33 persone tra diplomatici, politici, attivisti e celebrità hanno perso la cittadinanza del Myanmar a causa della loro opposizione al governo militare.
La cittadinanza è stata tolta, tra gli altri, agli ambasciatori del paese presso l’Onu e il Regno Unito.
Le organizzazioni non governative hanno accusato l’esecutivo del Myanmar di usare la cittadinanza come arma politica.
In passato questo tipo di misura era stata usata contro i rohingya, la minoranza musulmana del paese.
Nell’ultimo mese il regime del Myanmar ha tolto la cittadinanza a 33 dissidenti di alto profilo. È questa la nuova arma che il governo militare sta utilizzando per silenziare le opposizioni e a essere colpiti sono stati finora diplomatici, politici, attivisti e anche celebrità.
In passato questa misura era stata utilizzata contro i rohingya, la minoranza musulmana del paese da anni vittima di profonde discriminazioni. Il fatto che ora si stia allargando la platea dimostra un ulteriore peggioramento dello stato della democrazia nel paese, come denunciano le organizzazioni per i diritti umani.
La cittadinanza come arma politica
Tra le 33 persone a cui il governo militare del Myanmar ha tolto la cittadinanza ci sono diplomatici che hanno rifiutato di collaborare con il regime, tra cui Kyaw Moe Tun, ambasciatore locale presso le Nazioni Unite. Quest’ultimo ha infatti giurato fedeltà all’esecutivo precedente, quello di Aung San Suu Kyi, rimosso da un colpo di stato dell’esercito nel 2021, dopo il mancato riconoscimento del risultato elettorale.
La stessa misura ha colpito Kyaw Zwar Minn, ambasciatore del Myanmar presso il Regno Unito, e Thet Htar Mya Yee San, segretario del paese presso l’ambasciata degli Stati Uniti. Senza cittadinanza sono rimasti anche alcuni esponenti del governo di unità nazionale, l’esecutivo alternativo formato l’anno scorso da alcuni vincitori delle elezioni del 2020 in contrapposizione al golpe dei soldati. Oltre ad attivisti per i diritti umani e qualche celebrità che si era esposta in modo netto contro il regime.
Earlier today I spoke to Myanmar Ambassador Kyaw Zwar Minn. I praised his courage and patriotism in standing up for what is right. We join his call for the immediate release of Aung San Suu Kyi and President Win Myint, and for a return to democratic rule pic.twitter.com/B7PGhspwL9
“Il governo sta usando la cittadinanza come un’arma”, ha denunciatoPhil Robertson, vicedirettore dell’ufficio asiatico dell’organizzazione non governativa Human Rights Watch, che ha sottolineato come si tratti di una pratica molto diffusa nel paese da tempo. Amnesty International ha sottolineato che il ricatto sulla cittadinanza è contrario al diritto internazionale.
Il Myanmar sempre più lontano dalla democrazia
A essere colpiti da queste misure nel passato sono stati soprattutto i rohingya, la minoranza musulmana che in Myanmar è oggetto di discriminazioni e violenze al punto che si parla di genocidio. Proprio la condizione dei rohingya è un buon parametro per capire la situazione dei diritti umani nel paese, che già era pessima prima del colpo di stato nel 2021 e che ora appare in costante peggioramento.
Quasi un milione di queste persone ha dovuto lasciare il paese dopo decenni di abusi da parte della popolazione e dei governi. L’apice si è avuto a partire dal 2017, quando si è intensificata la repressione militare nei loro confronti, e la diaspora ha fatto sì che quella di rohingya sia di fatto una delle più grandi popolazioni apolidi, cioè senza nazionalità, del mondo. Con la presa del potere dei militari dello scorso anno la situazione è peggiorata e oggi il paese versa in una condizione democratica deprecabile.
Since 1 February 2021, over 11,700 persons have been detained in #Myanmar. The #Tatmadaw has continued to use torture & ill-treatment in military bases, police stations & other places of detention. See our latest report to @UN_HRC & new factsheet here 👉https://t.co/4SLpKHdf1xpic.twitter.com/KkB6K1aIlc
Secondo l’organizzazione non governativa Freedom House, il Myanmar è classificabile come paese non libero e nel campo delle libertà politiche prende addirittura un punteggio di zero su 40 nel report dell’ultimo anno. “La transizione democratica già in stallo del Myanmar è completamente deragliata nel febbraio 2021, con il golpe militare”, si legge nel documento, dove viene posto particolare accento sulle violenze contro gli oppositori, gli attivisti per i diritti umani e i media.
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