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Radical voice, 15 artisti danno corpo alla condizione femminile in Iran
Vida Diba, mente di Radical voice, ci parla della genesi della mostra che, grazie all’arte, racconta cosa significhi davvero la libertà. Ed esserne prive.
Da settembre 2022, precisamente dal 16 settembre giorno in cui è stata uccisa Mahsa Amini, in Iran si sono scatenate numerose proteste cittadine. Si è trattato inizialmente di movimenti studenteschi nella città natale della 22enne iraniana morta mentre si trovava sotto la custodia della polizia locale perché accusata di non aver indossato il velo in modo corretto. La protesta è velocemente divenuta internazionale e la mostra Radical voice che avrà luogo a Milano alla Fondazione Sozzani dall’11 al 14 maggio, è uno degli eventi a sostegno del popolo iraniano scaturiti da quel barbaro omicidio. Una risposta sociale, civile oltre che artistica, che la sua anima, Vida Diba ci spiega così: “L’unico modo per arrivare al cuore delle persone, anche le più comuni, le più umili a mio parere è l’arte, perché l’arte ti parla, dice senza dire, senza sottotesti, senza spiegazioni, non è politica, l’arte è con il popolo, è sempre stata dalla parte del popolo“. Vi raccontiamo come è nato questo progetto e l’impegno di chi l’ha ideato.
Come è nato il progetto Radical voice
Radical voice ha in pochi mesi creato attorno a sé un team di professionisti e aziende di grande livello che hanno permesso al progetto di concretizzarsi velocemente e di dare vita dall’11 al 14 maggio a una mostra alla Fondazione Sozzani di Milano. Esposte saranno le opere di 15 artisti selezionate tra le tante pervenute dopo la call to action lanciata da Vida Diba attraverso il suo profilo Instagram. Vida Diba è un giovane architetto di 36 anni, iraniana che da 11 vive in Italia e si occupa di sostenibilità nel mondo della moda. Come lei stessa ci racconta, dopo l’omicidio di Mahsa Amini ha sentito il dovere di agire: “Quando è successo il fatto di Mahsa, ero qui da 10 anni. Prima di allora non ho mai parlato male del mio paese, nonostante in Iran io abbia dovuto affrontare momenti davvero difficili, sono stata anche arrestata. Forse perché sapevo di venire da un paese in cui in molti pensano ci siano solo problemi, ma l’Iran è anche e soprattutto un luogo meraviglioso. E poi temevo che se avessi denunciato ciò che accadeva lì, qualcuno della mia famiglia avrebbe potuto subire conseguenze. Però dopo la morte di Amini non volevo essere vigliacca e non volevo stare in silenzio. Tra l’altro non sarei stata sola dunque ho avuto la forza di uccidere questa paura all’interno di me stessa”.
Vida si è attivata in modo semplice ma efficace, grazie ai social e a seguito della sua prima chiamata pubblica di artisti affinché esprimessero la loro partecipazione alla causa iraniana con il linguaggio dell’arte, ha avuto molte risposte. Così ha coinvolto Sara Sozzani Maino della Fondazione Sozzani per chiederle di collaborare e di aiutarla a diffondere il suo progetto e la sua idea. Da lì il contatto con Vogue Italia e il team di Francesca Ragazzi (che ne è la Head of editorial content), il primo articolo sulla stampa e la realizzazione concreta della mostra.
I 15 artisti (scelti dall’intero team del progetto che comprende Vida Diba, la Fondazione Sozzani e Fashion revolution Iran — un movimento globale che chiede maggiore trasparenza, sostenibilità ed etica nel settore della moda) si sono espressi liberamente sul tema Donna, vita, libertà, lo slogan che forse per la prima volta è stato gridato durante la manifestazione svoltasi a fine ottobre 2022 a Berlino dove 80mila persone sono scese in strada per chiedere l’inasprimento delle sanzioni internazionali contro il regime iraniano e scandendo proprio le tre parole “donne, vita e libertà”. A quest’evento era presente anche Vida che ci racconta cosa ha significato per lei scendere in piazza.
“La prima volta che sono stata a manifestare in Italia, ero a Milano: ricordo benissimo che avevo i brividi, perché avevo ancora paura. Però ora mi è chiaro che alzare la voce serve, la voce ha un potere che non ha nessun altro. Io ho manifestato spesso, sono ambientalista, ma questa occasione per me è stata davvero importante e terribile allo stesso tempo: temevo che qualcuno mi fotografasse e filmasse. Avevo paura di tutti i fotografi, perché credevo di dover subire poi delle conseguenze, di trovare qualcuno sotto casa. Per me è stato liberatorio e bello, ma è terribile pensare a chi in Iran non può manifestare. La mia famiglia sa come la penso, le mie sorelle mi danno forza, i miei genitori si preoccupano, temono per la mia incolumità. Hanno paura. Ma è la mia vita”.
Vivere in Iran da donne
Vida racconta di aver da subito riscontrato molta sensibilità nelle persone a cui ha presentato il suo progetto. Tanti importanti partner hanno aderito, inaspettatamente, e con entusiasmo: “Questo mi ha dato ancora più forza per portare avanti Radical voice. Ho avuto il coraggio necessario grazie a queste adesioni”. E aggiunge una cosa importante: “Le donne iraniane sono lontane da noi ma solo geograficamente, in realtà sono accanto a noi. Ciò che riguarda loro, riguarda tutti. E chi ha risposto alla mia chiamata l’ha compreso. Nella mia idea la mostra vuole essere la voce di tutte queste donne attraverso l’opera di altri, ma anche degli uomini perché senza di loro non possiamo andare avanti”.
La situazione delle donne in Iran è grave dal punto di vista dei diritti da molto tempo: “Io sono tornata nel mio paese solo 2 volte, l’ultima 5 anni fa. E allora mi sono detta che sarei tornata solo quando il paese fosse cambiato. Nonostante avessi tutta la mia famiglia lì. Non riuscivo più a vivere in Iran.
Se ci ripenso adesso, quel che ricordo della mia vita lì è che ho avuto spesso paura ma anche coraggio. Alcune cose accadutemi non le ho mai raccontate nemmeno ai miei genitori. Sono stata picchiata, imprigionata, offesa. Ho comunque cercato di non farmi fermare, di vivere una vita attiva anche in Iran. Non ho sposato chi avrebbero voluto farmi sposare, ho combattuto per studiare ciò che volevo. Infatti sono architetto, e ho collaborato anche lì con diversi studi importanti di architettura imparando molto dalle persone con cui ho lavorato.
Perché visitare la mostra Radical voice
Abbiamo chiesto a Vida Diba perché i cittadini e le cittadine dovrebbero andare alla Fondazione Sozzani a visitare questa mostra. Lei ci ha risposto: “Perché no? Credo che non si debba partecipare solo perché è un evento per l’Iran, ma perché raccoglie e presenta le storie di tante persone. Artisti che hanno cercato di portate la loro esperienza celebrando la libertà, la liberazione. Radical voice infatti non racconta la vita di donne iraniane, la mostra racconta le donne iraniane attraverso la vita di altre persone. Per arrivare alla libertà, alla liberazione. È importante indagare cosa sia veramente per noi la libertà. Secondo me Radical voice sarà anche la voce di tutti quelli che l’avranno vista e che la racconteranno a loro volta ad altri”.
La mostra sarà visitabile gratuitamente dall’11 al 14 maggio 2022 alla Fondazione Sozzani in via Tazzoli 3 a Milano, aperta dalle 11:00 alle 19:30. Il 13 maggio è in programma un interessante dialogo tra Marco Carrara, giornalista televisivo e ambasciatore Unicef NextGen, Pegah Moshir Pour, attivista dei diritti umani e digitali e Sennait Ghebreab, autrice, accademica e vincitrice del premio Talenti italiani nel Regno Unito.
La mostra si avvale del supporto di Vaia, startup italiana nata con lo scopo di riforestare le Dolomiti dopo la tempesta del 2018 valorizzando territorio e artigianato grazie all’economia circolare, e Alisea, che si occupa da anni di recupero e riuso dei materiali aziendali di scarto. Chi visiterà la mostra avrà la possibilità di acquistare una serie limitata di prodotti sostenibili messi in vendita a scopo benefico al fine di supportare la battaglia delle donne iraniane: Vaia presenta un’esclusiva serie di amplificatori per smartphone Vaia Cube personalizzati da noti artisti. Alisea, in collaborazione con l’illustratrice Sara Guazzarini, propone Perpetua, l’unica matita prodotta in Italia con l’80 per cento di polvere di grafite altrimenti destinata allo smaltimento in discarica, per questa occasione decorata da un disegno che evoca la grafia della lingua farsi e diventa simbolo di vita, speranza e resistenza.
Infine Fondazione Pistoletto partecipa alla mostra presentando l’opera Prima scena di Michelangelo Pistoletto, dedicata alla costituzione della piattaforma Cittadellarte Fashion B.E.S.T. (2009). Inoltre, Cittadellarte selezionerà tre artisti scelti tra i partecipanti alla mostra Radical voice per un workshop di arte e trasformazione sociale responsabile in Fondazione Pistoletto a Biella.
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