L’industria tessile si sta attrezzando per innovare se stessa e trovare soluzioni meno impattanti: la fermentazione rappresenta l’ultima frontiera moda.
La moda è sempre meno accessibile
La moda è sempre meno accessibile e sempre più persone si rifugiano nel fast fashion. Ma una soluzione c’è e si chiama capsule wardrobe.
- Il mondo della moda è sempre meno accessibile: il segmento del lusso ha raggiunto prezzi inavvicinabili per la maggior parte delle persone, con cifre che eguagliano lo stipendio medio per un singolo abito o accessorio.
- Da una parte il lusso e dall’altra l’ultra fast fashion hanno polarizzato oltremodo il divario dei prezzi nell’abbigliamento. Dobbiamo riabituarci a pagare abbigliamento e accessori per quanto valgono, né troppo e né troppo poco.
- Il capsule wardrobe, ovvero un intero guardaroba a partire da pochi capi, di qualità e facilmente abbinabili tra loro, può essere una delle soluzioni possibili nella vita di tutti i giorni.
La maggior parte dei commenti e dubbi relativi alla moda in generale, e alla moda sostenibile in particolare, riguardano il fatto se sia accessibile o meno. Oggi come oggi costa tutto troppo. Quando nei primi anni Duemila si è iniziato a diffondere il fast fashion, si è parlato moltissimo di democratizzazione della moda, oggi si è tornati a parlare di moda in termini di accessibilità, ma in senso opposto: comprare abiti o accessori di designer sta diventando fuori dalla portata della maggior parte delle persone.
Se qualche anno fa comprare una borsa griffata era costoso, oggi è quasi impossibile. Il prezzo di una borsa del segmento del lusso oscilla trai 1.300 e i 2.500 euro per i modelli di punta, ma può arrivare tranquillamente anche a 4.000. Gonne e maglioni si attestano sugli 800 euro.
In un contesto come quello italiano, dove lo stipendio medio si attesta tra 1.800 e 2.100 euro (questo implica che c’è chi guadagna molto di più, ma anche chi molto, molto, di meno), è facile immaginarsi come arrivare a uno di questi prodotti sia infattibile a meno di non voler impegnare un mese del proprio lavoro in un singolo oggetto.
Il sito di analisi Edited ha pubblicato un report in cui ha analizzato nel dettaglio l’aumento dei prezzi nell’abbigliamento a livello globale e ha mostrato come l’outwear di lusso femminile sia la categoria più costosa, con una vendita al dettaglio in media di 3.395,12 dollari contro i 3.053,94 della stessa categoria da uomo. Si tratta di cifre che sanciscono un aumento del 20 per cento rispetto al 2019, con punte stellari come un cappotto jacquard di Dolce & Gabbana (ricamato a mano, va bene), ma dal costo 66 mila dollari.
Anche le borse da donna hanno visto il loro prezzo aumentare: si parla del l 22 per cento rispetto al 2019. Ma se il super lusso è diventato ancora più esclusivo, anche i prezzi di quei brand di prêt-à-porter considerati abbordabili sono saliti di molto: le t-shirt da uomo costano il 55 per cento in più rispetto al 2019, quelle da donna il 15 per cento.
La moda può essere democratica?
Secondo Maria Grazia Chiuri, direttore creativo di Dior con un glorioso passato in Valentino e Fendi, la risposta è una ed è secca: no. Lo ha dichiarato lo scorso novembre ad Ansa: “È come se in passato tutti avessero potuto avere Botticelli ad affrescare la loro casa, ma non è così. Negli anni passati c’era questa visione della moda democratica, ma se un prodotto è fatto con certi criteri non capisco perché debba essere democratico. La qualità, l’eccellenza, si paga e per il futuro bisogna concentrarsi su questa idea di qualità ed eccellenza, meno sui grandi volumi. Se uno paga un prezzo troppo basso c’è dietro qualcuno che non è stato pagato bene”.
Quindi che fare? Abbiamo più volte parlato dei danni arrecati all’ambiente e ai lavoratori dalla sovrapproduzione e delle conseguenze innescate dal fast fashion nel mondo del tessile, ma dove rivolgersi se il mercato dell’abbigliamento è diventato fuori controllo?
I prezzi esorbitanti che troviamo oggi nel mondo del lusso sono infatti solo in parte giustificati dalla lavorazioni e dai materiali premium e non fanno che alimentare il bias per cui prodotti di buona fattura siano inaccessibili tout court. Tutto questo ha un impatto negativo anche sull’universo della moda etica ed eco compatibile, percepita come troppo cara.
Fare acquisti in modo etico però si può, anche senza spendere troppo e pagando la giusta cifra per quello che si sta comprando, anche facendo sì che i nostri capi durino il più a lungo possibile.
Una polarizzazione eccessiva
Prima di tutto bisogna tenere conto di un fattore, dobbiamo riabituarci a pagare abbigliamento e accessori per quanto valgono: né troppo e né troppo poco. Se da una parte il panorama presentato dai marchi di fascia alta è fortemente esclusivo ed elitario, dall’altra venti anni di fast fashion, e oggi l’avvento dell’ultra fast fashion, ci hanno fatti abituare a prezzi che sono semplicemente troppo bassi. Se crediamo che pagare una t-shirt di cotone 30 euro sia troppo, dobbiamo cambiare la nostra mentalità.
Capire da dove viene la cifra che leggiamo sul cartellino del prezzo richiede il conteggio di tutte le fasi della produzione, ovvero il costo del tessuto, della paga equa della manodopera, della spedizione e dell’imballaggio a cui va poi aggiunto un margine di profitto. Quindi che fare se ricorrere al fast fashion non è un’opzione e quello che viene confezionato con tutti i crismi del caso costa troppo?
La risposta potrebbe essere il “capsule wardrobe”
Al di là del fatto se ce lo possiamo permettere o meno, dovremmo tutti imparare ad essere più essenziali negli acquisti in generale, ma per il tessile in particolare.
Un’idea efficace è quella di avere pochi pezzi di alta qualità e abbinabili in modo da creare look sempre diversi. È quello che nel mondo anglosassone viene definito come avere un “capsule wardrobe”. Ora questo termine va per la maggiore sui social, ma l’idea ha radici profonde.
La prima a improntare un business sul concetto di abiti minimali, versatili, di alta qualità e facilmente abbinabili è stata Susie Faux, la proprietaria di una boutique molto popolare a Londra negli anni Settanta, Wardrobe appunto, che poi teorizzò questa sua filosofia in un libro del 1988 chiamato come il negozio.
Il concetto è poi stato ripreso da Donna Karan sempre negli anni Ottanta con la linea Seven Easy Pieces, che consisteva in sette pezzi abbinabili tra loro in modo da creare un guardaroba intero. All’epoca l’idea di un armadio minimale e funzionale fu un qualcosa di dirompente, poi questo concetto negli anni ha perso sempre più appeal fino ad arrivare all’estremo opposto di una moda usa e getta, fatta di trend iper riconoscibili e dalla vita breve.
Oggi, complici le difficoltà economiche e una coscienza ambientale sempre più forte e definita, il concetto di capsule wardrobe sta tornando ad essere considerato.
In un colpo solo è possibile ridurre i consumi e costruire uno stile ben definito. Il primo passo per capire come costruire un guardaroba minimale e funzionale è analizzare attentamente il proprio, dividendo i capi tra quelli che indossiamo più spesso e quelli che giacciono in fondo all’armadio senza vedere la luce del sole da anni. Questo ci darà un’indicazione di quelli che sono i pezzi che per noi funzionano di più e quelli che invece non ha senso continuare a comprare.
A questo punto analizziamo il nostro stile di vita e le nostre giornate: quali sono le occasioni d’uso dei nostri abiti? Andiamo tutti i giorni in ufficio o facciamo smartworking? Siamo sportivi e con un’attitude per lo stile street? Il nostro ideale di eleganza affonda le radici in un immaginario retrò?
Prima di comprare qualcosa proviamo a fare il conto a 100: riuscirò a indossarlo almeno 100 volte? Avere un guardaroba minimale non significa noioso o monocolore, significa semplicemente ottimizzare i capi in accordo con quello che è il nostro stile personale che, avendo meno cose e più mirate, sarà anche sempre più evidente.
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