“Una bomba ecologica”. L’associazione francese Les amis de la Terre ha parlato in questi termini del nuovo mega-progetto che alcune compagnie stanno sviluppando in Mozambico. Obiettivo: sfruttare un immenso giacimento sottomarino di gas individuato alcuni anni fa al largo delle coste settentrionali della nazione africana. In barba a dichiarazioni, piani e promesse di effettuare una transizione ecologica che prevede l’abbandono delle fonti fossili.
Au Mozambique, l’exploitation du gaz tourne au cauchemar ☠️ A l'abri des regards, la France en est directement complice…
— Amis de la Terre FR (@amisdelaterre) June 15, 2020
5mila metri cubi di gas nei fondali del Mozambico
Secondo le informazioni riferite in un rapporto intitolato “Dall’eldorado del gas al caos”, al di sotto del fondale sarebbero presenti 5mila miliardi metri cubi. Un quantitativo tale da poter trasformare una delle nazioni più povere del mondo in un importante esportatore mondiale di gas naturale liquefatto. Ma con un prezzo gigantesco da far pagare all’intero Pianeta: estrarre e poi bruciare tale fonte fossile contribuirà a vanificare gli sforzi (già insufficienti) effettuati fin qui dalla comunità internazionale per contrastare i cambiamenti climatici. E porrà anche rischi per l’ambiente locale, a cominciare dalla biodiversità marina.
A sostenere fortemente il progetto, come facile immaginare, sono le multinazionali delle fonti fossili. Tra queste figura anche l’italiana Eni, assieme alla statunitense ExxonMobil e alla francese Total. Soltanto quest’ultima avrebbe previsto un investimento colossale, pari a 25 miliardi di dollari. Ciò nella speranza di poter cominciare a sfruttare il giacimento a partire dal 2022 o dal 2023.
Emissioni pari a 7 volte quelle annuali di una nazione come la Francia
Secondo Les amis de la Terre, le dimensioni del progetto sono tali da “rappresentare sette volte le emissioni annuali di una nazione come la Francia”. Il che basta a far comprendere in che modo lo sfruttamento del nuovo giacimento in Mozambico rischia di “far sprofondare ancor di più il Pianeta nella crisi climatica”. Ma anche di “provocare accendere una miccia in una regione già teatro di tensioni”, sottolinea il rapporto.
Il riferimento è al fatto che le riserve di gas sono situate nella provincia del Cabo Delgado, nella quale da due anni e mezzo un’insurrezione di matrice islamista ha provocato 1.100 morti (secondo le cifre dell’organizzazione non governativa Armed conflict location and event data project, Acled). I rischi, sociali e climatici, sarebbero dunque enormi. Occorrerà verificare se a prevalere saranno, ancora una volta, gli interessi economici. Dei quali, come spesso accade, difficilmente beneficerebbe la popolazione del Mozambico.
Si parla tanto di finanza climatica, di numeri, di cifre. Ma ogni dato ha un significato preciso, che non bisogna dimenticare in queste ore di negoziati cruciali alla Cop29 di Baku.
Basta con i “teatrini”. Qua si fa l’azione per il clima, o si muore. Dalla Cop29 arriva un chiaro messaggio a mettere da parte le strategie e gli individualismi.