Gli scienziati sono riusciti a descrivere il langur Popa, che vive nelle foreste del Myanmar. Ma già si teme per la sopravvivenza della specie.
Per anni gli studiosi hanno parlato di “mystery monkey” per riferirsi a un primate che abita le fitte foreste del Myanmar centrale. Una specie che non erano mai riusciti a rintracciare e analizzare compiutamente. Oggi finalmente sono riusciti a dargli un nome: l’hanno ribattezzato langur Popa (Trachypithecus popa), come il vulcano ormai inattivo che ospita circa la popolazione più vasta identificata finora, pari a circa un centinaio di esemplari. Non c’è stato nemmeno il tempo di celebrare a dovere la scoperta, però, perché subito hanno messo bene in chiaro che la specie rischia l’estinzione.
Descritto per la prima volta il langur Popa
La scoperta è l’esito di un intenso lavoro di squadra tra il Deutsches Primatenzentrum con sede a Göttingen e l’organizzazione inglese Fauna & flora international, con la collaborazione di ong, università e musei. Gli studi genetici e morfologici e le ricerche sul campo hanno permesso di descrivere le caratteristiche della specie in uno studio pubblicato dalla rivista scientifica cinese Zoological Research. Per chiudere il cerchio è stata fondamentale l’analisi del dna di un esemplare risalente a oltre un secolo fa, conservata presso il Museo di storia naturale di Londra.
Per la precisione, la nuova specie fa parte del genere Trachypithecus, noto in italiano come presbite o langur. Sono animali diurni che vivono sui rami degli alberi e si nutrono delle loro foglie. Il langur Popa si caratterizza per il muso simile a una maschera, incorniciato da una criniera grigia.
Appena scoperta, la specie è già a rischio estinzione
Tramite una nota, però, i ricercatori mettono bene in chiaro che in natura vivono appena 250 esemplari di langur Popa, suddivisi in quattro subpopolazioni isolate tra loro. Raccomandano, quindi, di classificarli come “in pericolo critico”. A minacciare la loro sopravvivenza sono soprattutto la caccia e la perdita di habitat. In entrambi i casi, dunque, la responsabilità è dell’uomo.
“Servono con urgenza nuove rilevazioni sul campo e misure di protezione, che saranno condotte da Fauna & flora international e da altri partner per salvare questi primati dall’estinzione”, dichiara il primatologo Ngwe Lwin.
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