La giunta militare del Myanmar ha condannato a morte quattro oppositori

Quattro oppositori politici sono stati uccisi con l’accusa di terrorismo. Era dal 1988 che in Myanmar non si ricorreva alla pena di morte.

  • La condanna a morte era arrivata tra gennaio e aprile di quest’anno e a giugno era stato rigettato l’appello.
  • Il regime militare avrebbe già condannato a morte 117 persone da quando ha preso il potere nel 2021.
  • Oltre 11mila persone si trovano ancora nelle carceri del Myanmar come prigionieri politici.

La giunta militare del Myanmar ha eseguito le condanne a morte di quattro oppositori politici. Accusati di terrorismo per aver fatto parte della resistenza contro il golpe dell’esercito del febbraio 2021, gli attivisti avevano ricevuto la condanna all’inizio del 2021. Era dal 1988 che non si faceva ricorso alla pena di morte in Myanmar, un paese che vive oggi un’emergenza democratica con migliaia di progionieri politici e il bavaglio alle opposizioni. E nelle scorse ore si è alzata la voce della popolazione e della comunità internazionale contro la brutalità del regime.

Le proteste contro il colpo di stato in Myanmar
Le proteste contro il colpo di stato in Myanmar © Getty Images/Getty Images

In Myanmar torna la pena di morte

I quattro condannati a morte sono Phyo Zeya Thaw, Kyaw Min Yu, Hla Myo Aung e Aung Thura Zaw. Sono stati uccisi presumibilmente nel carcere di Insein attraverso impiccagione, ma le autorità non hanno dato informazioni al riguardo. La condanna a morte per i quattro oppositori era arrivata tra gennaio e aprile di quest’anno e a giugno era stato rigettato il loro appello.

Phyo Zeya Thaw era stato arrestato a novembre in un blitz di polizia in un palazzo di Yangon, la capitale. All’inizio degli anni Duemila era un rapper e attraverso i suoi testi aveva denunciato la repressione della giunta militare che governava a quei tempi. Poi si è dedicato sempre più all’attività politica, avvicinandosi a Aung San Suu Kyi, la leader birmana destituita nel febbraio 2021 dai militari e oggi agli arresti domiciliari. L’accusa nei confronti di Phyo Zeya Thaw è di terrorismo per aver avuto un ruolo di primo piano nelle proteste di Yangon contro il regime militare. Kyaw Min Yu era uno scrittore e attivista che già aveva avuto un ruolo chiave nelle proteste studentesche contro il regime militare del 1988. In questi oltre 30 anni ha passato gran parte del suo tempo in prigione per la sua attività di oppositore politico, l’ultimo arresto era avvenuto nell’ottobre scorso per terrorismo. Hla Myo Aung e Aung Thura Zaw, le altre due persone per cui è stata eseguita la pena capitale nelle scorse ore, erano invece accusati di aver ucciso un’informatrice vicina all’esercito.

Come hanno sottolineato dalle Nazioni unite, era dal 1988 che in Myanmar non si ricorreva alla pena di morte. Il Relatore speciale dell’Onu, Thomas Andrews, si è detto “devastato” dalla notizia, mentre profondo sdegno e un appello alla comunità internazionale è arrivato dal governo di unità nazionale del Myanmar, un esecutivo parallelo in esilio formatosi in contrapposizione al regime militare.

Un paese sempre più autoritario

Dal colpo di stato in Myanmar del febbraio 2021 ci sono stati 14.847 arresti e 11.759 persone si trovano ancora recluse. I numeri diffusi dall’Assistance association for political prisoners (Aapp) Burma rivelano poi che i condannati a morte sarebbero già stati 117, tra cui due minorenni. Ma le persone uccise dalle autorità durante le proteste sarebbero oltre 2mila. Le esecuzioni avvenute nelle scorse ore dei quattro attivisti sono però le prime ufficialmente riconosciute dal regime. 

La società civile si è fatta sentire dopo che la notizia del ritorno della pena capitale si è diffusa nel paese. Diversi manifestanti sono scesi in piazza a Yangon con striscioni e fumogeni, mentre su un ponte della capitale è apparso un messaggio per la giunta militare: “pagherete per il sangue versato”. Sui social network molti utenti hanno lanciato messaggi di solidarietà e condoglianze ai condannati. E si è alzata anche la voce della comunità internazionale. “Chiediamo al regime di cessare immediatamente le violenze, rilasciare coloro che hanno ingiustamente detenuto e consentire un pacifico ritorno alla democrazia secondo i desideri del popolo birmano”, ha dichiarato un esponente del Consiglio per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Condanne simili sono arrivate anche dal Giappone e dalla Francia

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