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Musica Automata, in arrivo la più grande orchestra di robot al mondo
Non è il primo artista ad aver lavorato con i robot, ma quello che ne ha coinvolti di più in un progetto musicale. Il fiorentino Leonardo Barbadoro, compositore e produttore di musica elettronica conosciuto anche sotto lo pseudonimo Koolmorf Widesen, ha scritto l’album Musica Automata per un’orchestra costituita interamente da robot. Più di cinquanta automi,
Non è il primo artista ad aver lavorato con i robot, ma quello che ne ha coinvolti di più in un progetto musicale. Il fiorentino Leonardo Barbadoro, compositore e produttore di musica elettronica conosciuto anche sotto lo pseudonimo Koolmorf Widesen, ha scritto l’album Musica Automata per un’orchestra costituita interamente da robot.
Più di cinquanta automi, sviluppati dal compositore fiammingo Godfried-Willem Raes con la fondazione artistica Logos, che sono veri e propri strumenti acustici in grado di ricevere specifici comandi per l’esecuzione musicale attraverso i file midi di un laptop. L’intero progetto è autofinanziato con una campagna di crowdfunding su Kickstarter.
Dietro un’orchestra di robot c’è sempre la mente umana
Comporre musica per una grande orchestra di robot è un lavoro complesso e scientifico, si deve pensare a ogni minimo dettaglio. “Non si devono solo scrivere le note, ma bisogna decidere anche come deve suonare esattamente ogni strumento”, spiega Barbadoro in un’intervista a Creators. “Con gli strumenti a fiato – continua – è necessario determinare quanta aria si emette e quali tasti vengono premuti. Con le percussioni si deve stabilire la durezza della superficie da colpire, ma anche il punto preciso in cui la bacchetta tocca il tamburo”.
Non si tratta poi soltanto di strumenti tradizionali perché molti apparecchi sono inventati, come molle giganti alte cinque o sei metri, lastre di metallo in movimento con aria compressa, sirene, motori di lavatrici ed eliche. “Abbiamo anche il dripper, un robot che imita il suono delle gocce di pioggia”, aggiunge.
L’esecuzione strumentale dei robot, di precisione pressoché chirurgica, può superare quasi a ogni livello – se si esclude l’improvvisazione – quella dei musicisti tradizionali, introducendo nuove possibilità espressive poco sperimentate fino a oggi. Accanto all’accurato controllo digitale, però, convivono la reale performance e l’autentico suono degli strumenti disposti in uno spazio fisico.
I musicisti meccanici sorpassano spesso le possibilità esecutive umane, ma la musicalità dell’opera e il suo impatto emotivo si mantengono vive grazie alla versatilità dei robot, che non si limitano a una mera riproduzione artificiale. È un’esecuzione comunque frutto di una mente umana, in cui però non esiste un contatto diretto tra l’uomo e lo strumento. Questo fa sì che l’idea musicale concepita, una volta elaborata e tradotta in linguaggio midi, sia eseguita dai robot senza perdere in alcun modo il suo valore artistico.
Da Pat Metheny a Leonardo Barbadoro, chi sono gli artisti che lavorano con i robot
Barbadoro non è l’unico musicista a essersi avventurato con i robot. Da Orchestrion di Pat Metheny ai Compressorhead, gruppo di robot tedeschi progettati con materiali di riciclo per eseguire cover di brani heavy metal, passando per Squarepusher con le Z-Machines e i Plaid con le Felix’s Machines (presentati di recente al Terraforma) fino a Roland Olbeter con il progetto Soundclusters, portato dal vivo da Jon Hopkins e Tim Exile, sono moltissimi gli artisti attratti dalle performance meccaniche.
Ma nessuno di essi, finora, si era confrontato con una quantità così importante di automi. Nel 2002 Leonardo Barbadoro, al tempo chitarrista in alcuni gruppi di ispirazione post-rock, prende il nome di Koolmorf Widesen per iniziare a produrre i primi pezzi elettronici. Dopo il suo omonimo debutto nel 2007, gira l’Europa per condividere il palco con numerosi big dell’elettronica tra cui Apparat e Luke Vibert. Nel 2015 scrive Musica Automata, lavoro inizialmente composto per un’orchestra di venti automi musicali controllati dal computer, poi esteso all’attuale orchestra della Logos Foundation.
A Gent, nelle Fiandre, Barbadoro incontra il fondatore della Logos Godfried-Willem Raes che ha ideato e costruito in quarant’anni i cinquantasette robot della <M&M> robot orchestra. Tra le altre cose, l’eccentrico direttore ha sviluppato l’invisible instrument, uno strumento musicale capace di rilevare il movimento dei gesti umani usando un sonar a effetto doppler tramite la tecnologia radar. Un sistema wireless basato sull’analisi delle onde riflesse del corpo umano, preferibilmente nudo, esposto a radiazioni di ultrasuoni o microonde. Il suo software è in grado di riconoscere dodici gesti specifici, che hanno condotto Raes a lanciare anche un nuovo tipo di danza chiamata Namuda (Naked Music Dance) basata su tale tecnologia.
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