Si aggrava ulteriormente il bilancio della repressione contro i manifestanti pro-democrazia nel Myanmar. L’esercito che difende la giunta militare birmana, al potere dal 1 febbraio scorso a seguito di un colpo di stato, ha provocato la morte di 38 persone soltanto nella giornata di mercoledì 3 marzo. A spiegarlo è stata l’inviata speciale delle Nazioni Unite per la nazione asiatica, la svizzera Christine Schraner Burgener.
50 i morti dall’inizio delle proteste contro i militari nel Myanmar
Secondo quest’ultima, sono ormai più di 50 le persone uccise dall’inizio delle manifestazioni di protesta. Secondo quanto riferito dalla stampa internazionale, le forze di sicurezza continuano a sparare sulla folla, nonostante i richiami di numerose nazioni estere. Dopo aver fatto ampio uso di gas lacrimogeni e di munizioni di gomma, i militari hanno aperto il fuoco con proiettili veri in numerose città del Myanmar.
Defiant anti-coup protesters have returned to the streets of cities and towns across Myanmar today after dozens of people were killed.
At least 38 died on Wednesday, the UN says – the deadliest day of the junta's crackdown, with global powers condemning the "brutal violence" pic.twitter.com/iFQCOaYiOZ
Fonti d’informazione locali hanno parlato di almeno sei morti nella capitale economica del paese, Rangoon, altri undici a Mandalay e sette a Monywa. Secondo la televisione di stato Mrtv, tuttavia, i casi sarebbero soltanto quattro: persone che avrebbero perso la vita a causa di colpi che non sarebbero stati esplosi né dalla polizia, né dall’esercito.
Sei giornalisti arrestati: rischiano tre anni di prigione
La repressione continua inoltre a colpire i giornalisti. Sei reporter birmani, tra i quali Thein Zaw, fotografo dell’agenzia americana Associated Press, sono finiti sotto accusa per “provocato il panico tra la popolazione, diffondendo false informazioni o incitando dei dipendenti pubblici alla disobbedienza”. Rischiano tre anni di detenzione, sulla base di un decreto emanato dalla giunta militare nelle scorse settimane.
Ad oggi, i sei giornalisti sono detenuti nella prigione di Insein, a Rangoon, tristemente nota per aver ospitato numerosi prigionieri politici nel corso delle dittature militari precedenti. Resta allo stesso modo sotto accusa l’ex capo del governo Aung San Suu Kyi, accusata di “traffico illegale di walky-talky” e di aver violato le regole sulla pandemia.
Con il golpe e il ritorno al potere dei militari conservatori, le donne del Myanmar temono di perdere le conquiste degli ultimi anni in termini di diritti.