Con una sentenza storica, la Cassazione conferma la condanna per il comandante italiano che ha consegnato 101 migranti alla Libia.
Chi è Nadia Murad, premio Nobel per la Pace 2018, la donna che ha sconfitto la violenza con la sua storia
A Nadia Murad non basta l’empatia, vuole azioni concrete. Ha ricevuto il premio Nobel per la Pace per la sua battaglia in nome del suo popolo, gli Yazidi, e delle vittime di violenza, contro l’Isis che l’ha resa schiava: ma è solo l’inizio.
Decidere di raccontare la verità è stata una delle decisioni più difficili che abbia mai preso, ma è stata anche la più importante.Nadia Murad, L’ultima ragazza
Una donna giovanissima dal coraggio sovrumano. Il coraggio di sopravvivere alla schiavitù e alle violenze sessuali a cui l’hanno sottoposta i militanti dello Stato islamico (Isis, conosciuto anche come Daesh). Il coraggio di fuggire dai suoi rapitori e venire in Europa. Il coraggio di raccontare al mondo la sua storia e quella del suo popolo, gli Yazidi, in nome della giustizia.
Per questo coraggio Nadia Murad Basee è diventata la prima persona irachena a ricevere, all’età di 25 anni, il riconoscimento umanitario più prestigioso in assoluto, il premio Nobel per la Pace, lo scorso ottobre. Insieme al congolese Denis Mukwege è stata scelta per i suoi “sforzi nel porre fine all’uso della violenza sessuale come arma di guerra e nei conflitti armati”. In occasione della consegna del premio Nobel a Murad il 10 dicembre, è stato proiettato nei cinema italiani Sulle sue spalle, documentario di Alexandria Bombach che racconta la campagna dell’attivista yazidi, presentato in anteprima all’interno della rassegna Sala Biografilm e distribuito nelle sale dal 6 al 12 dicembre da I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection.
Leggi anche: Sulle sue spalle, il documentario che racconta la forza e il tormento di Nadia Murad, al cinema
Il genocidio degli Yazidi per mano dell’Isis in Iraq
“Lo stupro è sempre stato usato come arma di guerra”, afferma Murad nella sua autobiografia, L’ultima ragazza. “Non avrei mai pensato di avere qualcosa in comune con le donne del Ruanda – prima di tutto quello che mi è successo, non sapevo neanche dell’esistenza di un paese chiamato Ruanda – ora sono legata a loro nel modo peggiore possibile”. La terribile vicenda che unisce Murad, le 3mila donne yazidi vendute come schiave dall’Isis e tutte le altre nel mondo sui cui corpi si sono consumati i crimini di guerra più assurdi, è iniziata nel 2014.
BREAKING NEWS:
The Norwegian Nobel Committee has decided to award the Nobel Peace Prize for 2018 to Denis Mukwege and Nadia Murad for their efforts to end the use of sexual violence as a weapon of war and armed conflict. #NobelPrize #NobelPeacePrize pic.twitter.com/LaICSbQXWM— The Nobel Prize (@NobelPrize) 5 ottobre 2018
Prima, Murad sognava di diventare un’insegnante o di aprire un salone di bellezza. Ma il 3 agosto il suo piccolo villaggio rurale di Kocho, insieme a tanti altri nel Sinjar, nel nord dell’Iraq vicino al confine con la Siria, è stato invaso dall’avanzata del califfato dello Stato islamico. Questa è una delle zone in cui è concentrata la popolazione degli Yazidi, una minoranza religiosa il cui credo unisce elementi del Cristianesimo e dell’Islam e a cui si stima appartengano circa mezzo milione di persone nel mondo. Per tutta la loro lunga storia – è una delle religioni monoteistiche più antiche – gli Yazidi hanno subito attacchi e discriminazioni per mano di altri gruppi, da cui sono stati definiti anche “veneratori del diavolo”.
Migliaia di Yazidi sono stati uccisi in pochi giorni, se non in poche ore, e l’Isis ha dato il via a una campagna feroce per sterminare la loro cultura: un vero e proprio genocidio, secondo le Nazioni Unite. Ora, anche se il califfato è stato sconfitto dalle forze irachene e quelle dei curdi peshmerga con il supporto di coalizioni militari internazionali, si stima che 3mila donne, uomini e bambini siano ancora in mano ai militanti mentre migliaia di Yazidi non sono ancora potuti tornare a casa (anche per paura di un eventuale ritorno di Daesh), e vivono in campi profughi.
[caption id="attachment_144335" align="alignnone" width="1024"] Nadia Murad racconta la sua testimonianza durante l’udienza di un comitato del Senato statunitense sull’ideologia dell’Isis © Mark Wilson/Getty Images[/caption]
La storia di Nadia Murad
[quote cite="L’ultima ragazza" url="https://www.theguardian.com/commentisfree/2018/oct/06/nadia-murad-isis-sex-slave-nobel-peace-prize"]Il mercato degli schiavi apriva di notte … i militanti ci mettevano le mani addosso ovunque, toccandoci il seno e le gambe come fossimo animali.”Nadia
A 21 anni Murad è stata rapita dall’Isis, obbligata a convertirsi all’Islam e venduta più volte come schiava sessuale. Non solo ha perso la madre e sei fratelli, ma anche la possibilità di avere una vita normale: “la mia vita in Sinjar come una semplice ragazza contadina yazidi è svanita per sempre, i sogni e le speranze di tutta la mia comunità sono stati distrutti”.
Nel novembre del 2014 è riuscita a fuggire (approfittando di una porta lasciata aperta da uno dei suoi rapitori), ad attraversare il Kurdistan iracheno per raggiungere un campo profughi e poi la Germania, dove attualmente vive. Da lì, ha iniziato a tracciare la sua nuova strada. Portandosi dentro un trauma che avrebbe potuto annientare chiunque, ha deciso di mostrare le sue ferite al mondo. Con un’intenzione molto chiara: quella di diventare portavoce del suo popolo e delle vittime di tratta e di violenza.
La mia storia è l’arma migliore che ho contro il terrorismo, ed è mia intenzione usarla finché i terroristi non saranno messi a processo.L’ultima ragazza
Ha iniziato a raccontare la sua storia, ad esempio durante una seduta del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nel 2015, poco più di un anno dopo che l’Isis aveva cercato di cancellare la sua identità per sempre. È diventata la prima ambasciatrice Onu per la dignità dei sopravvissuti al traffico di esseri umani, incarico che ha accettato nel 2016 durante una cerimonia che si è tenuta nella sede delle Nazioni Unite a New York, con il suo avvocato nonché la sua sostenitrice Amal Clooney al suo fianco.
Ogni volta che racconta le ingiustizie che ha subito, ne rivive l’orrore. “Ho pianto quando ho sentito la sua storia”, ha affermato Ban Ki-moon, ex segretario generale Onu. “Le mie non erano solo lacrime di tristezza, mi hanno commosso anche la forza, il coraggio e la dignità di Nadia”.
Nadia’s initiative, per essere l’ultima ragazza
Murad si batte per “stabilire una zona sicura per le minoranze religiose in Iraq, e mettere a processo l’Isis per genocidio e crimini contro l’umanità”. Nel settembre 2017 è arrivato un traguardo importante, l’adozione di una risoluzione Onu per indagare i crimini commessi dallo Stato islamico in Iraq. Murad ha fondato un’associazione, Nadia’s initiative, a favore dei diritti delle vittime di violenza e del popolo yazidi, destinando il premio in denaro conferitole dal Comitato per il Nobel norvegese al fondo d’azione per in Sinjar (Sinjar action fund) creato dalla sua organizzazione anche grazie al sostegno del presidente francese Emmanuel Macron.
Another mass grave that contains remains of Yazidis killed by ISIS was found yesterday in Tel-Azer village South of Sinjar. This adds to the tens of mass graves that have been discovered since 2014. The world failed to protect Yazidis, now the world fails to deliver justice. pic.twitter.com/HxZbFCSMjq
— Nadia Murad (@NadiaMuradBasee) 18 novembre 2018
I terroristi non avevano pensato che noi ragazze Yazidi saremmo riuscite a scappare, o che avremmo avuto il coraggio di raccontare al mondo quello che ci hanno fatto. Il nostro modo di sfidarli è di non lasciare che i loro crimini rimangano impuniti.L’ultima ragazza
Murad si porta dietro il peso dei suoi terribili ricordi e quello di un forte senso di responsabilità. Nonostante il sostegno morale che ha ricevuto, ha bisogno di più della sola empatia. Ha raccontato la sua storia al mondo per ottenere azioni concrete affinché lei e altre donne sopravvissute alla violenza possano riprendere in mano le proprie vite e quelle delle loro comunità. È fuggita alla schiavitù, all’Isis e alla guerra non per rimanere una vittima, ma per diventare un’attivista e per essere l’ultima ragazza al mondo con una storia come la sua.
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