Israele, perché la moschea Al-Aqsa è un nervo scoperto della Gerusalemme contesa

Dalla spianata dove sorge la moschea Al-Aqsa è partita la scintilla che ora incendia l’intera regione. Una vecchia storia che si ripete.

  • Due violenti raid della polizia israeliana sulla Spianata delle moschee a Gerusalemme hanno colpito fedeli musulmani raccolti in preghiera durante il Ramadan, sancendo l’inizio di scontri in tutta la regione.
  • La moschea di Al-Aqsa è spesso al centro dei disordini, specie durante le festività, a causa del valore simbolico che possiede sia dal punto di vista religioso che da quello politico.
  • Il conflitto israelo-palestinese passa anche per il controllo della Spianata su cui sorge Al-Aqsa, formalmente amministrata dalla Giordania ma, nei fatti, obiettivo dell’occupazione israeliana.
  • Negli anni sono stati molti gli episodi violenti che, iniziati sulla spianata, sono culminati in veri e propri massacri dentro e fuori le mura di Gerusalemme.

La lunga notte di guerra tra Israele e i combattenti palestinesi ha dimostrato ancora una volta che ciò che succede a Gerusalemme quasi mai resta a Gerusalemme. La pioggia di razzi partiti da Israele e diretti verso la regione di Tiro, nel sud del Libano, sono una risposta alle esplosioni di ieri in Galilea occidentale che Israele ha definito i peggiori dal 2006 e per cui ritiene responsabili fazioni palestinesi legate ad Hamas, l’organizzazione paramilitare che controlla la Striscia di Gaza, e presenti in Libano. Successivamente agli scontri sulla Spianata delle moschee, 34 razzi erano partiti dal Libano verso il territorio di Israele, ma erano stati intercettati, come quasi sempre accade, dal sosfisticato sistema di difesa Iron Dome in forza all’esercito israeliano. L’escalation a cui assistiamo, passato anche da un inasprimento del conflitto nella Striscia di Gaza, è un effetto diretto della duplice notte di disordini e violenza consumatasi sulla Spianata delle moschee a Gerusalemme, dove l’esercito israeliano ha fatto irruzione nella moschea Al-Aqsa, luogo simbolo per la religione islamica nel mezzo delle celebrazioni del Ramadan, il mese sacro dedicato al digiuno e alla preghiera per i musulmani.

I raid israeliani ad Al-Aqsa durante il Ramadan

Gli scontri di mercoledì 5 aprile sono il secondo episodio di violenza in poche ore. La polizia israeliana aveva precedentemente condotto un raid – motivato dalla presenza di “estremisti musulmani” che avrebbero preso in ostaggio la moschea, secondo quanto affermato dal premier israeliano Benyamin Netanyahu – che aveva portato all’arresto di oltre 350 persone, innescando uno scambio di fuoco transfrontaliero a Gaza e alimentato il timore di ulteriori violenze. Mercoledì sera la polizia ha fatto irruzione sulla Spianata delle moschee e ha cercato di evacuare forzatamente i fedeli palestinesi dalla moschea Al-Aqsa usando granate stordenti e sparando proiettili di gomma. Secondo quanto riferito dall’autorità islamica di nomina giordana deputata alla gestione dell’area della spianata, l’esercito israeliano non avrebbe neppure aspettato il termine delle preghiere. Per evitare di essere estratti con la forza, i fedeli si sarebbero barricati all’interno della moschea Al-Aqsa, rispondendo alle intimidazioni con il lancio di pietre.

Il significato storico e religioso dell’area intorno ad Al-Aqsa

Al-Aqsa è il nome della moschea rettangolare sormontata da una cupola di piombo che può ospitare fino a 5.000 fedeli. Sorge adiacente alla Cupola della Roccia, quella con l’iconica cupola dorata. È situata all’interno di un complesso che i musulmani chiamano al-Haram al-Sharif, e cioè “nobile santuario”. Si tratta del terzo sito più sacro dell’Islam. Il santuario comprende la Cupola della Roccia, i quattro minareti, le porte storiche e la moschea stessa. È qui che, secondo il Corano Maometto è asceso al cielo dopo aver cavalcato per tutta la notte nel deserto dalla Mecca fino a Gerusalemme.

Ma il complesso collinare che sorge sul lato orientale della città vecchia è un luogo sacro anche le religioni ebraica e cristiana. Gli ebrei lo chiamano Monte del Tempio, e corrisponde al sito in cui sorgevano il tempio costruito da re Salomone, distrutto dai babilonesi, e il Secondo Tempio, distrutto dai romani. Una memoria che condividono con la religione cristiana. Pur essendo il luogo più sacro per gli ebrei che da qui credono sia iniziata la creazione del mondo, la legge ebraica proibisce ai fedeli di calpestarlo proprio perché considerato troppo sacro, motivo per cui il vero luogo di preghiera per gli ebrei è il Muro occidentale – chiamato anche Muro del pianto – poco distante.

Chi controlla la Spianata delle moschee

Questo conflitto si ripercuote pesantemente anche sull’accesso stesso alla spianata, tema tutt’altro che secondario e strettamente legato agli scontri di questi giorni. Ufficialmente, la gestione e l’amministrazione del sito su cui sorge la moschea di Al-Aqsa è sotto il contorollo della Waqf, l’organizzazione islamica di nomina giordana che, in teoria, dovrebbe regolare l’accesso al monte e ai suoi edifici. È stata istituita nel 1948 dopo l’occupazione di Gerusalemme Est da parte del regno di Giordania, ed è sopravvissuta alla Guerra dei sei giorni del 1967, quando Israele prese in controllo della Cisgiordania e di Gerusalemme Est. Con l’acuirsi delle tensioni tra israeliani e palestinesi la gestione del sito è diventata sempre più causa di conflitto e scontri, trasgredendo alla regola non scritta dello Status quo secondo cui la spianata sarebbe un luogo di preghiera esclusivo dei musulmani, consentendo comunque la visita ai non musulmani in determinate fasce orarie.

Ciononostante, l’occupazione israeliana sta mettendo in discussione pesantemente questa teoria. Israele conserva un massiccio dispiegamento di forze di polizia e militari fino alle porte storiche di accesso alla spianata che, di fatto, la mette in condizione di decidere chi può entrare o uscire dall’area. Tale situazione garantisce a Israele un presidio permanente al limitare del sito conteso, favorendo le operazioni qualora decida di entrarvi per “ristabilire l’ordine”. In partica, il perimetro stesso della spianata costituisce un fronte vero e proprio per il conflitto israelo-palestinese, la cui simbolicità è capace di scatenare disordini che si propagano sulla regione intera.

La lunga storia di tensione sulla Spianata delle moschee

È sulle pietre antiche di questa spianata che si sono consumati alcuni dei capitoli più tremendi del conflitto israelo-palestinese, rendendolo un dei siti storicamente più sensibili: “Gerusalemme è forse la questione numero uno che ha il potenziale di scatenare violenze su larga scala”, ha dichiarato ad Al Jazeera Khalil Shikaki, direttore del Palestinian Center for Policy and Survey Research.

Nel 1969 fu addirittura un cristiano, un australiano di nome Dennis Michael Rohan, a tentare di incendiare un pulpito. In seguito, le controversie hanno riguardato quasi esclusivamente le comunità musulmane e quelle ebraiche. Ed è soprattutto per mano dei movimenti più ortodossi che si sono verificati gli episodi più gravi. Nel 1990, un movimento ebraico ortodosso estremista conosciuto come i Fedeli del Monte del Tempio – fondato da un militare, l’ex ufficiale dell’esercito Gershon Salomon – ha annunciato l’intenzione di posare la pietra angolare che avrebbe sancito l’inizio della costruzione del Terzo Tempio al posto della Cupola della Roccia. Ne sono scaturiti violentissimi scontri costati la vita a 17 palestinesi per mano della polizia israeliana.

Israele
Fedeli palestinesi distesi sul pavimento della Spianata delle moschee durante un raid delle forze israeliane nel 1990 © Menahem Kahana/Afp via Getty Images

Dieci anni più tardi le rivolte iniziano per mano politica. Nel 2000, l’allora leader del Likud Ariel Sharon – che dì lì a poco sarebbe diventato primo ministro – compie un gesto clamoroso, salendo sulla Spianata delle moschee insieme a 1.000 agenti di polizia. Fu un chiaro messaggio rivolto ai palestinesi per affermare che la sovranità di quel luogo apparteneva a Israele, aderendo a un sillogismo sdoganato proprio dall’ufficiale Salomon durante un’intervista nel 1983. In quell’occasione aveva affermato che “chi controlla il Monte del Tempio ha diritti sulla Terra d’Israele”. Quell’episodio ha generato una serie di controffensive culminate con l’inizio della seconda intifada, nella quale sono morte migliaia di persone da ambo le parti.

Seconda Intifada
Il politco israeliano Ariel Sahron al Monte del Tempio in una foto del 2003 © Brian Hendler/Getty Images

L’assoluta sacralità del luogo ha contribuito a rendere questi avvenimenti ancora più incendiari, fungendo da detonatore per il periodico ridestarsi del conflitto in tutti i territori contesi. Come per gli eventi di questi giorni, molti episodi si sono verificati durante il Ramadan. Nel maggio del 2021 le forze israeliane hanno assaltato la spianata muniti di gas lacrimogeni e proiettili rivestiti di gomma, ferendo centinaia di persone. In quel caso la violenza si era rapidamente estesa oltre le mura della città vecchia, rinvigorendo le tensioni nel quartiere palestinese di Sheikh Jarrah a Gerusalemme Est, colonizzato dagli israeliani e centro di una disputa immobiliare per il controllo della terra che sta diventando sempre più pericolosa. Anche l’anno successivo le forze israeliane hanno lanciato numerose incursioni che sembrano la copia carbone di quelli a cui stiamo assistendo oggi, e che hanno portato all’arresto di centinaia di palestinesi.

Le immagini raccapriccinati delle botte nella moschea Al-Aqsa hanno fatto il giro del mondo. Subito dopo sono arrivate quelle delle offensive militari scagliate a tappeto su tutta la regione, la cui entità fa temere per un’escalation rapida e frontale. A questo si aggiunge l’attuale situazione delle relazioni tra lo Stati d’Israele e l’Autorità palestinese, sempre più difficili per via dell’estremizzarsi delle politiche di Netanyahu e dell’alleanza con l’espressione più ultraconservatrice e ortodossa della politica israeliana. Poco dopo le reazioni dalla Striscia di Gaza ai fatti di Al-Aqsa il ministro alla Sicurezza nazionale e leader di estrema destra, Itamar Ben Gvir, ha risposto a chi gli chiedeva conto delle reazioni militari di Israele che “è giunto il momento di mozzare teste a Gaza”. Parole che bastano a dare l’idea della distanza che oggi separa i due interlocutori, riempita ancora una volta dalle botte e dai razzi.

 

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