Il 27 novembre aprono le candidature per la seconda edizione di Women in Action, il programma di LifeGate Way dedicato all’imprenditoria femminile.
Multinazionali del cibo. Ecco i buoni e i cattivi
Dopo un anno dal lancio della campagna Scopri il Marchio, Oxfam mostra quali multinazionali hanno dato segnali di cambiamento in termini di diritti dei lavoratori, rispetto della terra e delle risorse. E il merito è anche un po’ nostro.
Rispetto dei diritti dei lavoratori in particolare delle donne. Rispetto delle risorse naturali come terra e acqua, trasparenza e impegno nella mitigazione dei cambiamenti climatici.
Sono questi i valori ai quali è stato chiesto di dare una risposta e un impegno deciso alle 10 grandi multinazionli del cibo, operanti in tutto il mondo e spesso nei Paesi in via di sviluppo.
“La maggior parte delle 10 grandi sorelle del cibo si sta muovendo nella giusta direzione perché un numero impressionante di consumatori, e gli investitori che controllano migliaia di miliardi del mercato chiede loro di andare oltre il consueto modo di operare”, ha dichiarato Elisa Bacciotti, direttrice Campagne di Oxfam Italia.
Ecco che Mars, Mondelez e Nestlé si sono impegnate ufficialmente nel porre fine alla disuguaglianza di cui sono vittime le donne che coltivano il cacao in Nigeria, Costa d’Avorio, Indonesia e Brasile.
Coca-Cola, una tra i più grandi produttori e acquirenti di zucchero al mondo, ha dichiarato di voler adottare una politica di tolleranza zero al land grabbing lungo le proprie filiere di produzione.
“Durante il primo anno di vita della campagna Scopri il Marchio abbiamo imparato che le aziende sono davvero interessate a rispondere in modo veloce ed efficace, se sono i consumatori a chiedere loro di farlo. Alcune aziende si sono dimostrate più ricettive, altre devono mostrare più coraggio”, sottolinea Elisa Bacciotti. Tra queste PepsiCo che non ha ancora risposto o la General Mills, che crolla all’ultimo posta della classifica.
“Ma il cambiamento è in atto – conclude – una storia vecchissima fatta di terra e lavoro comprati a poco prezzo per produrre cibo a costi sociali e ambientali indicibili sta per finire”.
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