La Cop16 sulla biodiversità si conclude con pochi passi avanti. Cosa resta, al di là della speranza?
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Grazie alla creazione di un apposito corridoio e alla rimozione delle barriere della ferrovia, un asino selvatico mongolo è tornato ad attraversare il deserto del Gobi.
Da più di sessanta anni la ferrovia Transmongolica collega la città di Ulan-Udė, in Russia, con la Cina, attraversando la Mongolia. La realizzazione di questa tratta ferroviaria, avvenuta tra il 1947 ed il 1955, è stata molto importante per lo sviluppo dei trasporti in Mongolia, ha tuttavia interrotto spostamenti molto più antichi.
Attraversando la parte mongola del deserto del Gobi, la ferrovia ha infatti tagliato a metà la sconfinata steppa, spezzando la connettività ecologica che proseguiva da migliaia di anni e impedendo lo spostamento dei grandi animali. A risentirne, in particolare, un instancabile nomade del deserto, l’asino selvatico mongolo (Equus hemionus hemionus), sottospecie di onagro nota anche come khulan.
La più grande popolazione di khulan rimasta al mondo, sottospecie classificata a rischio, vive nell’area meridionale del Gobi. Fino a poco tempo fa per questi animali, abituati a percorre distanze estremamente lunghe per soddisfare il proprio fabbisogno idrico, era impossibile raggiungere la parte orientale della steppa a causa delle impenetrabili barriere che costeggiavano la ferrovia.
Proprio per permettere il passaggio della fauna selvatica, sono stati finalmente creati appositi corridoi, effettuando semplici modifiche alle recinzioni esistenti. Nell’ambito del progetto, condotto dalla Wildlife conservation society Mongolia (Wcs) in collaborazione con la Ulaanbaatar railroad authority e l’accademia delle Scienze della Mongolia, sono stati realizzati i primi due corridoi ma si prevede di aprirne altri.
Grazie ad uno di questi passaggi, un asino selvatico mongolo è riuscito ad attraversare la steppa, il primo della sua specie a riuscirci da 65 anni a questa parte. La traversata è stata documentata dalla Wcs, che ha pubblicato la foto dell’animale, scattata da una fototrappola installata lungo la ferrovia, a circa 750 chilometri dalla capitale della Mongolia, Ulan Bator.
“La documentazione del ritorno del khulan nella steppa orientale è un evento che dovrebbe fare il giro del mondo – ha commentato Kirk Olson, direttore della conservazione della Wcs Mongolia -. La barriera che divide uno dei luoghi più remoti del pianeta sta crollando ed è un punto di partenza per ricollegare l’ecosistema e rivitalizzare le spettacolari migrazioni della fauna selvatica”.
Oltre al khulan, le fototrappole hanno documentato la presenza di branchi di gazzelle della Mongolia (Procapra gutturosa). I corridoi sono preziosi anche per queste antilopi, consentiranno loro di raggiungere i pascoli orientali. In tutto il pianeta la frammentazione dell’habitat minaccia la sopravvivenza di numerose specie animali, in particolare quelle che necessitano di ampi areali, come l’asino selvatico mongolo.
Questi equidi possono vagare per migliaia di chilometri quadrati in cerca di cibo e acqua, una strategia necessaria considerato l’ambiente povero di risorse in cui vivono. Questa strategia evolutiva richiede tuttavia un alto livello di connettività paesaggistica.
“I khulan sono barometri viventi della salute dei paesaggi aridi e incontaminati dell’Asia centrale – ha affermato Chris Walzer, direttore esecutivo dei programmi sanitari della Wcs -. Qualsiasi sviluppo umano in questa fragile regione deve essere fatto con estrema cura, altrimenti perderemo la fauna selvatica che ha chiamato questa zona casa per migliaia di anni”.
Il ritorno degli asini e delle gazzelle nella parte di steppa che per decenni è stata loro preclusa, avrà ricadute positive sull’intero ecosistema. I khulan, ad esempio, sono grandi dispersori di semi e sono soliti scavare alla ricerca di acqua nei letti asciutti dei fiumi, fornendo fonti d’acqua ad altre specie. Gli erbivori brucano inoltre l’erba contribuendo al riciclo dei nutrienti, concimano il terreno e lo smuovono con il loro calpestio.
Probabilmente quell’asino selvatico mongolo ne era ignaro e ha seguito un richiamo ancestrale, ma quando ha varcato il corridoio e ha rimesso piede (o meglio, zoccolo) nella parte orientale della steppa, ha riportato indietro il tempo di 65 anni, dando il via ad un ritorno che potrebbe rimettere in moto meccanismi che si credevano ormai inceppati e riconsegnare la steppa ai suoi arcaici nomadi.
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