L’Italia è la seconda produttrice al mondo di kiwi dopo la Cina (dove il frutto ha origine) e prima della Nuova Zelanda, che gli ha dato il nome nei primi anni del Novecento e l’ha reso famoso in tutto il globo. Non solo agrumi, olive e altri prodotti tipici del Mediterraneo: negli ultimi anni il suolo italiano, soprattutto in Lazio, Veneto e Piemonte, è stato sfruttato per la coltivazione del frutto esotico dalla polpa verde. Di recente però una grave malattia ha causato una moria di kiwi che ne ha quasi annullato la produzione. Le cause del disastro non sono ancora state accertate, ma i cambiamenti climatici potrebbero essere stati l’elemento scatenante.
Il frutto dalla caratteristica buccia pelosa nasce dalle piante Actinidia ed è endemico dell’area centrale della Cina. Trasportato in Nuova Zelanda nel 1900, lì venne associato all’uccello nazionale (il similmente “sferico” e peloso kiwi appunto) da cui prese il nome e fu poi introdotto nelle cucine occidentali. A partire negli anni ’70 è giunto in Italia e ha dato nuova linfa ad alcune zone della Penisola, tanto che oggi nelle provincie piemontesi di Biella e Cuneo si parla di “distretto del kiwi” per raggruppare i campi di questa moderna e proficua produzione italiana. Il settore è ora vittima di un disastro naturale di provenienza incerta.
“La moria del kiwi è in fase di espansione nei maggiori areali di coltivazione italiana: Lazio, Veneto, Piemonte, Friuli, Emilia-Romagna. A livello complessivo la superficie interessata dal fenomeno ammonta a più di 8mila ettari, per una perdita di oltre 750 milioni di produzione lorda vendibile. Tuttavia, se si considera anche l’indotto commerciale, le perdite economiche raddoppiano”, spiega Marco Scortichini, ricercatore di Crea, il Centro olivicoltura, frutticoltura e agrumicoltura appartenente al Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria.
“La moria è causata da un insieme di fattori: agronomici, pedologici (che riguardano la salute dei terreni, ndr), climatici e microbiologici. Molto probabilmente a seguito dei cambiamenti climatici che comportano maggiori volumi di precipitazioni in un breve lasso di tempo si innesca un perdurare di condizioni di ristagno idrico nel suolo con conseguente innesco di condizioni di assenza di ossigeno nel terreno. Tale situazione sembra influenzare la proliferazioni di alcuni microrganismi fitopatogeni (funghi, batteri anaerobi) che provocano la marcescenza dell’apparato radicale e la conseguente morte della pianta. È possibile anche una relazione tra insorgenza di moria ed aumento della temperatura del suolo lungo i mesi estivi che porta ad ulteriori squilibri nella composizione della microflora del terreno”. Imponenti acquazzoni improvvisi e inusuali periodi di calura, due elementi sempre più frequenti in Italia e riconducibili al riscaldamento globale, sono fra le cause del disastro che ha colpito quello che era diventato un fiore all’occhiello dell’agricoltura italiana.
Cambiamenti climatici e moria dei kiwi
“Eccesso di acqua e maggior riscaldamento del terreno sono conseguenze del cambiamento climatico ormai in atto in tutto il mondo da molti anni. La moria del kiwi si sta manifestando nel nostro Paese in quanto in tutte le aree di coltivazione esistono terreni con una componente limoso-argillosa che, a seguito delle precipitazioni o eccessive irrigazioni, trattiene l’acqua nel suolo causando fenomeni di asfissia. Inoltre, molti terreni risultano compattati dai passaggi dei mezzi meccanici ripetuti nei decenni che hanno causato uno strato impermeabile. Conseguentemente l’acqua si accumula negli strati superficiali del terreno inducendo il noto marciume radicale”, continua Scortichini. “Solo a seguito di opportune sperimentazioni di campo effettuate in tutte le aree soggette al fenomeno, si potranno fornire indicazioni precise atte a ripristinare i normali volumi produttivi”.
Crea ha presentato al Senato un documento sulle ricerche in atto, sperando di salvare il frutto noto per le sue proprietà nutritive in quanto fonte di vitamine C, K, ed E, potassio e folati utili per l’organismo. Oggi numerosi impianti di kiwi italiani sono desolati e quasi abbandonati; inoltre i fattori negativi portati dal riscaldamento globale non si limitano all’aumento delle temperature e alle cosiddette “bombe d’acqua”: “visto che i cambiamenti climatici comportano anche una maggiore frequenza di gelate tardive, è bene effettuare gli impianti in aree dove tali rischi siano molto ridotti”, conclude Scortichini.
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