Il regime militare che dal 1 febbraio è al governo nel Myanmar, dopo aver ordito un colpo di stato e arrestato la leader democraticamente eletta Aung San Suu Kyi, si prepara ad organizzare una repressione dura e su vasta scala. Secondo quanto riportato dalla stampa internazionale, dopo alcuni giorni di relativa tolleranza, i generali avrebbero infatti deciso di bloccare sul nascere il movimento di disobbedienza civile che da dieci giorni riempie le strade delle grandi città birmane.
I blindati presidiano le strade di Rangoon, nel Myanmar
Dalla mattina di lunedì 15 febbraio, il “Consiglio di amministrazione di stato” (la nuova istituzione esecutiva introdotta con il golpe dai militari) ha disposto l’avvio di un’operazione condotta dall’esercito. Alcuni veicoli, a partire dalle prime ore del mattino, hanno cominciato a pattugliare la città di Rangoon, capitale economica della nazione asiatica. I blindati hanno preso posizione in una serie di punti strategici della città.
Una manovra che già ricorda molti le dure repressioni che gli stessi militari hanno organizzato in passato. Come nel caso, ad esempio, delle migliaia di morti registrate nel 1988 tra i manifestanti che si opponevano la giunta militare: all’epoca, i soldati aprirono il fuoco sulla folla. Alcuni incidenti particolarmente violenti sono stati registrati domenica a Myitkyina, Centro urbano situato nella porzione settentrionale del territorio del Myanmar, nei pressi della frontiera cinese. Le forze di sicurezza, anche in questo caso, avrebbero sparato sulla folla, anche se non è ancora chiaro se con proiettili veri o di gomma.
Perquisizioni senza mandato e giudici scavalcati
Il principale protagonista del colpo di Stato, il generale Min Aung Hlaing, ha firmato nella giornata di sabato 13 febbraio un decreto che permette alle forze dell’ordine e gli altri membri delle agenzie di sicurezza di effettuare perquisizioni anche senza un mandato. Gli agenti possono inoltre trattenere in carcere chiunque, anche al di là delle 48 ore previste al massimo per legge, e anche in assenza di indicazioni fornite da un giudice sul singolo caso.
Myanmar’s military junta is proposing a draconian bill that would give it sweeping powers to access user data, block websites, order internet shutdowns, and imprison critics and officials at noncomplying companies. The junta should withdraw the bill. https://t.co/eetFiI4zMrpic.twitter.com/B5P43Oncu1
Coerentemente, la legge adottata 10 anni fa all’inizio del processo di democratizzazione, con la quale si proteggeva la vita privata e la sicurezza dei cittadini, è stata abrogata. Al contempo, i militari hanno proposto una legge draconiana sulla “sicurezza digitale”, che permetterà loro di accedere ai dati di chi naviga su internet, di bloccare siti di informazione, di impedire l’accesso al web e di arrestare gli oppositori politici che fanno propaganda online. Tale legge dovrebbe entrare in vigore oggi, 15 febbraio, ma internet è già stato bloccato sull’insieme del territorio del Myanmar nella notte tra domenica e lunedì, per essere riattivato soltanto al mattino.
Aung San Suu Kyi accusata di importazione illegale di walkie-talkie
Sempre di notte, a Rangoon come a Mandalay, sono già stati registrati arresti di oppositori al regime. Mentre sono stati spiccati mandati d’arresto per sette personalità, tra cui persone vicine a Aung San Suu Kyi. Che, almeno per ora, rimane agli arresti con l’accusa ufficiale di importazione illegale di strumenti di comunicazione: dei walkie-talkie sono stati ritrovati nella sua abitazione.
Con il golpe e il ritorno al potere dei militari conservatori, le donne del Myanmar temono di perdere le conquiste degli ultimi anni in termini di diritti.