La moratoria per proteggere la foresta amazzonica dalle coltivazioni di soia è stata ritenuta come una vittoria. Nonostante ciò, ha alcuni punti deboli.
Nel 2006 i commercianti di soia brasiliani hanno sottoscritto una moratoria impegnandosi a non acquistare soia coltivata su aree recentemente convertite all’agricoltura.
Tale accordo è stato salutato come una vittoria degli ambientalisti e, in effetti, ha fatto sì che non venissero distrutti 18mila chilometri quadrati di foresta amazzonica.
Nonostante ciò, alcuni coltivatori riescono ad aggirare la moratoria. A svelarlo è un’inchiesta condotta dalla ong brasiliana Instituto centro de vita e pubblicata da Unearthed.
In Europa arriva regolarmente soia proveniente dal Brasile. Anche se è stata coltivata da chi distrugge la foresta amazzonica. Anche se, proprio per evitare che ciò accadesse, dal 2006 era entrata in vigore una moratoria che finora era sembrata efficace. A fare luce sui punti deboli di questo sistema è un’inchiesta condotta dalla ong brasiliana Instituto centro de vidae pubblicata da Unearthed, il nucleo di giornalismo investigativo che fa capo all’organizzazione ambientalista Greenpeace.
Cosa prevede la moratoria sulla soia in Brasile
Spinti dalle pressioni delle organizzazioni ambientaliste internazionali, Greenpeace in primis, nel 2006 i commercianti di soia brasiliani hanno sottoscritto una moratoria con la quale si impegnavano formalmente a non acquistare soia che fosse stata coltivata su aree convertite all’agricoltura dal 2008 in poi. E quindi, con ogni probabilità, deforestate ad hoc. L’iniziativa è stata salutata con entusiasmo dagli ambientalisti. Il World wildlife fund (Wwf), celebrandone il decennale, l’ha descritta come “il maggiore punto di riferimento globale per la deforestazione zero”. In effetti, i risultati conseguiti sono tangibili. Uno studio pubblicato su Nature food sostiene infatti che abbia evitato la distruzione di 18mila chilometri quadrati di foresta.
C’è chi continua indisturbato a distruggere la foresta amazzonica
Esistono tuttavia alcuni punti deboli. Per scovarli, i ricercatori hanno incrociato i dati satellitari sulla deforestazione, i registri sui possedimenti agricoli e le mappe sulle coltivazioni di soia nel 2019. I risultati sono netti: 1.180chilometri quadrati di foresta amazzonica, nello stato del Mato Grosso, sono stati distrutti tra il 2009 e il 2019 per espandere le piantagioni di soia. Illegalmente. E si tratta di stime prudenti perché sono appunto basati sulle mappe del 2019, anno in cui l’amministrazione guidata da Jair Bolsonaro aveva riclassificato come “savana” alcune aree critiche per la deforestazione. Facendoli così uscire dal perimetro delle regolamentazioni.
"Brazil's environmental agency spent less than half of its budget for enforcement last year, despite soaring levels of destruction in the Amazon rainforest, according to an analysis of federal spending released on Tuesday." via @Reutershttps://t.co/knr4Lew5IF
Il punto debole di tale sistema sta nel fatto che si riferisce solo ed esclusivamente alla soia. Di conseguenza, i controlli sono molto mirati. Ciò significa che alcuni produttori continuano indisturbati a distruggere la foresta amazzonica per fare spazio al bestiame, al mais o ad altre colture. E nel frattempo coltivano soia che poi spacciano come “pulita” e vendono senza problemi.
L’impennata della deforestazione durante l’amministrazione Bolsonaro
Quest’indagine arriva a pochi giorni di distanza dalla pubblicazione di un durissimo studio di Greenpeace sui primi tre anni di Jair Bolsonaro come presidente del Brasile. Tre anni in cui la deforestazione dell’Amazzonia è cresciuta del 52,9 per cento rispetto al triennio precedente. Il che ha comportato un aumento delle emissioni pari al 10 per cento. Un’enormità che attesta il Brasile al quinto posto nella classifica degli stati che contribuiscono di più al riscaldamento globale. E non è finita qui. Nel 2020, il mix di siccità e incendi appiccati dagli agricoltori ha distrutto un terzo dell’area del Pantanal, la più grande zona umida della Terra, habitat di giaguari e altre specie in via di estinzione.
Un’inchiesta giornalistica ha denunciato che il colosso Jbs avrebbe acquistato soia e mais da coltivazioni su terreni deforestati illegalmente per nutrire polli esportati in tutto il mondo.
Mentre l’Amazzonia brucia, legno, soia e carne inondano i nostri mercati. Nella puntata di Presadiretta dell’8 febbraio si indagano i meccanismi di questo sistema corrotto.
Un accordo tra i commercianti di soia ha fatto sì che in dieci anni siano stati risparmiati 18mila chilometri quadrati di terra dalla deforestazione in Amazzonia.
Dopo un mese di razionamenti, sono stati completati i lavori per la condotta provvisoria che porterà l’acqua dal fiume alla diga di Camastra, ma c’è preoccupazione per i livelli di inquinamento.
Il livello di inquinamento supera di 60 volte il limite fissato dall’Organizzazione mondiale della sanità. Il governo ha chiuse le scuole e ha invitato gli anziani a stare a casa.
Pubblicato in occasione della Giornata mondiale dell’ambiente, il dossier Amazzonia nel piatto spiega come la foresta tropicale più grande del pianeta sia minacciata dalla coltivazione del legume un tempo conosciuto solo in Asia e che oggi viene coltivato, per la maggior parte, come mangime animale. Da un lato c’è la costante crescita della superficie coltivata a