Pochi giorni prima delle celebrazioni del Natale ortodosso, che in Russia si festeggia il 7 gennaio, i fedeli di Mosca sono stati privati di uno dei sacerdoti più autorevoli e conosciuti della città: padre Aleksej Uminskij. Noto per le sue posizioni pacifiste e antimilitariste, è stato rimosso dal suo incarico nella chiesa della Trinità vivificante, a Khokhly di Mosca, che guidava dal 1993. E non potrà più celebrare la messa.
La notizia è stata pubblicata su Telegram dalla giornalista Ksenia Luchenko e confermata al canale Dozhd dai fedeli che frequentano questa piccola chiesa del centro storico, immersa tra le case basse di uno dei quartieri più caratteristici di Mosca. Qui, in trent’anni di attività, padre Uminskij era riuscito a costruire una comunità affiatata, partecipe e impegnata nel sociale, che adesso è stata affidata a un arciprete sostenitore dell’operazione militare in Ucraina: uno dei tanti ecclesiastici che attraverso i suoi sermoni giustificano le bombe e i carri armati.
Un prete scomodo per il Cremlino
Padre Uminskij, tra le figure oggi più scomode e controcorrenti della Chiesa ortodossa russa, che nel 2021 aveva addirittura invitato le autorità a dimostrarsi misericordiose con l’oppositore Aleksej Navalnyj in sciopero della fame, sarebbe stato rimosso per alcune dichiarazioni fatte durante un’intervista rilasciata all’ex caporedattore della radio “Ekho Moskvy”, Aleksej Venediktov (dichiarato “agente straniero” in Russia), e pubblicata su Youtube nel novembre 2023. Rispondendo ai commenti degli spettatori, che chiedevano cosa fare quando nella propria parrocchia viene propagandata la guerra, Uminskij aveva suggerito di rivolgersi a sacerdoti che “cercano di non rafforzare lo spirito militare durante la liturgia”, ma che “pregano per la pace piuttosto che per la vittoria”. Parole duramente criticate dall’episcopo Pitirim, che le ha addirittura definite una “metastasi della terribile malattia del liberalismo che è penetrata nella nostra Chiesa e rovinerà la nostra patria”.
E così, padre Uminskij è stato sostituito dall’arciprete Andrej Tkachev, fervente sostenitore dell’operazione militare speciale, inserito nella lista delle persone sanzionate dall’Ucraina, per di più famoso per aver criticato Kiev e addirittura maledetto i partecipanti di Euromaidan, le manifestazioni pro-Europa che si tennero a Kiev tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014.
Appena entrato in servizio nella chiesa della Trinità, durante la messa di Natale, Tkachev ha dedicato una preghiera per la vittoria “su coloro che hanno imbracciato le armi contro la Santa Rus’”. E ha commentato il suo nuovo incarico con un post su Telegram: “Tanto rumore per la sostituzione di un sacerdote con un altro sacerdote… In realtà, alle persone non interessa nessuno, tranne se stesse (…) Le lance vengono spezzate su mitologemi politici”.
L’alleanza tra la Chiesa e il Cremlino
La Chiesa ortodossa russa sostiene pubblicamente la guerra fin dai primi giorni dell’invasione in Ucraina. Il Patriarca Kirill non solo promuove l’aggressione e la politica del Cremlino, incoraggiando l’arruolamento e promettendo l’assoluzione ai soldati, ma nell’ottobre 2023 ha addirittura elogiato l’arma nucleare creata “sotto la protezione di San Serafino di Sarov”, che avrebbe permesso alla Russia di restare un Paese “libero e indipendente”.
È evidente che sotto la guida di Kirill l’alleanza tra la Chiesa ortodossa russa e il potere politico si è fatta sempre più forte. Ma non è una novità dei giorni nostri: come ricorda il politologo Vladimir Pastukhov, questa alleanza affonda le radici “nei secoli XVI-XVII, quando la Chiesa russa ha solidarizzato con il governo, fino a trasformarsi in una parte organica dello Stato autocratico russo”.
Il caso di cronaca che ha coinvolto padre Uminskij è infatti solo l’ennesima dimostrazione di come la Chiesa ortodossa russa stia assecondando con ogni mezzo le necessità del Cremlino, mettendo a tacere le voci che si levano a favore della pace. Voci che in realtà non sarebbero del tutto isolate, se si considera che poche settimane dopo l’inizio dell’invasione, una parte del clero della Chiesa ortodossa russa aveva firmato una lettera aperta con cui chiedeva una riconciliazione tra le parti e la fine immediata del conflitto. Quella lettera era stata sottoscritta da quasi trecento tra diaconi, preti e sacerdoti.
“Padre Uminskij è sempre stato dalla parte delle persone che da tempo frequentava la sua parrocchia. Lui non faceva attività politica. Si occupava della gente, lottando contro le ingiustizie e contro l’umiliazione della dignità umana”.
Ksenia Luchenko, giornalista
Il bavaglio ai preti pacifisti
Ma che fine hanno fatto le voci di tutti quegli ecclesiastici che si erano pronunciati contro la guerra? Molte sono state zittite, a dimostrazione del fatto che il caso di padre Uminskij è solo la punta dell’iceberg.
La primavera scorsa due preti della regione di Leningrado hanno infatti raccontato in forma anonima di essere stati intimati a non firmare più lettere a favore della pace e a non esprimere in pubblico le proprie posizioni. Uno di loro è stato addirittura segnalato da alcuni attivisti ortodossi che ne avevano chiesto la rimozione dalla parrocchia.
Anche Arkadij Fomin, un sacerdote della Repubblica dei Komi, l’anno scorso ha perso il suo ministero per aver firmato la petizione contro la guerra ed essersi espresso apertamente contro l’aggressione in Ucraina. Oggi padre Arkakij non veste più la tunica e non celebra la messa: pochi mesi dopo l’inizio dell’invasione, Fomin è tornato a essere un laico come gli altri. Come ha detto in un’intervista, ha preferito lasciare la Chiesa piuttosto che benedire gli uomini mobilitati e spediti al fronte.
Di casi analoghi in Russia se ne contano parecchi. A inizio 2023 un tribunale della regione di Krasnodar ha inflitto al sacerdote Viktor Pivovarov una multa di 40mila rubli (circa quattrocento euro al cambio attuale) per una predica che avrebbe “screditato l’esercito russo”.
Fedeli in calo, in Russia
Le persone che si recano in chiesa sono in costante calo in Russia. I dati ufficiali del Ministero degli Affari Interni, diffusi nei giorni scorsi dalla portavoce Irina Volk, mostrano che questo Natale, una delle principali festività religiose del Paese, appena 1,4 milioni di persone sono andate a messa. Nel 2004 i fedeli che parteciparono alle funzioni religiose natalizie furono tre milioni; nel 2014, 2,3 milioni. In vent’anni il dato si è dimezzato, scendendo drasticamente dopo l’invasione dell’Ucraina: come riporta Nikolaj Mitrokhin, ricercatore del Centro di studi sull’Europa orientale dell’Università di Brema, nel 2020 si recarono in chiesa per Natale 2,3 milioni di persone, nel 2022 1,4 milioni (i dati del 2021 non sono disponibili).
“C’è probabilmente uno scisma nella Chiesa, che al momento non si nota molto, ma è uno scisma tra la Chiesa ufficiale che appoggia totalmente la narrativa propagandista del governo russo, e poi ci sono le comunità cristiane che non possono in alcun modo sostenere questo militarismo, questa propaganda della violenza”
Sergej Chapnin, ricercatore, Centro di studi ortodossi Fordham University
“Secondo i dati del Centro Levada, in dieci anni l’autorità personale del Patriarca Kirill è crollata: un calo iniziato approssimativamente nel 2013-2014 — ha detto Chapnin —. Allo stesso modo, anche l’autorità della Chiesa, che a livello ideologico e politico è diventata una tenue ombra del governo, sta diminuendo. Dunque non è da escludere, e lo dico con cautela, che la partecipazione nelle chiese sia diminuita anche per un certo umore di protesta evangelico-cristiana. Come a dire, non possiamo andare in una chiesa dove si prega per la vittoria, dove si commemora il nome del Patriarca Kirill che non porta avanti una posizione cristiana. E se la gente non se la sente di esprimere pubblicamente queste idee, perlomeno lo fa con le proprie gambe”.
Insomma, per i fedeli russi a quanto pare sta diventando sempre più difficile trovare una parrocchia dove non si faccia propaganda di guerra, e dove vengano professati i valori cristiani della pace, del rispetto e dell’amore verso il prossimo.
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