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Un Natale con Emergency. Dall’Afghanistan al Sudan, storie di un impegno straordinario
Scopriamo, attraverso le testimonianze di medici e volontari, com’è trascorrere il Natale nei centri Emergency.
Può capitare che non sia un solo Natale. A volte possono essere due, altre tre, altre ancora quattro. A volte, ci si riunisce sotto l’albero e si scambiano i regali; altre capita di passare la notte del 24 dicembre in sala operatoria per un’urgenza. C’è chi prepara un piatto speciale e chi, invece, si traveste da Babbo Natale. I festeggiamenti prendono i colori dell’atmosfera locale; il “lapà” – un tessuto tipico africano – si trasforma in un albero di Natale; garze e gesso, per una volta, vengono usati come decorazione. Le tradizioni si mescolano tra di loro rendendo ogni 25 dicembre diverso dall’altro e, forse, un po’ più speciale.
Per tutti voi i nostri auguri di #pace! #BuonNatale #MerryChristmas #FelizNavidad #Auguri pic.twitter.com/vKU2F1gloK
— EMERGENCY (@emergency_ong) December 24, 2019
Centro “Salam” di cardiochirurgia di Khartoum, Sudan
Michele, anestesista rianimatore di Emergency, ha trascorso due anni – e altrettanti Natali – in Sudan, al Salam centre for cardiac surgery. È da poco rientrato a Khartoum, la capitale, subito prima di Natale, e forse non è un caso. “Il Salam centre non è solo un ospedale: è uno straordinario crocevia di esperienze umane e professionali, un’impareggiabile opportunità di arricchimento personale e culturale per i molti professionisti che, per periodi di tempo più o meno lunghi, decidono di sposarne il progetto. È un luogo di duro lavoro, di faticoso impegno quotidiano ma anche il teatro di incontri, amicizie, splendidi momenti d’insieme. E, per alcuni, piano piano diventa una seconda famiglia.
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È bello trascorrere la notte di Natale tutti insieme. Il mite clima africano ci consente di trascorrere la serata sulla bella terrazza della guest house, che dà direttamente sulle sponde del Nilo. Ricordo che la tavola era imbandita con prodotti, per quanto possibile, della tradizione natalizia. Le cuoche sudanesi sono bravissime, tuttavia, per quell’anno, il personale internazionale ha voluto fare da sé. Il clima della serata era rilassato e sereno. Ma l’imprevisto era dietro l’angolo e in cardiochirurgia il caso più antipatico – che non conosce feste comandate – si chiama tamponamento cardiaco. Si tratta di una complicazione postoperatoria: un coagulo di sangue si raccoglie troppo vicino al cuore, comprimendolo e impedendogli di riempirsi adeguatamente. Così, subito in sala operatoria: un paio di chirurghi, due infermieri, una perfusionista, un anestesista. Pazienza se sul tavolo c’erano le tartine. Un’atmosfera mista di concentrazione e serenità ci ha accompagnato durante tutto l’intervento. Una volta terminato, il paziente è stato trasportato in terapia intensiva per il monitoraggio postoperatorio.
Era tardi per continuare i festeggiamenti, così abbiamo deciso di andare a letto. Mentre stavamo camminando, le infermiere sudanesi e di religione musulmana ci salutano con un caloroso: “Happy Christmas!” perché la religione non è mai un ostacolo quando c’è rispetto, collaborazione, stima e affetto. Già, “happy Christmas!”: mezzanotte era passata. Appena rientrati nella guest house, ci abbracciamo e ci facciamo auguri veri, sinceri. Altro che “a te e famiglia”: perché è stata una notte un po’ speciale. Ma che senso ha il Natale, se non quello di aggiungere il proprio mattoncino alla costruzione di un mondo migliore?”.
Centro chirurgico Emergency di Goderich, Sierra Leone
Mirjana, infermiera Emergency dal 2008, è metà serba e metà ungherese. Proviene dalla Vojvodina, una provincia nel nord della Serbia, al confine con l’Ungheria. Ha trascorso diversi giorni di Natale in Sierra Leone e Sudan. “Sin da quando ero bambina, con la mia famiglia, ho sempre festeggiato due Natali, uno il 25 dicembre e uno il 7 gennaio – racconta Mirjana -. Una buona parte della popolazione serba è di religione cristiano ortodossa e festeggia il Natale il 7 gennaio, come da calendario giuliano. Nel nord del Paese, tuttavia, il Natale si festeggia anche il 25 dicembre, come da tradizione cattolica. Così due Natali, due regali, due feste. Tutto doppio. Da bambina era molto divertente questo periodo dell’anno. Così, insieme agli altri colleghi di origine serba, abbiamo introdotto questa tradizione anche negli ospedali Emergency dove abbiamo trascorso il Natale.
Mi ricordo che un anno, nel centro chirurgico Emergency di Goderich in Sierra Leone, abbiamo costruito noi l’albero di Natale: abbiamo tagliato il ‘lapà’ – il colorato tessuto tipico dell’Africa – a forma di albero e l’abbiamo appeso al muro della sala da pranzo, una sala in comune che abbiamo decorato per l’occasione. C’era anche Babbo Natale che portava i regali a ciascuno di noi. Per rendere lo scambio un po’ più divertente, qualche settimana prima, abbiamo scritto i nostri nomi sui dei pezzettini di carta e ognuno doveva pescare il nome della persona alla quale avrebbe fatto il regalo, tenendolo segreto ovviamente. La sera della Vigilia, dopo la cena, abbiamo aperto i regali. In quel momento – conclude Mirjana – mi ricordo bene che, per un attimo, la gioia che ho provato mi ha fatto tornare bambina”.
#Afganistan, il corpo delle donne. Leggi il reportage e guarda le foto realizzate da Laura Salvinelli nel nostro centro di maternità di #Anabah @ilmanifesto https://t.co/fcR2bNY2n7 pic.twitter.com/lck2vbgirA
— EMERGENCY (@emergency_ong) December 23, 2019
Dal centro chirurgico per vittime di guerra di Lashkar Gah, Afghanistan
Daniele, logista Emergency dal 2014. Nel Centro chirurgico per vittime di guerra di Lashkar Gah si è occupato del coordinamento e della gestione dei servizi base e delle risorse umane “cercando di metterci oltre al cuore anche mani e testa”.
Daniele è arrivato in Afghanistan nel settembre del 2016, il momento in cui i talebani hanno intensificato il ritmo degli attacchi nell’intera regione dell’Helmand, come ci racconta: “Una terra dove la guerra ha ucciso anche la speranza. Corruzione, povertà e morte sono abitudine, quotidianità, normalità. Tra la gente, ormai, si avverte un senso d’assuefazione. Per tutto l’autunno, i combattimenti sono andati avanti senza sosta intorno al perimetro cittadino, con frequenti incursioni nei sobborghi della città ed esplosioni molto ravvicinate. Le settimane sono state piene, spesso senza respiro, costellate da momenti brutti e tristi. In questo periodo l’ospedale ha registrato un crescente numero di pazienti, fino a sfiorare quasi 800 prestazioni chirurgiche in un mese. Triste record di una guerra che è stata messa in sordina.
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Siamo arrivati a Natale stanchi ma, nonostante questo, ci siamo presi cura l’uno dell’altro in modo disinteressato. Forse, era anche un modo per affrontare la guerra che continuava senza sosta fuori e dentro l’ospedale.
C’è un oggetto che più di altri mi ricorda quei giorni. È un regalo che la medical coordinator, Vesna, fece a me e Anton: un piccolo manufatto di legno che ci rappresenta, pitturato con i colori di Emergency. Sotto l’albero, costruito con garze e gesso da Francesco, ci siamo scambiati i regali, grazie a Vania, a Matteo e a Fabio abbiamo mangiato ravioli e bagna càuda, a Lashkar Gah! È stato un Natale fatto di piccole cose, pensieri e attenzioni reciproche. Credo di aver passato uno dei più bei Natali proprio qui, riscoprendone il senso vero, a cui spesso il ‘nostro’ mondo contrappone quell’egoismo che sì, credo valga la pena combattere nel profondo del proprio cuore, per un mondo migliore”.
Centro sanitario per profughi e sfollati di guerra a Ashti, Kurdistan iracheno
Alessandro, infermiere Emergency dal 2017. Nel centro profughi di Ashti nevica. Il guardiano di turno all’entrata del centro sanitario Emergency, gli dice: “Dai, non fa poi così freddo, I am a tiger!”. “I am not a tiger (non sono una tigre)”, risponde Alessandro.
“Fa un freddo che non avrei mai immaginato di trovare qui, in Iraq – ci racconta Alessandro. Eppure, mi confermano che non è l’inverno più freddo che i rifugiati hanno dovuto affrontare nelle loro tende costruite dall’Unhcr nel campo di Ashti, appena fuori Sulaymanya, nel Kurdistan iracheno. Natale è vicino, ma dopo un anno che festeggi il Nawruz [una ricorrenza tradizionale persiana che il 21 marzo celebra il nuovo anno, ndr], l’Eid [la seconda festività islamica più importante, ndr], il Ramadan, Eid di nuovo, ti chiedi se sei pronto per questa festività che solo pochi espatriati ricordano. Arriviamo nella guest house di Emergency, dove noi internazionali alloggiamo, iniziamo a cercare, dentro vecchi scatoloni, i rimasugli degli addobbi natalizi degli anni passati e di passate missioni. Ci rendiamo subito conto della scarsità di materiale decorativo. Cerchiamo di coprire uno scheletrico albero di plastica con tutto ciò che luccica e… le lattine della birra ci tornano utilissime!
L’idea migliore viene alla nostra health promoter, Serena: mettere un albero di Natale all’interno della clinica e farlo decorare con i disegni dei bambini del campo. Ed eccoli lì, insieme, come ogni giorno, si mettono a disegnare e attaccare all’albero le loro creative decorazioni. Sempre col sorriso, sempre con entusiasmo, sempre con dedizione. Ogni giorno ci insegnano l’accoglienza, ogni giorno costruiscono la pace”.
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