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Morten Thorsby, calciatore. La partita per la sostenibilità si gioca dopo il 90° minuto
Intervista a Morten Thorsby, centrocampista della Sampdoria, noto per il suo impegno ambientale: “Voglio coinvolgere i 3,5 miliardi di tifosi nel mondo”.
Morten Thorsby non è solo un centrocampista norvegese classe 1996 amato dai suoi tifosi, quelli della Sampdoria, una delle squadre di calcio di Genova. Il suo impegno e i chilometri percorsi sul rettangolo verde l’hanno reso un leader sul campo. Thorsby è un calciatore che ha deciso di mettersi in gioco anche fuori dal campo per una causa precisa: quella ambientale. Convinto che, con la sua “potenza di fuoco”, il pallone possa fare molto di più di quanto non abbia fatto finora. Parlare, coinvolgere, spingere tutti a cambiare abitudini consolidate e stili di vita scorretti: è questo l’obiettivo dell’atleta norvegese, tra i promotori del progetto We play green che punta a raggiungere milioni di tifosi sparsi nel mondo con i messaggi chiave della sostenibilità.
Nel 2019, quando fu chiamato per giocare nella Sampdoria, decise di viaggiare dalla Norvegia alla Liguria a bordo di un’auto elettrica. Come nasce il suo interesse per le tematiche ambientali?
Tutto è nato quando, a 17 anni, ho lasciato la Norvegia per andare a giocare in Olanda, all’Heerenveen. Ho vissuto per la prima volta da solo, lontano dalla famiglia e dagli amici, e ho potuto dedicare molto tempo alla lettura, scoprendo in che modo l’umanità avesse distrutto la propria relazione con la natura. La prima reazione è stata di rabbia: mi sono chiesto come mai, negli ultimi 50 anni, nessuno avesse preso decisioni importanti per invertire il trend. Ma poi ho pensato che, grazie anche alla notorietà che deriva dal mestiere di calciatore, dovevo iniziare a fare qualcosa in prima persona. E così ho trovato la mia strada.
Quali sono state le sue prime iniziative?
Ho parlato di questi temi con i miei compagni di squadra dell’Heerenveen e con la società. Abbiamo iniziato a spostarci dallo spogliatoio al centro sportivo in bicicletta, mentre prima per percorrere un chilometro ci muovevamo con le macchine. Poi abbiamo messo in campo iniziative per rendere lo stadio più sostenibile, ricoprendolo di pannelli solari.
Compatibilmente con i suoi impegni lavorativi, cerca di prendere il meno possibile l’aereo. Quali altre abitudini “verdi” ha ormai fatto sue?
Dopo aver coinvolto i compagni di squadra, mi sono chiesto cosa potessi fare io nella quotidianità. Così cerco sempre di preferire il treno all’aereo, laddove è possibile; faccio la raccolta differenziata con grande attenzione e ho ridotto il consumo di carne. Inoltre cerco di parlare costantemente di questi temi, in Italia e ogni volta che torno in Norvegia. Interlocuzioni che tengo anche con la classe politica, perché servono i politici giusti per trovare le soluzioni a problemi complessi.
A proposito, le tematiche ambientali sono diventate a tutti gli effetti anche una questione politica. In passato, molti grandi campioni dello sport si sono impegnati politicamente: penso al velocista Tommie Smith alle Olimpiadi di Città del Messico del 1968, al cestista Kareem Abdul-Jabbar, al pugile Muhammad Ali o alla nazionale italiana di tennis nella Coppa Davis in Cile del 1976. Tra i grandi del mondo del calcio, a parte Maradona, nessuno si è mai schierato con decisione su questi temi. Si è mai chiesto il perché?
Per tanto tempo si è pensato che il calcio e la politica fossero due universi destinati a non incrociarsi mai. Ma ora il panorama sta cambiando e in questo credo abbia aiutato anche l’emergenza pandemica, dimostrandoci che alcuni problemi sono di tutti e toccano i ricchi e i poveri, i famosi e gli sconosciuti. Il calcio non è un mondo a sé stante ma è parte della società: viviamo su questo pianeta tutti insieme e quindi anche gli sportivi hanno una grande responsabilità. Rispetto al calcio nello specifico, la vecchia mentalità deve cambiare perché attraverso lo sport più seguito nel mondo è possibile veicolare valori importanti.
Ci sono degli esempi sporadici di interesse del mondo del calcio rispetto alle tematiche ambientali. È il caso dei Forest Green Rovers, la squadra più “verde” del mondo che pure milita nella quarta divisione del campionato inglese, o dell’utilizzo di maglie da gioco realizzate in plastica riciclata da parte di diversi team. Ma il mondo del calcio non potrebbe fare molto di più?
Assolutamente. Il mondo del calcio è ancora indietro su questo fronte e ciò rappresenta un grande problema. Bisogna fare un salto in avanti su questo aspetto come è recentemente avvenuto, ad esempio, su altre questioni importanti come il razzismo e i diritti delle donne. In quei casi il calcio ha dato l’esempio, ora deve darlo anche rispetto alle tematiche ambientali. Abbiamo una grande responsabilità e la possibilità di diffondere questi messaggi a un pubblico vastissimo.
Anche per questo motivo ha deciso di promuovere la Fondazione We play green?
Sì. La nostra visione è quella di ristabilire l’equilibrio tra l’uomo e la natura. Vogliamo raggiungere i 3,5 miliardi di tifosi sparsi nel mondo creando, con l’aiuto dei team e dei calciatori, una maggiore consapevolezza ambientale. Stiamo costruendo una comunità di squadre e di atleti interessati al tema per lavorare su progetti concreti: il primo di questi sarà la Sustainability League, una sorta di Champions League composta da squadre che hanno messo in campo importanti iniziative per l’ambiente, in modo che possano ispirare altre realtà a seguirne l’esempio.
Cambiamenti climatici, perdita di biodiversità, inquinamento: quale delle diverse emergenze ambientali che stiamo affrontando la preoccupa di più?
Queste tre emergenze sono effetti di una crisi più vasta dovuta a un modo di vivere non sostenibile; una crisi che può essere risolta solo con soluzioni di sistema, modificando le nostre abitudini degli ultimi 50 anni che stanno distruggendo la natura. Sicuramente il cambiamento climatico è l’emergenza al momento più importante dal punto di vista economico, ma anche l’inquinamento e la perdita di biodiversità avranno impatti finanziari devastanti nel prossimo futuro.
La definiscono “il Greta Thunberg della Serie A”. Le piace come definizione?
Greta è un idolo per i più giovani e non solo, sta facendo cose importantissime ma il suo messaggio, così forte, arriva ovviamente solo ad alcune persone e non a tutti. Io, in maniera più leggera, punto a ispirare le persone, per far sì che modifichino le loro scelte. Il mondo del calcio ha un’audience talmente ampia da consentirgli di arrivare anche laddove Greta non riesce. Per questo non possiamo più restare fermi e in silenzio.
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