Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si è riunito mercoledì 31 marzo e ha condannato all’unanimità le violenze perpetrate dall’esercito del Myanmarcontro la popolazione. Si tratta di una notizia positiva dal punto di vista diplomatico, poiché le posizioni dei governi delle varie nazioni erano apparse sensibilmente diverse di fronte al colpo di stato perpetrato il 1 febbraio dai generali a danno della dirigente Aung San Suu Kyi.
La Cina: “Le sanzioni aggraverebbero soltanto la situazione”
Tuttavia, da parte della Cina è stato posto di fatto un veto sulla possibilità di imporre contro la giunta militare delle sanzioni. Queste ultime erano state chieste da Stati Uniti e Regno Unito, anche sulla base delle indicazioni dell’emissaria delle Nazioni Unite nel Myanmar, Christine Schraner Burgener, che ha parlato di un rischio “senza precedenti” di veder precipitare il paese asiatico “in una guerra civile” e in un “bagno di sangue”.
UN Security Council Statement: The Members reiterated their call on the military to exercise utmost restraint & the need to fully respect human rights & to pursue dialogue & reconciliation in accordance with the will & interests of the people of Myanmar.https://t.co/bWHnzkxIIupic.twitter.com/Pg0toiZMyf
— United Nations in Myanmar (@UNinMyanmar) April 2, 2021
Secondo l’ambasciatore cinese presso l’Onu Zhang Jun, imporre delle sanzioni “non farebbe altro che aggravare la situazione”. Lo stesso diplomatico ha in ogni caso lanciato un appello affinché “si ripristini una transizione democratica nel Myanmar”, criticando “la violenza e lo spargimento di sangue” e lanciando un appello “a tutte le parti in causa”.
“Nel Myanmar rischiamo una guerra civile e un bagno di sangue”
Schraner Burgener, nella sua relazione ai membri del Consiglio di sicurezza, ha spiegato che “la crudeltà dei militari è troppo grave e sono numerose le organizzazioni armate etniche birmane che manifestano in modo chiaro la loro opposizione ai generali. Ciò rafforza il rischio di una guerra civile”. Di qui la richiesta di “operare con tutti i mezzi a disposizione al fine di assumere decisioni collettive, per evitare una catastrofe multidimensionale nel cuore dell’Asia”.
"Consider all available tools to take collective action and do what is right, what the people of Myanmar deserve and prevent a multi-dimensional catastrophe in the heart of Asia. A bloodbath is imminent," Special Envoy @SchranerBurgen1 warns UN Security Council. pic.twitter.com/C6LYK5G9vJ
I gruppi etnici indicati dall’emissaria delle Nazioni Unite sono una ventina. Due in particolare, l’Unione nazionale Karen (Knu) e l’Esercito per l’indipendenza Kachin (Kia) hanno impugnato le armi e combattono nelle strade contro i militari. In particolare la Knu ha attaccato e conquistato nello stato di Karen una base militare. La giunta ha risposto con un bombardamento aereo, il primo da 20 anni nella regione.
Altri gruppi militari etnici pronti ad impugnare le armi
Altri tre gruppi paramilitari hanno già minacciato di seguire le orme della Knu e del Kia: in particolare il generale Tar Bhone Kya, che guida l’Esercito di liberazione nazionale Ta’ang (Tnla) ha fatto sapere di essere pronto a rompere il cessate il fuoco rimasto in vigore negli ultimi anni. E ha accusato apertamente l’esercito regolare al potere di “crimini di guerra”.
Nel frattempo, la giunta ha reso ancor più difficile il reperimento di informazioni dal Myanmar, ordinando ai provider di servizi internet di bloccare le connessioni, fino a nuovo ordine.
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