Pezzi unici che conservano la patina del tempo e la memoria della loro storia con legni e metalli di recupero: è il progetto di design sostenibile di Algranti Lab.
Museo della merda, quando dal letame nascono innovazioni
Il progetto di Gianantonio Locatelli, imprenditore agricolo, sul riuso del letame prodotto dai 3500 bovini della sua azienda in metano e prodotti sostenibili.
Gianantonio Locatelli è il proprietario dell’azienda agricola di Castelbosco, un’azienda dedicata principalmente alla produzione di latte per il famoso formaggio Grana Padano. Al suo interno ospita 3.500 bovini di razza selezionata che producono quotidianamente 500 quintali circa di latte e 1.500 di sterco. Dalla gestione quotidiana dei capi d’allevamento, della loro produzione e dei loro rifiuti è sorta la necessità di trasformare l’azienda stessa in un progetto ecologico e industriale innovativo.
“L’idea – spiega Locatelli, proprietario dell’azienda – è quella di uno stabilimento che, unendo biomeccanica, arte ambientale, e sofisticati sistemi di sfruttamento energetico dallo sterco dei suoi bovini, ricavi oggi prodotti utili come metano, concime per i campi, materia grezza per intonaco e mattoni. Arrivo da una famiglia di agricoltori, che mi ha sempre insegnato che dalla merda nascono i soldi. Mi sono sempre sentito molto vicino e affascinato da questo materiale. Ho sempre lavorato in mezzo agli animali quindi in mezzo alla merda e non ho mai avuto problemi di nessun genere, anzi mi meravigliavo quando gli altri si dimostravano negativi nei confronti di questo materiale. Alla fine, dopo averne sperimentato non solo gli svantaggi ma anche tutti i vantaggi ho deciso di renderle omaggio e giustizia. Non è solo maleodorante, schifosa, accompagnata da giudizi negativi: la merda è il materiale del futuro“.
La seconda vita del letame
Dalla trasformazione del letame infatti, Locatelli ottiene una serie di prodotti: con i “digestori” di biomassa, viene estratto il metano, che è poi ciò che genera la puzza; i motori bruciano il metano e producono energia elettrica da vendere. Dal 2007 l’azienda è così interamente alimentata dall’energia prodotta in loco, pari a circa 3 megawattora al giorno. L’elettricità prodotta in eccesso, viene venduta. L’acqua che raffredda i motori esce a 80-90 gradi, e quel calore viene recuperato per scaldare l’azienda e tutto il castello. Con i fumi della combustione viene essiccato il letame già depurato dal metano per farne del fertilizzante organico ancora meno inquinante. Insomma, oltre a ridurre l’inquinamento atmosferico e la distribuzione di nitrati nel terreno, la filosofia dell’azienda segue un principio che ridisegna il ciclo della natura in un circolo virtuoso.
Il principio del progetto è la circolarità
Dopo molti anni di lavoro e riflessioni intorno all’idea e alle pratiche della trasformazione, Locatelli inizia a confrontarsi con amici e artisti, avviando il processo che avrebbe portato alla realizzazione del Museo della merda. Diversi interventi sullo spazio e sul paesaggio di Castelbosco sono stati fatti da David Tremlett e Anne e Patrick Poirier.
L’artista britannico David Tremlett è stato tra i primi protagonisti del cambiamento artistico e concettuale di Castelbosco, realizzando composizioni colorate, geometriche e verbo-visuali, suggestionato dalle forme e dai colori del contesto naturale e industriale di Castelbosco. Anne e Patrick Poirier invece, per gli spazi esterni dell’azienda hanno progettato una grande “aiuola” a forma di foglia di mais – con evidente rimando alla produzione agricola dell’azienda – al cui interno sono state seminate varie tipologie di graminacee. Da queste esperienze, e dal contributo crescente di Luca Cipelletti, Gaspare Luigi Marcone e Massimo Valsecchi ha preso gradatamente forma l’idea di un museo nuovo, che germinando dallo sterco avrebbe affrontato il tema della trasformazione. L’ intento comune? “Dare alla merda il valore che ha”.
La storia del Museo della merda
Il museo nasce nell’aprile 2015, in pieno periodo Expo; si tratta dell’incarnazione vera e propria di un progetto altamente innovativo che combina design, arte e sostenibilità. Una sorta di archivio di testimonianze ed esperienze estetiche e scientifiche, umane e animali che della merda fanno materia utile e viva. Temi centrali quello della trasformazione, della rigenerazione, della metamorfosi.
“L’innovazione – racconta Locatelli – è stata unire due parole che tra loro non hanno niente in comune: ‘museo’ che è una parola alta, culturalmente elevata e ‘merda’ che è una parola bassa. L’operazione è stata quindi quella di dare lustro con la parola museo alla merda, cercando di mettere sugli altari una cosa che normalmente viene sempre nascosta, tenuta nelle retrovie.
Il museo segue l’esempio di strutture simili presenti in altri paesi, come ad esempio in Giappone dove però il concetto alla base è totalmente diverso. Negli spazi del museo e nelle sale del castello ai visitatori viene offerto un percorso unico che va dall’animale simbolo dell’iniziativa, lo scarabeo stercorario, considerato divino dagli egizi e non a caso simbolo del museo, all’utilizzo degli escrementi nelle opere architettoniche delle più diverse popolazioni del pianeta, passando per la Naturalis historia di Plinio, ricerche scientifiche più attuali e opere d’arte che toccano l’uso e riuso di scarti e rifiuti.
Le visite sono solo su appuntamento, e comprendono una visita guidata della proprietà. Inoltre, il museo produce e vende prodotti per la casa – tra cui vasi, vasi di fiori, tazze di caffè e piastre “merdacotta”, un materiale fatto per la maggior parte di escrementi seccati e di argilla, cotti a mille gradi. I prodotti più estremi sono quelli da tavola; la merdacotta viene cristalizzata e cotta ad altissime temperature affinché sia idonea all’uso alimentare. “Quando ho venduto i primi piatti a Londra ero veramente felice, lì si è compiuto il ciclo completo di tutto il mio lavoro”.
La reazione del pubblico
L’idea è apparsa molto scioccante ad alcuni, molto innovativa ad altri: c’è un evidente linea di demarcazione tra chi non accetta il discorso, percependo il progetto come una provocazione, e chi invece l’accetta immediatamente come intuizione geniale e rivoluzione. Ciò che rende unici i prodotti al di là della sostanza è proprio il fatto di essere oggetti d’uso comune realizzati con un materiale di riuso che li rende ecologici e più validi della plastica e di materiali fatti con materie prime come il legno: con i vasi per esempio viene risparmiato il 50 per cento del suolo, un grosso vantaggio ecologico perché il suolo è un bene difficile da conservare dato che spesso se ne fa un uso sconsiderato.
“Più che una ricerca di design a tutti i costi – spiega Locatelli – si tratta della volontà di creare degli oggetti nuovi, più sensati, più ecologici. Nel mondo del design oggi manca la novità, molti marchi del design fanno del disegno e della forma la loro bandiera mentre noi diamo più importanza a quello che c’è dietro utilizzando delle forme classiche che sono basiche, come il cubo, il cilindro, senza ghirigori né forme strane. Il nostro concetto non è tanto legato alla forma che conta ma la sostanza. La novità sta nel coniugare la merda con un processo di trasformazione e di design, per la produzione di oggetti”. Il Giga mattone di merda, un semplice parallelepipedo sempre in merdacotta che può essere utilizzato sia come seduta che come coffee table, non a caso è recentemente stato esposto a una mostra a Parigi ed è stato selezionato per diventare una panchina nel parco principale di Stoccolma.
Un’idea che conquisterà il mondo?
Dopo aver inaugurato lo Shit shop a Londra, il museo diventa un riferimento mondiale per tutte le persone interessate e desiderose di approfondire l’argomento. Le testate giornalistiche di tutto il mondo parlano del museo della merda e di questa magnifica intuizione. “In effetti – spiega Locatelli –, abbiamo aperto una strada molto innovativa, tanto che a volte mi sembra di essere troppo avanti, nel senso che ci vorrà ancora molto tempo per far accettare questa idea ad un pubblico vasto; il tempo che passa non potrà che essere utile a dimostrare e consolidare positivamente questo concetto. Con i nuovi progetti non faremo altro che consolidare e produrre nuove prove per convincere il pubblico”.
La speranza, è che il Museo della merda porti il pubblico alla consapevolezza degli impieghi possibili, nella storia e in futuro, di questo materiale visto non più come residuo di un processo produttivo, ma punto di partenza per un nuovo ciclo di valorizzazione.
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