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Myanmar: la Corte penale internazionale chiede l’arresto del capo dell’esercito per crimini contro l’umanità
Il procuratore Khan chiede di arrestare il comandante delle forze armate del Myanmar, Min Aung Hlaing, per crimini contro la minoranza rohingya.
- Il procuratore della Cpi, Karim Khan, ha richiesto un mandato d’arresto contro Min Aung Hlaing, primo ministro e capo delle forze armate per la situazione dei rohingya in Myanmar.
- La richiesta arriva dopo quattro anni di indagini. Ora i giudici dovranno esaminare la richiesta del procuratore.
La Corte penale internazionale (Cpi) ha compiuto un passo storico nell’indagine sui crimini contro l’umanità perpetrati contro la popolazione rohingya in Myanmar. A distanza di quattro anni dall’avvio delle investigazioni, il procuratore Karim A.A. Khan (lo stesso che ha spiccato l’ordine di arresto nei confronti di Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant per i crimini in corso contro il popolo palestinese) ha richiesto l’emissione di un mandato di arresto contro il primo ministro e comandante in capo delle forze armate del Myanmar Min Aung Hlaing. Questa azione rappresenta la prima accusa formale contro un alto ufficiale del governo birmano per il coinvolgimento nelle violenze che hanno costretto oltre un milione di rohingya a fuggire in Bangladesh.
Le accuse contro il Myanmar: deportazione e persecuzione come crimini contro l’umanità
L’indagine ha rivelato che tra il 25 agosto e il 31 dicembre 2017, le forze armate del Myanmar, supportate dalla polizia nazionale, dalla polizia di frontiera e da civili non rohingya, hanno commesso crimini di deportazione e persecuzione contro la minoranza musulmana dei rohingya. L’operazione militare ha avuto conseguenze devastanti: villaggi rasi al suolo, stupri sistematici, uccisioni di massa e una fuga forzata in Bangladesh.
Secondo il procuratore della Cpi, questi crimini trovano fondamento in un vasto corpus di prove, tra cui testimonianze dirette, documenti, materiali fotografici e video verificati, oltre a dati scientifici. Il supporto di Stati, organizzazioni della società civile e istituzioni internazionali, come l’Independent investigative mechanism for Myanmar (Iimm) –istituito dal consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite nel 2018 – ha svolto un ruolo cruciale nel raccogliere tali evidenze.
La voce dei rohingya: resilienza e richiesta di giustizia
Nel suo comunicato stampa, il procuratore ha espresso profonda gratitudine alla comunità rohingya, che, nonostante l’immane sofferenza, ha collaborato attivamente con le indagini. “Le testimonianze delle donne, dei giovani attivisti e degli anziani incontrati nei campi rifugiati di Kutupalong, a Cox’s Bazar, parlano di una determinazione comune: ottenere giustizia e accountability per ciò che hanno subito”, ha dichiarato il Karim Khan.
Questi incontri hanno rafforzato l’impegno della Cpi nel garantire che i rohingya non siano dimenticati e che il diritto internazionale protegga anche le popolazioni più vulnerabili. La richiesta di mandato di arresto sarà ora valutata dai giudici indipendenti della Cpi, che decideranno se emettere l’ordine contro Min Aung Hlaing. In caso di approvazione, la Corte collaborerà con i propri partner per assicurare l’arresto e la consegna dell’imputato.
L’ufficio del procuratore Khan ha ribadito la propria determinazione a portare avanti ulteriori richieste di arresto nei confronti di altri responsabili delle violenze. Questo momento segna una svolta importante per le indagini e per la lotta contro l’impunità, dimostrando che nessuno è al di sopra della legge.
L’azione della Cpi rappresenta non solo un tentativo di riparare le ingiustizie subite dai rohingya, ma anche un segnale forte alla comunità internazionale: la giustizia può e deve prevalere, anche nei contesti più difficili.
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