Il 27 novembre aprono le candidature per la seconda edizione di Women in Action, il programma di LifeGate Way dedicato all’imprenditoria femminile.
Zero morti sulle strade è l’unico numero accettabile
Una riflessione sull’impegno necessario per affrontare in modo serio il tema della sicurezza stradale.
Qual è la prima causa di morte in Italia tra i maschi con meno di 50 anni? Non è il fumo, non sono i tumori, non è l’alcol. La cosa che con più probabilità potrebbe ucciderti sono gli incidenti stradali: ci sono infatti tremila morti sulle strade ogni anno che non fanno notizia. Sono il doppio rispetto alle vittime del Regno Unito, che pure ha una popolazione numericamente simile rispetto a quella italiana.
L’incidente di ieri è uno di quelli che difficilmente passa sotto silenzio: a Roma, dei neopatentati hanno noleggiato un suv – oltre 2.200 chilogrammi di veicolo – per portare avanti una challenge, una sfida, da pubblicare sul loro canale The Borderline, su Youyube e Tiktok, che consisteva nel rimanere 50 ore a bordo del mezzo. Durante la guida – forse distratti dalla sfida stessa o dalle riprese – hanno provocato un incidente mortale, travolgendo una piccola auto che aveva a bordo una giovane madre di 29 anni con i due figli di 4 e 5 anni. I primi due sono stati portati in ospedale, mentre il bambino di 5 anni è morto.
Quasi dappertutto è già partita la condanna unanime che accusa i social media di spingere i giovanissimi al puro esibizionismo, visto che sembra una delle cause della distrazione. Ma stiamo perdendo di vista uno degli altri – forse ancora più grave, diffuso e invisibile – drammi di questa storia.
Paolo Gandolfi è un ex parlamentare italiano, tra i più esperti nel campo della mobilità sostenibile. È stato, tra le altre cose, il promotore del disegno di legge sull’omicidio stradale ed è in grado di spiegare meglio di tutti – in un post su Instagram – le tre cause principali di morte sulle strade: “Salvo rari casi a uccidere è la combinazione di tre fattori: comportamento sbagliato, automobile, velocità”.
In questo meraviglioso paese infatti si discute di frecce ai monopattini, assicurazione o casco. Ma avremmo davvero meno morti sulle strade se applicassimo queste misure?
Invece: quanti morti in meno avremmo se progettassimo strade e spazi a misura di bambini, di anziani, dei soggetti più vulnerabili? Se ogni città diventasse Zona 30, e facendo si che i mezzi più pericolosi come le automobili – a volte dei veri e propri carri armati urbani – fossero strutturalmente e urbanisticamente costrette a rispettare dei limiti di sicurezza.
Circa un quarto delle persone coinvolte in quelle tremila morti sulla strada sono in realtà persone che si stavano muovendo a piedi o in bici. Quanto diventerebbero più accessibili, più sicure, più turistiche, più spaziose, più umane, più sostenibili le nostre strade? Una pubblicità meravigliosa chiedeva a un ragazzo per strada quale fosse il numero di morti accettabili nella città. L’anno prima ce n’erano stati 213. Secondo lui il numero accettabile erano 70. Allora da dietro l’angolo facevano comparire 70 persone che lui conosceva personalmente: la sua famiglia, i suoi amici. E immediatamente diceva “Zero, zero persone”.
Zero è l’unico numero di morti sulle strade che possiamo accettare.
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