.
I giovani e la mobilità sostenibile
Tutti cambiamenti che interessano soprattutto i giovani: non solo i sistemi di trasporto che utilizzano, ma anche la salubrità dell’ambiente di oggi e domani, fortemente impattata dalle nostre scelte di mobilità – vedi l’inquinamento atmosferico e i cambiamenti climatici. A gettare luce su questo rapporto complesso è Lorenzo Tecleme, attivista del movimento per l’azione sul clima Fridays for future Italia (Fff) e autore del podcast L’inviato. “Quando non ho un cartellone in mano, studio Scienze della comunicazione a Bologna e scrivo saltuariamente su alcune testate,” racconta di sé mentre discutiamo del suo impegno a favore di politiche in grado di avvicinarci a un futuro più giusto e sostenibile.
Da dove nasce il tuo interesse per le tematiche ambientali?
Il mio primo contatto con il mondo ecologista avvenne per caso. A diciassette anni lavorai per qualche settimana nel campeggio di un gruppo ambientalista tedesco – ironia della sorte, si chiamava Camp for future. Mi sono trovato lì spinto più dalla curiosità che da un reale impegno politico, ma ciò che vidi mi lasciò senza fiato. Il campo era vicino a Colonia, accanto a una delle riserve di carbone più grandi d’Europa, e tutta l’enorme porzione di territorio che la circondava era segnata dalle attività estrattive. Ricordo i villaggi abbandonati e pronti per essere demoliti per fare spazio alla cava, gli abitanti del luogo che si chiudevano in casa per paura delle polveri cancerogene, gli attivisti barricati sulle cime degli alberi per bloccare i lavori. Qualche mese dopo, tornato a casa, mi unii a Fridays for future, allora appena nato. Da quel momento, come tantissimi miei coetanei, non ho smesso di fare attivismo.
Credi che il movimento stia avendo un impatto concreto?
Ormai sono quasi due anni che faccio parte di Fff e la differenza in termini di dibattito pubblico è abissale. Di clima, nonostante la pandemia porti i riflettori altrove, si parla incomparabilmente di più. E la pressione dal basso pian piano si sta trasformando in vittorie: Europa, Cina, Regno Unito, Giappone, Corea del Sud e Nuova Zelanda hanno annunciato piani di azzeramento delle emissioni nette nei prossimi trenta o quaranta anni, e gli Stati Uniti promettono di unirsi a breve. Praticamente tutti i grandi emettitori hanno preso impegni senza precedenti. Non sarebbe stato nemmeno pensabile senza la pressione di Fff e degli altri movimenti della nuova ondata: Extinction rebellion, Youth for climate, Sunrise movement. Poi sia chiaro, l’emergenza climatica è ancora tale, e dietro agli annunci roboanti si nasconde spesso tanto green washing. Ma a maggior ragione serve qualcuno che continui a rompere le scatole dal basso. Come noi.
Che ruolo gioca la mobilità sostenibile nella lotta per la giustizia climatica?
La mobilità è un tema chiave nella transizione ecologica. Secondo le stime più recenti i trasporti rappresentano il 15 per cento circa delle emissioni globali, e il solo trasporto su gomma è responsabile per un decimo della crisi climatica. Le proposte di Fridays for future Italia su questo tema sono contenute nella nostra campagna Ritorno al futuro. A livello locale occorre incentivare la mobilità elettrica pubblica o condivisa. Nelle nostre strade dobbiamo vedere soprattutto tram e bus, rigorosamente elettrici, e car sharing. Rendere gratuiti i trasporti pubblici, come già provato in Lussemburgo e in diverse città del mondo, è un incentivo che ci vedrebbe più che favorevoli.
Per i trasporti a lungo raggio l’obiettivo è ridurre i voli aerei, il mezzo di trasporto di gran lunga più climalterante, e ripristinare reti ferroviarie capillari e a basso prezzo. Deve essere possibile prendere un comodo treno notturno da Roma a Parigi, ad esempio, e pagarlo meno di un biglietto aereo.
Come ti sposti solitamente?
Mi muovo moltissimo a piedi, talvolta in bici o in bus. Negli ultimi due anni ho cercato di usare il treno per le mie vacanze. Dopo la maturità ho fatto una settimana di Interrail (una formula che incentiva l’utilizzo della rete ferroviaria europea in più paesi e a costi convenienti, ndr), ed è un’esperienza (rigorosamente sostenibile) che consiglio a tutti. L’unico percorso che non posso fare su rotaia, purtroppo, è quello dalla Sardegna alla penisola, per ovvi motivi.
La mobilità nella tua città si può definire sostenibile?
No, come non lo è quasi ovunque. A Sassari, dove sono nato e vivo nei periodi non universitari, l’auto privata a benzina la fa ancora da padrona. Il centro storico ha visto addirittura indebolire la sua zona a traffico limitato (Ztl). Ma soprattutto, temo manchino servizi pubblici all’altezza. A Bologna, dove studio, la situazione è leggermente migliore ma lontana dall’ottimale.
Come ti piacerebbe vedere cambiare la mobilità?
Il modello è quello che tratteggiavamo sopra. Poco traffico, poco smog e tanti mezzi pubblici, biciclette, car sharing, pedoni. Il bello è che città con basse emissioni sono anche più piacevoli, vivibili ed economiche. Un ottimo modo per limitare all’indispensabile l’uso dell’auto privata in città, ad esempio, è far sì che in ogni quartiere ci siano tutti i servizi essenziali, così che i cittadini non siano costretti a percorrere grosse distanze. L’inquinamento atmosferico è corresponsabile della morte di decine di migliaia di persone ogni anno solo in Italia. Alcuni fattori indicano che vivere in zone con aria più inquinata significa anche maggiore possibilità di sviluppare forme aggressive di Covid-19.
Credi che gli italiani siano pronti a sposare modalità di trasporto più sostenibili come l’auto elettrica?
Penso che gli italiani odino poche cose più del traffico. Perché non dovrebbero preferire soluzioni più economiche, veloci e pulite? Vivere nello smog è un pericolo che nessuno vorrebbe far correre ai propri figli. È chiaro, c’è una questione culturale da affrontare, ma con i dovuti incentivi mediatici e il forte impegno economico della collettività penso che in pochi anni noi italiani possiamo abbracciare senza rimpianti la mobilità sostenibile.
Come hai vissuto il periodo della pandemia? Credi che questo momento possa avere un impatto positivo sull’adozione di un modello di sviluppo sostenibile?
Ho vissuto la pandemia con preoccupazione, come tutti. Con l’eccezione dei pochi abbastanza anziani da ricordare l’ultimo conflitto mondiale, siamo cresciuti lontani dai più grandi sconvolgimenti della storia. Ora questa pandemia ci butta dentro una tragedia come non vedevamo da decenni, e questo non può che spaventarci. Penso che in questo i movimenti per il clima dovranno essere molto chiari. Se agiamo ora, possiamo evitare che il riscaldamento globale ci porti ad altre crisi paragonabili a quella sanitaria. Ormai sappiamo cosa significa.
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