L’Onu ha proclamato il 2025 anno delle cooperative ritenendole di fondamentale contributo allo sviluppo sostenibile.
Cosa succede se le multinazionali della carne investono in quella vegetale e sintetica
Dietro ai marchi di carne vegetale e ai laboratori di carne coltivata spesso ci sono le multinazionali della carne tradizionale. Con delle conseguenze.
- I colossi della carne industriale stanno acquisendo i marchi dei sostituti vegetali della carne.
- Così, mentre si pensa di acquistare prodotti veg e sostenibili, in realtà si sostiene l’industria degli allevamenti intensivi.
- Le multinazionali della carne investono anche in carne sintetica, una soluzione controversa sul fronte delle sfide ambientali.
Le multinazionali della carne investono sempre più nei sostituti vegetali della carne e nella carne sintetica. Lo fanno acquisendo aziende più piccole che producono proteine plant-based e start up innovative che sviluppano carne coltivata in laboratorio, ma anche commercializzando questi prodotti sotto altri marchi. La tendenza, già nota, è stata documentata da due recenti rapporti, quello dell’organizzazione no profit Food&Water Watch e quello di Ipes-Food che riunisce esperti di sistemi alimentari.
La questione potrebbe sembrare una contraddizione e invece no: poiché si prevede che il mercato dei sostituti della carne crescerà rapidamente, da 4,2 miliardi di dollari di vendite nel 2020 a 28 miliardi di dollari nel 2025, l’industria della carne tradizionale corre al riparo investendo proprio nella “concorrenza”.
L’industria della carne che investe in sostituti vegetali e carne sintetica
Qualche esempio: tra le multinazionali statunitensi della carne, Cargill ha investito nell’azienda di carne coltivata in laboratorio Aleph Farms, mentre Tyson Foods vende carni a base vegetale con il suo marchio Raised&Rooted; Jbs, la multinazionale brasiliana che rappresenta la più grande azienda di lavorazione della carne al mondo, è diventata azionista di maggioranza della spagnola BioTech Foods che produce carne coltivata in laboratorio e ha acquisito l’azienda olandese di prodotti vegetali alternativi alla carne Vivera, il cui slogan recita: “La vita è più bella se mangi meno carne”.
Se i prodotti alternativi alla carne sostengono gli allevamenti
Le conseguenze di tutto questo sono molteplici: la produzione delle carne alternativa rischia di finire sotto il controllo di poche multinazionali – a discapito di piccoli e medi produttori – come già avviene negli Stati Uniti per l’industria della carne dove quattro società controllano l’85 per cento della produzione di carne bovina. In secondo luogo la produzione di carne vegetale o sintetica potrebbe generare le stesse problematiche dell’industria della carne tradizionale, dalle monocolture intensive all’intenso consumo di energia. Infine, mentre i consumatori che pensano di acquistare prodotti alternativi alla carne, perché vogliono seguire un’alimentazione veg o più attenta all’ambiente, in realtà sostengono le aziende che la producono.
Quali sono le alternative agli allevamenti intensivi
Se è indubbio che l’attuale sistema di produzione della carne non è sostenibile – per le emissioni prodotte e per il consumo di risorse quali suolo e acqua – sostituti vegetali della carne e carne coltivata in laboratorio sono soluzioni controverse. Il passaggio a un’alimentazione meno impattante e più vegetale e che comprenda ad esempio più legumi, è auspicata, ma qualche mese fa l’Oms ha sottolineato come non tutte le diete vegetali siano uguali sottolineando la differenza tra prodotti freschi come frutta, verdura, cereali e legumi e quelli industriali ricchi di sale e zuccheri.
Per quanto riguarda la carne sintetica, per associazioni come Slow Food e organizzazioni come Navdanya International, non è la risposta alla sfide alimentari del futuro. Citiamo Slow Food: “La soluzione non va ricercata rifiutando l’allevamento, ma cercando di cambiarlo. E questo viene fatto indirizzando le risorse economiche delle politiche agricole, a chi mette in atto pratiche ecologicamente e socialmente sostenibili. Educando a un cambio di consumi che si esplica anche in un minor consumo di carne, di migliore qualità e diversità (di specie, tagli, preparazioni)”. Il futuro dunque, non è in laboratorio, ma nei pascoli, che sono anche in grado di proteggere la biodiversità dell’ambiente e arricchire il suolo. E nel cambiamento delle nostre abitudini alimentari.
Siamo anche su WhatsApp. Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Dal mischiglio della Basilicata alla zucca malon del Friuli al cappero di Selargius, in Sardegna: i presìdi Slow Food che valorizzano prodotti dimenticati, ma di fondamentale valore per la biodiversità, il territorio e le comunità.
Vegetariano, di stagione, dai sapori mediterranei, ma anche profumato con spezie che vengono da Paesi lontani: ecco il nostro menù per ricordarci, anche a tavola, che il Natale è unione e condivisione!
I dati emersi dall’ultimo rapporto Ismea, l’ente pubblico che analizza il mercato agro-alimentare, ci obbligano a riflettere sul costo del cibo e su come buona parte del prezzo pagato non arrivi agli agricoltori.
Secondo una ricerca dell’Università di Tor Vergata, la dieta biologica mediterranea aumenta i batteri buoni nell’intestino e diminuisce quelli cattivi.
Tutti parlano della dieta mediterranea, ma in pochi la conoscono davvero. Ecco in cosa consiste e come possiamo recuperarla. L’incontro di Food Forward con gli esperti.
Secondo Legambiente, le analisi effettuate sugli alimenti restituiscono un quadro preoccupante sull’uso dei pesticidi.
Cosa deve esserci (e cosa no) nella lista degli ingredienti di un buon panettone artigianale? Cosa rivela la data di scadenza? Sveliamo i segreti del re dei lievitati.
A dirlo è uno studio della Commissione europea che ha fatto una prima stima del potenziale contributo della Pac agli obiettivi climatici.